Con chiaro riferimento al Washington Consensus, il programma cinese, coniato nel 2004, vuole portare avanti l’idea di un modello di sviluppo alternativo al mondo guidato dagli Stati Uniti e fondato sui valori occidentali
di Gabriele Manca
Il ritorno della guerra in Europa ha scosso profondamente lo status quo dell’ordine internazionale, dando inizio ad un processo di transizione che era nell’aria già da diversi anni. Ad oggi, il conflitto in Ucraina ha un finale tutt’altro che scontato, rendendo ugualmente imprevedibile lo scenario che emergerà quando si sarà conclusa. Quello che però è già sotto i nostri occhi è la frattura, difficilmente riparabile, tra Occidente e Russia, nonché la nascita di un assetto bipolare con due potenze egemoni, economicamente e politicamente, gli Stati Uniti e la Cina. Mentre gli Usa lottano per mantenere la loro posizione di leadership nell’attuale assetto internazionale, la Cina sembra aver concluso la sua ascesa entrando in un nuova e complessa fase: essere l’altra grande superpotenza, portatrice di una visione del mondo molto distante dai valori occidentali.
Il Beijing Consensus
“La Cina sta scrivendo il proprio libro. Il libro rappresenta una fusione del pensiero cinese con le lezioni apprese dal fallimento della cultura della globalizzazione in altri luoghi. Il resto del mondo ha iniziato a studiare questo libro” (Ramo, 2004)
Nel 2004 lo studioso John C. Ramo coniò la parola “Beijing Consensus”, un concetto che sarebbe poi diventato indispensabile per il dibattito geopolitico sul nuovo ruolo di Pechino nel mondo. Esso vuole essere un chiaro richiamo al Washington Consensus, ed esprimere l’idea che il modello di sviluppo cinese si presenta come un’alternativa al mondo guidato dagli Stati Uniti e fondato sui valori occidentali. Il Beijing Consensus ha trovato nella crisi finanziaria del 2007-2008 il suo grande momento di affermazione. La crisi rappresenta per molti il fallimento del paradigma di sviluppo occidentale, mettendo in luce tutti gli squilibri che questo aveva accumulato negli anni.
Il sistema economico degli Stati Uniti e dei Paesi europei fu fortemente colpito, mettendo a dura prova anche il sistema sociale. Diversamente, il modello Cinese mostrò una grande resilienza riuscendo a mantenere buoni livelli di crescita economica e stabilità sociale. Di conseguenza, molti Paesi in via di sviluppo iniziarono a vedere Pechino come una valida alternativa al modello occidentale; questo avvenne soprattutto in quei Paesi che avevano sperimentato le politiche neoliberiste del Washington Consensus prescritte dal Fondo monetario internazionale e dalla Banca mondiale, senza trarne beneficio. A rendere il modello Cinese così attraente è il fatto che per ricevere prestiti, fondi o ingaggiare una partnership economica con Pechino non è necessario supportare determinati valori economici e politici: infatti, la Cina ha fatto del pragmatismo e della “non interferenza” negli affari domestici altrui i suoi cavalli di battaglia, riscuotendo grande successo nei Paesi in Via di Sviluppo non liberali (o non liberisti) e nei nemici giurati degli Stati Uniti. Ne è un esempio la Russia che oggi, per distaccarsi dall’Occidente, è sempre più vicina a Pechino, come dimostra il nuovo accordo tra Gazprom e China National Petroleum Corporation, il quale eleva lo yuan a nuova valuta di scambio tra i due colossi, sostituendo definitivamente il dollaro. La Crisi Ucraina e la conseguente divisione del sistema internazionale tra chi supporta le azioni di Mosca e chi, invece, supporta Kiev potrebbe essere un nuovo spartiacque per l’ascesa del Beijing Consensus.
