Europa, nuovi equilibri: le innnovazioni dell’asse Italia-Francia dopo la rielezioni di Macron

Il neo presidente salva la Francia europea e anche il Trattato del Quirinale, che tra le varie novità prevede anche la partecipazione dei Ministri dei due Paesi alle rispettive riunioni di Governo, su base semestrale

di Enrico Martial

Senza la vittoria di Emmanuel Macron alle elezioni presidenziali del 24 aprile scorso, il Trattato italo-francese del Quirinale sarebbe rimasto lettera morta. Marine Le Pen è esplicitamente ostile al multilateralismo, a favore di un’Europa di stati sovrani di impronta ottocentesca, o westfaliana, con bilateralismi a timbri e ceralacca, lenti e formali, se non conflittuali. Contro il Trattato di cooperazione franco-tedesco di Aquisgrana del 22 gennaio 2019 fece una campagna feroce, arricchita da varie post-verità, che impose una contro campagna di sminamento da parte di vari giornali, tra cui Le Monde, e dello stesso servizio di comunicazione dell’Eliseo, in piena crisi dei gilet gialli e con i social media infiammati. Le Pen più volte ha auspicato la fine del tandem franco-tedesco, e non sarebbe stato diverso per le relazioni italo-francesi.

Al netto delle pulsioni populiste, il Trattato del Quirinale firmato a Roma il 26 novembre 2021 costituisce una cornice che travalica la contingenza politica. Nell’immediato, il suo impulso deriva dalla volontà e dalle buone relazioni tra il Presidente Emmanuel Macron, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il Presidente del Consiglio Mario Draghi. Se ne attende la ratifica parlamentare, dopo le elezioni legislative del 12 e 19 giugno prossimi in Francia e prima delle elezioni politiche in Italia nel 2023.

Il Trattato ha un rilievo non soltanto bilaterale. Fa parte di una dinamica di rafforzamento della collaborazione dei tre grandi Paesi fondatori, ItaliaFrancia e Germania, che ha già detto del suo apprezzamento, in una logica che ricorda i “cerchi concentrici” della costruzione europea degli anni Novanta, da estendersi alla Spagna e ai Paesi più piccoli e fondatori. L’idea è cresciuta nei Trattati (da Amsterdam a Nizza e a Lisbona con il concetto di “cooperazioni rafforzate”), in tempi di Brexit e di spinte centrifughe e populiste, con i casi almeno della Polonia e dell’Ungheria. Vi si legge una maggiore responsabilità dell’Italia nei processi decisionali comuni, in particolare europei. Sul piano bilaterale, il coinvolgimento italiano rende meno faticoso il tandem franco-tedesco. Lo si è intravvisto nei tentativi di europeizzazione delle politiche sul Sahel francese, tra russi di Wagner, forza europea Takuba e acquisizione della logistica e dei porti africani dal gruppo Bolloré all’italo-svizzera MSC della famiglia Aponte.

Il Trattato di “cooperazione rafforzata” è d’altra parte accompagnato da un Programma di lavoro in undici punti, che vanno dagli esteri alla cooperazione industriale, dalla sicurezza sanitaria alla cultura, in un elenco fitto di attività, che coinvolgono uffici, le Confindustrie, scuole e università, servizi alle imprese, treni, infrastrutture digitali, acqua, patrimonio forestale, semplificazione legislativa, questioni migratorie, protezione ambientale e civile, cultura. È un programma denso almeno quanto il Pnrr, con meno vincoli di attuazione ma ben dettagliato, in cui ogni capitolo comporta lavoro su punti precisi.

Alcuni fili rossi ne consentono una prima lettura. Gran parte delle azioni intendono rafforzare nei due Paesi le ricadute di politiche europee o internazionali già in corso: per esempio sul cambiamento climatico o sul digitale, o sulle politiche dello spazio, in cui già si lavora da anni con Thales Alenia Space. La seconda linea comune riguarda il valore aggiunto che deriva dal lavoro comune rispetto all’agire individuale, con ricadute economiche e di coesione sociale, in assorbimento anche delle tensioni interne, che vengono dalle crisi economiche e ora anche sanitarie e militari. Sul piano dell’agire bilaterale, per parte italiana, va rilevato come la Francia apra spazi di cooperazione nella propria area tradizionale di politica estera, come si è già visto nell’Africa subsahariana ma anche nell’Indo-Pacifico, la cui stessa parola è per noi poco abituale. Nel bene e nel male, l’europeizzazione costituisce per la Francia di Macron – e per la Francia “repubblicana” e non sovranista – il metodo per superare l’isolamento nell’affrontare temi globali.

