L’elezione diretta del premier, cosí come proposta dal disegno di legge costituzionale approvato il 3 novembre dal Consiglio dei Ministri, rischia di provocare squilibri all’interno della Costituzione, che è un organismo vivo, una sorta di sistema di vasi comunicati, dove se aggiungi acqua in un contenitore, modifichi anche il livello dell’altro che ad esso è collegato. A ricorrere a questa metafora per esemplificare la sua idea sulla riforma del premierato é il prof. Andrea Manzella, costituzionalista e politico, presidente del Centro di studi sul Parlamento della Luiss che ad Associated Medias si dichiara decisamente piú favorevole, se l’obiettivo è quello di assicurare maggiore stabilitá all’esecutivo, al modello del Cancellierato alla tedesca, sia pur rivisto ad esempio nel sistema di votazione che al Bundestag è segreta e non è preceduta da dibattito. E nel quale il cancelliere non deve essere necessariamente membro del parlamento e può essere cambiato prima della scadenza del suo mandato solo con le dimissioni volontarie o tramite la cosiddetta sfiducia costruttiva, in base alla quale non basta la maggioranza semplice, ma occorre la maggioranza assoluta dei voti, cioè il 50%+1. E’ sul Parlamento, che, come scrive il costituzionalista nel suo saggio del 2020 “ Elogio dell’Assemblea”, “serve ancora eccome” che bisogna accendere i riflettori per elaborare un progetto nuovo.
Ecco l’intervista:
D. Professor Manzella, quali sono i punti deboli e i punti forti della riforma costituzionale del premierato proposta dal governo Meloni?
Andrea Manzella. Il punto forte è la sovranità popolare a cui la riforma direttamente si allaccia. Il punto debole è l’insanabile squilibrio che -di per sé- l’elezione diretta determina in un sistema nato e consolidato come parlamentare, cioè mediato.
D. E’ vero che, come sostiene qualcuno, una riforma del genere rischia di indebolire il parlamento e di creare una profonda frattura istituzionale tra il premier e il presidente della Repubblica e tra il premier eletto e chi punta a sostituirlo (nel senso che il secondo premier della legislatura, non ricevendo un mandato popolare a governare, avrebbe più poteri del premier eletto dai cittadini, disponendo solo lui dell’arma dello scioglimento delle Camere) ?
Andrea Manzella. La Costituzione non è un meccanismo ma un organismo. Ogni modifica in esso implica reazioni in stretta corrispondenza. Se assegni una legittimazione derivante da potere popolare immediato ad un suo organo, è evidente che il presidente della Repubblica, organo che ha una legittimazione mediata, attraverso il Parlamento in seduta comune, ne esca sostanzialmente indebolito nei suoi poteri: anche se questi rimanessero formalmente identici. Quanto al parlamento, il meccanismo elettorale lo riduce a “bagaglio presso” del leader protagonista : difficile una sua vera autonomia. Il congegno del second best conduce, poi, nel migliore dei casi ad un ticket elettorale (tipo Usa ). Nel peggiore ad una rivalità permanente nella coalizione per un secondo premierato (che sarebbe poi virtualmente permanente sino a nuove elezioni dato il simul stabunt con il parlamento ). Una soluzione potrebbe essere un nuovo “patto della staffetta” ( ma già provato, malamente, con De Mita-Craxi).
D. L’ Assemblea Costituente respinse la proposta di presidenzialismo avanzata da Piero Calamandrei, per evitare all’Italia appena uscita dal fascismo la tentazione di nuove derive autoritarie Questi rischi sussistono ancora oggi , a suo avviso, nel nostro paese. O le istituzioni democratiche sono ormai cosí forti e collaudate che non c’è nulla da temere?
Andrea Manzella. Mah : contro il pericolo del “tiranno” ci sono ora contropoteri interni abbastanza consolidati (corte costituzionale, Autorità indipendenti,la Magistratura,lo stesso presidente della Repubblica,indebolito ma “vivo”). E,forse soprattutto, poteri di contrasto dell’Unione Europea,con i suoi meccanismi di condizionalità finanziaria. Il fatto è che quando rompi l’equilibrio interno di un organismo non sai dove lo squilibrio ti può alla fine condurre.
D. A suo avviso si arriverá al referendum o la riforma ha possibilitá di farcela in parlamento ? E perché é stato scelto come primo step il senato?
Andrea Manzella. Difficile trovare accordi quando il punto di partenza non negoziabile è l’elezione diretta che scompiglia ,come ha detto la Meloni,la “base del sistema”. Puntare senza compromessi al referendum ,nella probabilità di un esito positivo ,potrebbe addirittura convenire alla maggioranza di governo.Certo,un istruttivo precedente ci dice che anche la DC era sicura di vincere il referendum sul divorzio. Andò diversamente.