Corte di giustizia Ue, confermata la condanna a Google per 2,4 miliardi

Con la sentenza del 2024, la Corte di Giustizia UE ha respinto definitivamente il ricorso di Google, confermando sia l’ammenda che la decisione del Tribunale. Il colosso di Cupertino è stato multato per abuso di posizione dominante

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha confermato la sanzione di 2,4 miliardi di euro inflitta a Google per aver abusato della sua posizione dominante, favorendo il proprio servizio di comparazione di prodotti. Google e la sua holding Alphabet avevano fatto ricorso contro la decisione, ma la Corte ha respinto le loro richieste, mantenendo inalterata la sentenza emessa dalla Commissione Europea nel 2017.

Il contesto della sanzione

Nel giugno del 2017, la Commissione Europea aveva accusato Google di aver abusato della sua posizione dominante nel mercato della ricerca online in 13 Paesi dello Spazio Economico Europeo (SEE). In particolare, Google aveva favorito il proprio comparatore di prodotti nei risultati di ricerca rispetto a quelli dei concorrenti. Questa pratica avveniva attraverso una posizione di rilievo nel motore di ricerca, con l’inserimento di “boxes” attraenti contenenti informazioni visive e testuali sui prodotti di Google, mentre i comparatori di terze parti venivano relegati a semplici link generici.

Le accuse di abuso di posizione dominante

Secondo la Commissione Europea, Google avrebbe manipolato i risultati di ricerca per avvantaggiare i propri servizi, danneggiando i concorrenti nel mercato dei servizi di comparazione di prodotti. Questo comportamento avrebbe violato le regole antitrust dell’UE, che vietano lo sfruttamento abusivo di una posizione dominante. Alphabet, come società madre di Google, è stata ritenuta responsabile per un importo di 523,5 milioni di euro della sanzione totale.

Il ricorso e la decisione del Tribunale

Google e Alphabet hanno contestato la decisione davanti al Tribunale dell’Unione Europea, che nel novembre 2021 ha in parte confermato l’ammenda. Tuttavia, il Tribunale ha escluso che le pratiche di Google abbiano avuto un impatto anticoncorrenziale anche nel mercato della ricerca generale. Per questo motivo, la Corte ha annullato quella parte della decisione della Commissione, ma ha confermato la condanna per il mercato della ricerca specializzata sui prodotti.

La sentenza definitiva della Corte di Giustizia

Con la sentenza del 2024, la Corte di Giustizia UE ha respinto definitivamente il ricorso di Google, confermando sia l’ammenda che la decisione del Tribunale. La Corte ha ribadito che l’abuso di posizione dominante si verifica quando un’impresa dominante adotta comportamenti che ostacolano la concorrenza, come nel caso specifico in cui Google ha dato un trattamento preferenziale ai propri servizi, danneggiando i concorrenti.

La reazione di Google

Dopo la sentenza, un portavoce di Google ha espresso delusione per la decisione della Corte, sostenendo che i fatti del caso fossero molto specifici e che Google avesse già implementato modifiche per conformarsi alle richieste della Commissione nel 2017. Il portavoce ha inoltre sottolineato che, da allora, l’approccio di Google ha portato miliardi di clic a oltre 800 servizi di comparazione prezzi in tutto il mondo.


Apple: confermata la sentenza sui tax ruling in Irlanda

Nella stessa giornata, la Corte di Giustizia UE ha emesso un’altra decisione di rilievo, riguardante Apple e i cosiddetti ‘ruling’ fiscali concessi dall’Irlanda. La Corte ha confermato la decisione della Commissione Europea del 2016, che considerava illegali gli accordi fiscali tra Apple e il governo irlandese.

Il caso dei ruling fiscali

La Commissione Europea aveva accusato l’Irlanda di aver concesso ad Apple vantaggi fiscali illegali, consentendo al colosso tecnologico di pagare meno tasse sui profitti realizzati in Europa. Secondo la Commissione, questi vantaggi costituivano un aiuto di Stato illegittimo. La Corte ha ora confermato la necessità per l’Irlanda di recuperare tali aiuti.

La reazione di Apple

Apple ha espresso disappunto per la sentenza, affermando che la questione non riguardava la quantità di tasse pagate, ma piuttosto il governo a cui versarle. La società ha sottolineato di aver pagato tutte le tasse dovute, ma di essere in disaccordo con la Commissione UE riguardo all’interpretazione delle regole fiscali internazionali. Secondo Apple, i profitti tassati in Irlanda erano già soggetti a imposte negli Stati Uniti.

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