In terzo luogo, si legge un processo di familiarizzazione, o di banalizzazione delle relazioni, con consultazioni stabili e informali per ogni ambito di lavoro e di ufficio, cioè anche alzando il telefono. Sono previsti meccanismi di scambio, di formazione comune, di condivisione di pratiche e di esperienze. È la cornice di conoscenza e di prevenzione delle incomprensioni che si sono viste nel 2019 sui temi migratori e dei gilet gialli, o nel caso della mancata acquisizione di Fincantieri a Saint-Nazare.

Ancora prima della ratifica del Trattato, malgrado la campagna elettorale per le presidenziali, il 15 febbraio scorso a Parigi, la firma della Ministra e della segretaria di Stato per le politiche giovanili, Giovanna Dadone e Sarah El Hairy, ha avviato un progetto per un servizio civile italo-francese, a cui si deve anche il seminario bilaterale del 22 aprile a Roma. Alla vigilia dell’attacco russo dell’Ucraina, Il 24 febbraio, il Ministro degli Esteri Jean-Yves Le Drian era a Roma. Avrebbe potuto anche assistere al Consiglio italiano dei Ministri, se il Trattato fosse stato ratificato: tali partecipazioni alle rispettive riunioni di governo sono previste su base semestrale. Dopo anni di tiepida cooperazione, nella zona della Valle Roja, di Ventimiglia e Mentone si vedono segnali di progresso sui trasporti (la ferrovia Cuneo-Nizza) e nelle relazioni tra i sindaci. Un gruppo di lavoro si è costituito tra laboratori dell’Università di Nizza e del Consiglio nazionale delle ricerche (ISSIRFA) sulla cooperazione transfrontaliera, per la quale il Trattato prevede un Comitato apposito composto dai diversi livelli, locale, regionale e statale. Nell’agenda del Comitato ci sono progetti in materia di plurilinguismo, scuola, ricerca e università, mobilità, ambiente, salute, sicurezza, politiche del mare e della montagna. Il programma europeo Interreg Alcotra Italia-Francia 2021-2027 ne ha già richiamato diversi contenuti.

L’ambizione e il dettaglio del Trattato e dello schema di attuazione suggeriscono che ci vorrà comunque del tempo. Alcune piste di lavoro sono in corso, dal dialogo tra i ministri dello sviluppo, Giancarlo Giorgetti e Bruno Le Maire, sulle politiche industriali al rafforzamento di azioni comuni esistenti, come il doppio diploma ESABAC di maturità e di baccalauréat. In altri ambiti molto è da costruire e inventare: la Francia porta con sé l’esperienza franco-tedesca, altre pratiche vengono da Paesi europei, nella cooperazione sanitaria o sull’innovazione tecnologica.

Per parte italiana, nelle persone e strutture, si tratterà di un robusto esercizio di aggiornamento a meccanismi europei a cui già partecipiamo, per esempio a Bruxelles. Saranno richiesti sia competenze e puntualità, sia un atteggiamento responsabile e attivo, capace di contribuire e affermare, né cedevole, né arroccato in difesa passiva e arrabbiata. L’Italia, a tutti i livelli, dispone di capacità e persone, da selezionare e da rendere capaci di produrre valore aggiunto nei diversi settori, di condividere esperienze allargando le capacità e le forze. Una certa dose di concorrenza tra Italia e Francia andrà riconosciuta e ammessa, come avviene a livello interno, per esempio tra Piemonte e Lombardia sullo sviluppo.

Infine, per parte italiana e francese, ci sarà da aggiornare la comprensione e la conoscenza reciproca. Abbiamo ereditato dall’Ottocento e primo Novecento alcuni stereotipi, pregiudizi e paure, che limitano la nostra capacità di analisi del reale. L’Italia non è un Paese che trova sempre una soluzione e che arriva in ritardo alle riunioni. La Francia è lontana dagli stereotipi della “grandeur” e si trova confrontata a diverse tensioni e a varie fratture sociali e territoriali, tra nordest e ovest, città e campagna, tra gruppi sociali – dirigenti, quadri, impiegati – e generazionali. Occorrerà un grande lavoro nell’informazione e negli studi.

Questo articolo è pubblicato anche sul numero di maggio/giugno di eastwest. Testo e foto pubblicati per gentile concessione di Eastwest, magazine di geopolitica diretto da Giuseppe Scognamiglio www.eastwest.eu

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