Silvio Berlusconi se n’è andato. L’Italia non ne avrá nostalgia, né l’avranno gli italiani o i suoi avversari e denigratori e, penso, neppure gli uomini e le donne del suo partito, da sempre smaniosi di uscire dalla sua ombra ingombrante. E’ stato il politico che è rimasto in carica più a lungo – 3339 giorni- nel ruolo di presidente del Consiglio dell’Italia repubblicana uscita dal secondo conflitto mondiale e ha presieduto i due governi più duraturi da Dopoguerra. Ha rottamato la Prima Repubblica, ha rivoluzionato il mondo dell’editoria, dei media -è stato il padre della televisione commerciale- della grande distribuzione, delle assicurazioni e persino dello sport e calcio. Lascia ai suoi eredi un patrimonio personale stimato, secondo la rivista americana Forbes, 7,3 miliardi di dollari(circa 6 miliardi di euro), nelle classifica del 2021 figurava come il sesto uomo più ricco d’Italia e il 318º del mondo.
È stato imputato in oltre venti procedimenti giudiziari. Nel 2013 è stato condannato in via definitiva a quattro anni di reclusione e all’interdizione ai pubblici uffici per due anni per frode fiscale, decadendo quindi da senatore e cessando di essere un parlamentare dopo quasi vent’anni di presenza ininterrotta nelle due camere, dall’aprile 1994 al novembre 2013.
Tornato candidabile nel 2018, è stato eletto parlamentare europeo alle elezioni del 2019 e alle ultime politiche, quelle del 25 settembre scorso, ha vinto nel collegio uninominale di Monza, tornando a Palazzo Madama dopo nove anni di assenza.
Era uno che amava la bella vita e non si faceva mancare nulla. Aveva indubbiamente carisma, ma non è mai riuscito, nonostante le sue straordinarie doti comunicative a farsi la fama dello statista. All’estero piú chhe per i goal significativi messi a segno in politica era conosciuto per il bunga bunga, espressione diventata nota a partire dal 2010 per indicare i festini a sfondo erotico organizzati nelle sue sfarzose ville.
Che ricordo ci resterá di lui? Probabilmente l’immagine di un uomo che ha lottato per rimanere vivo e giovane fino all’ultimo. Un’immagine che, finita la retorica degli addi, andrá sbiadendo sopraffatta delle nebbie dell’oblio. Tra le sue promesse, rammenteremo le uniche che ha mantenuto, ossia l’abolizione della tassa sull’ ereditá (2001) e l’abolizione dell’Imu sulla prima casa (2008), che presto qualcuno cercherá di cancellare nuovamente. E poi amarezza. Amarezza per l’occasione mancata che Berlusconi ha incarnato per il nostro paese. L’occasione, l’unica che abbiamo avuto finora, di un grande balzo in avanti in chiave finalmente e autenticamente liberale, che avrebbe spazzato via i nostalgismi tutti nostrani da una parte veterocomunisti e dall’altra veterofascisti, che da sempre alimentano la vischiositá della nostra politica. Peccato, non ce l’ha fatta. Forse non ha avuto i consiglieri giusti, forse si è concentrato sulla sua personale scalata politica ed economica e ha scelto la via piú facile, quella del populismo, consegnandoci al cupo futuro che stiamo vivendo oggi.