Cina e Russia, un’amicizia ambigua e asimmetrica

L’avventurismo militare di Putin imbarazza Pechino che guarda all’ex Urss come un esempio da non imitare. Ma ostentare la presunta solidità di un’alleanza è funzionale agli obiettivi cinesi in Asia Pacifico

di Lorenzo Lamperti

La cornice è spessa e luminosa. Il quadro, però, è appena abbozzato. Alleanza, partnership strategica, amicizia senza limiti. Sono alcune delle formule utilizzate per definire le relazioni tra Cina e Russia. Cercare di entrare nelle pieghe di questo rapporto, suggellato dalla visita di Vladimir Putin a Xi Jinping del 4 febbraio scorso per l’apertura dei Giochi Olimpici Invernali di Pechino, non è solo un esercizio lessicale. Soprattutto dopo la guerra in Ucraina, che sta mettendo in luce come tante presunte alleanze siano state magnificate in un mondo non (ancora) diviso in sfere d’influenza e nel quale i posizionamenti e gli interessi sono profondamente asimmetrici. Un mondo nel quale la Russia, dalla guerra in Crimea in poi, si è avvicinata sempre più alla Cina. Dopo essersi accorta che la guerra commerciale di Donald Trump celava il desiderio ben più vasto di contenerne l’ascesa, a sua volta Pechino si è avvicinata a Mosca. Una comunione d’intenti innanzitutto retorica, basata sull’ostilità nei confronti di Stati Uniti e Nato, ancor prima che commerciale o soprattutto militare.

La Cina guarda alla Russia soprattutto come un esempio da non imitare. Il crollo verticale dell’Unione Sovietica è una lezione alla quale il Partito comunista continua a guardare per non ripetere gli stessi errori. Le conseguenze della perestrojka di Gorbacev, bollata come “liberalizzazione borghese” da Deng Xiaoping, hanno convinto Pechino che le riforme economiche non avrebbero dovuto essere accompagnate da riforme politiche. Gli avventurismi militari del nostalgico Putin hanno creato più di un imbarazzo a Xi Jinping. Non è un caso che la Cina non abbia mai riconosciuto la Crimea, così come non riconosce ora le repubbliche secessioniste di Donetsk e Lugansk. I motivi sono molteplici. Il primo: per non subire quelle che considera interferenze esterne su dossier come Hong Kong e soprattutto Taiwan, Pechino non può che difendere l’integrità territoriale degli altri paesi “parte dell’Onu” (e dunque non di Taipei), Ucraina compresa. Il governo cinese non ha peraltro mancato di sottolineare le differenze tra Taipei e Kiev, sostenendo che la Cina è “l’unico membro permanente del consiglio di sicurezza a non aver completato la propria riunificazione”. Il secondo: ciò comporterebbe la rottura dei rapporti con l’Occidente.

Pechino tesse da decenni la sua tela ed è convinta di potersi mettere al centro del palcoscenico globale grazie alle sue arti diplomatiche e ai suoi tentacoli commerciali ormai insinuatisi in tutto il mondo attraverso la Belt and Road. Dietro le quinte, il fastidio per i colpi di testa russi non manca. Mosca è vista come il partner irascibile che invadendo l’Ucraina rischia di gettare in aria un tavolo sul quale Pechino muoveva con pazienza le proprie pedine convinta di avere il tempo dalla sua parte. I passi cinesi verso la Russia erano stati fatti in maniera visibile, apposta per essere visti. Con parole ripetute a voce alta, apposta per essere udite. Ostentare la profondità di un’alleanza non ancora compiuta sul piano concreto è considerato strategico, insieme leva negoziale e deterrente nei confronti dei rivali.

Diversi segnali, dalla mancanza di un piano di evacuazione dei cittadini cinesi alla macchina retorica che si era già messa in moto per giustificare la “piccola incursione” nel Donbass di cui aveva parlato anche Joe Biden, lasciano pensare che il governo cinese non si aspettasse un’azione su così larga scala. Nonostante questo, non può apertamente condannarla. La firma del documento congiunto solo qualche settimana prima dell’invasione, nonché il forte rapporto anche personale tra Xi e Putin, fanno sì che per Pechino sia impossibile scaricare Mosca. Da una parte per non creare problemi sul fronte interno, già aperti dai malumori sulla strategia zero Covid e per il rallentamento dell’economia, nell’anno del XX Congresso e della probabile terza investitura di Xi. Dall’altra perché incolpare la Nato e gli Usa della guerra è funzionale agli obiettivi cinesi in Asia-Pacifico. Per la Cina l’estensione a est dell’Alleanza Atlantica è la prova che Washington abbia gettato “benzina sul fuoco”, causando il conflitto. Allo stesso modo, iniziative come Quad o Aukus sono lette come tentativi di “accerchiare” Pechino che, dunque, se dovesse reagire in qualche teatro come Taiwan o il mar Cinese meridionale lo farebbe in reazione alla “minaccia” portata dagli Usa e i suoi alleati. Anche perché Xi sa che per il Pentagono la Russia è come uno tsunami, mentre la Cina è il cambiamento climatico.

