Asse Italia-Francia, intervista a Marc Lazar

Il sociologo francese interviene sulla politica francese e italiana

di Andrea Barbaria

Professore di Storia e di Sociologia politica a Sciences-Po (Parigi) e alla LUISS di Roma. Marc Lazar è autore di numerosi saggi sulla vita politica francese e italiana. Più di recente ha ideato i “Dialoghi franco-italiani“, in collaborazione con Sciences-Po, LUISS e Studio Ambrosetti.

Professore, quest’anno ricorrono i 150 anni dalla fondazione dell’Institut d’Etudes Politiques di Parigi, meglio noto come Sciences-Po. Quali sono i legami che uniscono questa istituzione accademica francese all’Italia? E con quale delle nostre città, in particolare?

Sciences-Po ha avuto con l’Italia un legame speciale sin dalla sua fondazione – avvenuta nel 1872 con il nome di “Ecole libre des sciences politiques” – solo pochi anni prima di quella dell’Istituto “Cesare Alfieri” di Firenze. Queste due realtà accademiche erano accomunate dalla volontà di formare una nuova classe dirigente a livello nazionale e si sono influenzate reciprocamente.

Oggi il rapporto tra Sciences-Po e l’Italia è molto radicato e strutturato: attualmente nel campus ci sono circa 500 studenti e numerosi docenti italiani, attivi in tutte le scienze sociali insegnate a Sciences-Po. Inoltre sono stati attivati scambi universitari con istituzioni accademiche di grandi città italiane, come Bologna o Napoli. Tra queste, tuttavia, citerei due collaborazioni privilegiate, ossia quelle con la “Bocconi” di Milano e con la “LUISS” di Roma. Con quest’ultima e con la Fondazione Ambrosetti, Sciences-Po ha dato vita ai “dialoghi italo-francesi per il futuro dell’Europa”, un’iniziativa che vede coinvolti esponenti dell’accademia, delle istituzioni e dell’imprenditoria dei nostri due Paesi, allo scopo di dare un nuovo impulso alla costruzione europea.

La città di Roma e quella di Parigi sono legate da un gemellaggio da oltre 60 anni, ovvero dal 1956. È una relazione che gode di buona salute? Oppure è necessario un suo rilancio? 

Comincerei sottolineando l’importanza di questo gemellaggio che lega le due città in maniera esclusiva, come in una sorta di “relazione monogama”: Roma è gemellata con Parigi e solo con Parigi e viceversa. Il problema è che ormai da decenni questo rapporto speciale si è arenato, soprattutto per mancanza di volontà politica. Nessuno sembra ricordarne l’esistenza: quanti sanno, ad esempio, che – proprio in virtù del gemellaggio – un cittadino romano ha accesso gratuito a tutti i musei di Parigi e viceversa?

Di recente i sindaci delle due città, Roberto Gualtieri e Anne Hidalgo, si sono impegnati pubblicamente per un rilancio di questo legame: saranno inaugurate due nuove vie, una a Roma e una a Parigi, dedicate rispettivamente alle attrici Simone Signoret e Monica Vitti. Quest’estate ci saranno tra l’altro retrospettive cinematografiche sia sull’Isola Tiberina che sull’Ile Saint-Louis, la prima in onore del cinema francese e la seconda di quello italiano. Gualtieri dovrebbe poi recarsi in visita ufficiale a Parigi e la Hidalgo dovrebbe quindi restituire la cortesia venendo a Roma.

Certo, occorre sfruttare ogni occasione di ribalta se si vuole instillare nuova vita in questo gemellaggio di cui non va sottovalutata l’importanza politica. Non si tratta solo di folklore, o di pretesti per gite scolastiche. Basti pensare che Francia e Germania sono legate da migliaia di gemellaggi fra città di tutte le dimensioni mentre quelli fra Francia e Italia sono meno di mille.

Di recente Italia e Francia hanno stipulato il Trattato del Quirinale: secondo lei che cosa rappresenta questo accordo? Può davvero essere la base per sviluppare un secondo “motore” per l’Unione europea, da affiancare a quello franco-tedesco? Oppure si tratta solo di un innocuo “giro di valzer” per Parigi?

La firma di questo accordo è stato un fatto politico molto importante, un avvenimento che non esiterei a definire storico: è la prima volta, infatti, che l’Italia stipula un’intesa di questa portata con un Paese estero. L’iniziativa che ha portato alla firma del Trattato è venuta dal Presidente Macron che ha avviato contatti già durante la premiership di Paolo Gentiloni: l’avvicinamento tra Parigi e Roma ha poi conosciuto più di recente un’accelerazione, sotto la Presidenza Draghi. Non è infatti un mistero che Macron e Draghi siano legati da un rapporto di reciproca stima e fiducia. Nell’ottica di Macron, d’altra parte, la Francia ha bisogno della sponda italiana per ridefinire la politica dell’Unione europea su alcuni dossier prioritari come i criteri di Maastricht, la politica migratoria e la difesa comune.

Ciò detto, rimane da vedere che uso le autorità politiche dei nostri due Paesi vorranno fare delle opportunità che il Trattato offre, per fare ulteriori passi in avanti rispetto alla cooperazione già esistente tra i due Paesi, come ad esempio in ambito universitario o industriale. Su questo punto, nutro personalmente qualche dubbio, non tanto per quanto riguarda l’impegno italiano bensì per quello francese. Basta guardare alla diversa copertura stampa che i media dei due Paesi hanno riservato alla notizia della firma del Trattato: in Italia i giornali ne hanno parlato ampiamente, in Francia l’interesse è stato minore. In fondo sembra prevalere la forza dell’abitudine, l’idea che il rapporto privilegiato per Parigi rimanga quello con Berlino. Questo rapporto potrebbe tuttavia evolvere verso una “storia a tre” oppure fermarsi prima, a un livello “due e mezzo”: la mia idea è che si vada piuttosto verso questa seconda direzione. Anche perché al momento non sappiamo quale sarà lo scenario politico che uscirà dalle elezioni in Italia del prossimo anno: non è detto che i partiti che risulteranno vincitori condividano lo stesso entusiasmo per il Trattato dell’attuale Esecutivo…

Testo e foto pubblicati per gentile concessione di Eastwest, magazine di geopolitica diretto da Giuseppe Scognamiglio www.eastwest.eu

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