La sentenza di primo grado, che aveva condannato a 270 anni di carcere complessivi 37 imputati, tra cui i proprietari, dirigenti dell’acciaieria e politici locali, è stata dichiarata invalida
Il processo legato all’inquinamento causato dall’ex Ilva di Taranto, noto come “Ambiente Svenduto”, è stato annullato dalla Corte d’assise d’appello di Lecce. La sentenza di primo grado, che aveva condannato a 270 anni di carcere complessivi 37 imputati, tra cui i proprietari, dirigenti dell’acciaieria e politici locali, è stata dichiarata invalida. Tra i condannati figuravano Fabio e Nicola Riva, ex proprietari dell’impianto, e l’ex presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola. Il nuovo processo si terrà a Potenza.
Motivazioni della Corte d’Appello
I giudici d’appello hanno accolto le argomentazioni della difesa dei Riva, che aveva sollevato dubbi sull’imparzialità dei magistrati del primo grado. Secondo la difesa, alcuni giudici vivevano nelle stesse aree della città colpite dall’inquinamento dell’ex Ilva e, in quanto potenziali vittime del disastro ambientale, non avrebbero potuto esprimere un giudizio imparziale. La Corte ha così stabilito che il processo dovrà essere rifatto da zero in una sede diversa, designando Potenza come nuova sede per il procedimento.
La sentenza di primo grado e le condanne
La sentenza del 31 maggio 2021 aveva stabilito condanne pesanti per i principali responsabili del disastro ambientale. Fabio e Nicola Riva, rispettivamente a capo dell’acciaieria, furono condannati a 22 e 20 anni di carcere. Girolamo Archinà, responsabile delle relazioni istituzionali del gruppo, aveva ricevuto una condanna a 21 anni e sei mesi. Tra i politici, Nichi Vendola, ex governatore della Puglia, era stato condannato a 3 anni e sei mesi per concussione aggravata in concorso. La sentenza, inoltre, prevedeva la confisca degli impianti e di 2,1 miliardi di euro, ritenuti illeciti profitti per l’ex Ilva.
Reazioni e preoccupazioni della cittadinanza e delle associazioni
La decisione della Corte d’appello ha suscitato profonda delusione nella comunità tarantina e tra le associazioni ambientaliste e civiche. L’associazione “Giustizia per Taranto” ha espresso rabbia, sottolineando che l’annullamento della sentenza rappresenta un duro colpo per la città. La prospettiva di ripartire da zero con un nuovo processo aumenta il rischio di prescrizione per molti reati. Anche il Codacons ha criticato duramente la decisione, sostenendo che la sentenza rischia di avvantaggiare gli imputati e di ritardare ulteriormente il riconoscimento dei diritti delle vittime dell’inquinamento.
Le posizioni di Legambiente e dei Verdi
Legambiente ha definito la decisione “sconvolgente”, ribadendo che nonostante gli aspetti procedurali, la gravità del disastro ambientale di Taranto resta indiscutibile. Secondo Stefano Ciafani, presidente nazionale dell’associazione, il rischio è che i reati vadano prescritti, rendendo difficile ottenere giustizia. Angelo Bonelli, leader dei Verdi, ha parlato di una ferita ulteriore inferta alla città, esprimendo sconcerto per l’idea che le responsabilità delle malattie e delle morti legate all’inquinamento possano rimanere impunite.
Prospettive future
Con la nuova sede del processo stabilita a Potenza, le associazioni ambientaliste, tra cui Legambiente, hanno annunciato la loro intenzione di costituirsi parte civile anche nel nuovo procedimento. Tuttavia, rimane alta la preoccupazione per la possibilità che la lunghezza del nuovo processo e il decorso del tempo possano portare alla prescrizione di molti dei reati contestati, rendendo sempre più difficile ottenere giustizia per le vittime del disastro ambientale che ha colpito la città di Taranto.
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