Allo stesso tempo, pur diffondendo la propaganda anti occidentale sui propri media, Pechino non può nemmeno appoggiare esplicitamente l’invasione russa. Nonostante si stia preparando già da tempo a rendersi più impermeabile alle turbolenze esterne: autosufficienza tecnologica, doppia circolazione e prosperità comune hanno tutte questo obiettivo. Ma la transizione da fabbrica del mondo a società di consumi non è ancora completata e l’economia cinese continua a reggersi su progetti infrastrutturali a debito ed esportazioni. In un ipotetico decoupling, o in un ritorno di un mondo a blocchi, la Cina avrebbe molto da perdere. La Russia sta provando a tirare fuori la Cina dalla sua ambiguità strategica, per esempio alimentando le tensioni col vicino Giappone sulle isole Curili o intensificando i passaggi navali nello stretto di Tsugaru.

Ma dietro la coltre retorica, sul piano pratico la Cina non sta venendo meno alla sua neutralità. Vero che nel primo trimestre del 2022 l’interscambio commerciale è aumentato del 30,45% rispetto allo scorso anno. Ma è altrettanto vero che la rapidità dell’aumento è diminuita rispetto a 12 mesi fa (+35,8%) e l’aumento registrato a marzo (+12,76%), quindi dopo l’invasione, è stato molto più blando di quello registrato a febbraio (25,7%). Non solo. Le raffinerie statali stanno onorando i contratti esistenti sul petrolio russo, ma stanno evitando di siglarne di nuovi, nonostante i forti sconti promessi dal Cremlino. Per quanto riguarda i rapporti energetici, il gas che per ora fluisce verso l’Europa non ha una via alternativa verso la Cina. UnionPay, elaboratore di carte di credito cinese, sta rifiutando le richieste di assistenza delle banche russe, che cercano alternative dopo che Visa e MasterCard hanno sospeso le operazioni nel paese. Persino Huawei, il colosso tecnologico finito nel mirino dell’amministrazione Trump, ha messo in pausa le proprie operazioni in Russia. Se non dovesse riavviarle presto le conseguenze per Mosca sarebbero rilevanti. Tutti elementi che dimostrano come la Cina voglia evitare a tutti i costi di finire nel mirino di sanzioni internazionali. Per questo, pur condannandole a livello politico, in larga parte le rispetta a livello commerciale.

Le asimmetrie tra Cina e Russia non sono finite. Basti pensare ai rapporti stretti che Mosca intrattiene con India e Vietnam. Entrambi i paesi spendono cifre ingenti per assicurarsi armi e sistemi difensivi russi. Entrambi i paesi sono rivali regionali di Pechino. Con l’apparente paradosso che Nuova Delhi utilizza droni armati spediti dal Cremlino per pattugliare l’enorme confine conteso con la Repubblica popolare, dove gli scontri violenti di circa due anni fa hanno causato una crisi diplomatica e strategica ancora irrisolta. Mentre Hanoi naviga con sottomarini made in Russia nelle acque contese del mar Cinese meridionale. Lungo la via artica, sulla quale Xi conta per implementare la sua “Via della Seta polare”, la Russia ancora non apre alle navi del gigante asiatico la rotta più interna e dunque più vicina alle sue coste e infrastrutture sensibili. La rottura totale dei rapporti con l’Occidente può portare Mosca a rivedere le sue posizioni e divenire sempre più quello che non vorrebbe essere: il fratello minore della Cina. Durante la guerra fredda, quel ruolo spettava a Mao Zedong, il quale aprì la porta agli Usa per dismetterlo. Nell’idea di “futuro condiviso” di Xi quel posto potrebbe essere riservato a Putin.

Testo e foto pubblicati per gentile concessione di Eastwest, magazine di geopolitica diretto da Giuseppe Scognamiglio www.eastwest.eu

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