Il futuro del Beijing Consensus passa per la Nuova Via della Seta
Il nuovo contesto internazionale implica grandi cambiamenti per la Cina, ai quali se ne aggiungono altri collegati alla transizione interna che il dragone asiatico sta affrontando. Dopo anni di sviluppo irrefrenabile sopraggiungono una serie di fragilità e nuove sfide che il Paese deve superare per continuare la sua ascesa. Già prima del Covid si era parlato di una “nuova normalità”, riferendosi all’assestamento su livelli più bassi della crescita economica cinese. Si potrebbe considerare come una trappola del medio-reddito, ovvero quel momento in cui raggiunto un certo livello di sviluppo risulta difficile andare oltre, se non attraverso un grande salto di qualità. Pechino si è messa in moto per sfuggire alla trappola cercando di reindirizzare il proprio piano economico, da uno fondato sull’export di beni a basso valore aggiunto ad uno fondato sull’innovazione, sulla tecnologia, i servizi e il consumo.
Riuscire a mantenere la crescita economica è il grande obiettivo di Xi Jinping e del Partito comunista cinese, poiché a essa si collegano le altre sfide che la Cina deve affrontare in vista del 2049, anno in cui secondo le dichiarazioni di Xi la Cina avrà ultimato la costruzione di una società moderna e prospera. Si tratta di un traguardo ambizioso, per cui è necessario fare i conti con alcuni scheletri nell’armadio e superare positivamente le sfide odierne, prima fra tutte il Covid. La Nuova Via della Seta, conosciuta anche come Belt and Road Initiative (BRI) era stata pensata proprio a questo scopo: affrontare con un unico, gigantesco e completo progetto i problemi interni e le sfide esterne, proiettando il Paese verso un futuro ambizioso.
La Belt and Road Initiative (BRI) è una strategia globale di sviluppo inclusivo volta a potenziare la connettività, il commercio e gli investimenti tra Cina, Asia orientale e centrale, Medio Oriente e Africa. Il progetto mira ad affrontare le sfide interne, come la crescente disparità economica tra le province cinesi, proiettando contemporaneamente Pechino ad un nuovo livello sul piano internazionale. Il Beijing Consensus passa dalla Nuova Via della Seta: essa punta a promuovere gli standard e le istituzioni di Pechino nei Paesi che vi aderiscono. Non è un caso, infatti, che gran parte di questi siano Paesi in Via di Sviluppo, terreni fertili per gli standard di Pechino e le sue istituzioni. Fino ad adesso la Cina ha seguito gli standard occidentali e le istituzioni internazionali nell’orbita di Washington per facilitare la sua integrazione economica con le economie globali. Già da diversi anni, Pechino sta cercando di diventare un standard-setter e di rafforzare le sue istituzioni multilaterali (es. AIIB), portando avanti il suo Consensus. Alla luce della spaccatura provocata nel sistema internazionale dalla guerra in Ucraina, e dal conseguente decoupling tra le economie dei due nuovi blocchi, questo processo diventa ancora più urgente per la Cina. Il dragone ha l’opportunità di diventare la guida di una globalizzazione parallela, che metta al centro i suoi interessi.
Il futuro del Beijing Consensus è legato profondamente al futuro della BRI, ma quest’ultima dovrà adeguarsi ai cambiamenti avvenuti, e che avverranno, nel sistema internazionale. Nel progetto iniziale l’Europa ricopriva un ruolo importante, ma è chiaro che adesso questo aspetto deve cambiare. Davanti alla frattura ormai irreversibile tra il blocco occidentale e la Russia, anche le relazioni tra Europa e Cina sono messe a dura prova. L’Europa è sempre più vicina agli Stati Uniti e la Cina alla Russia, riportando un clima di guerra fredda e una prospettiva di graduale allontanamento tra le rispettive economie. La Nuova Via della Seta rimane la grande strategia di Pechino per affermarsi come superpotenza, creando un network di stati che supportino i suoi interessi. Ai tanti Paesi in Via di Sviluppo già simpatizzanti si è unita ora la Russia, un Paese enorme ed isolato che ha bisogno di partner internazionali per riuscire a resistere nel lungo periodo alle pressioni Americane ed Europee.
Testo e foto pubblicati per gentile concessione di Eastwest, magazine di geopolitica diretto da Giuseppe Scognamiglio www.eastwest.eu
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