Tra le rare voci arabe che sono insorte quella del ministro degli Esteri giordano Ayman Safadi che ha sollecitato un’azione internazionale per fermare l’aggressione israeliana mettendo in guardia dalle sue conseguenze sull’intera regione
Nell’indifferenza più assoluta dell’Occidente, dei rappresentanti dei paesi dell’ Onu riuniti a New York e delle stesse nazioni arabe, tranne qualche rara eccezione (la Giordania), si sta consumando in Medio Oriente una gravissima violazione del diritto internazionale con l’aggressione da parte di uno stato, Israele, nei confronti di un altro, il Libano.
Con il pretesto di colpire soltanto le postazioni di un gruppo, gli Hezbollah, da sempre nemico di Tel Aviv soprattutto perché alleato dell’Iran e da Tel Aviiv bollato come terrorista, ma che a Beirut è anche un partito politico, che conta 15 deputati in Parlamento, lo Stato ebraico, che contemporaneamente non dà tregua a Gaza, sta infatti letteralmente sventrando il paese dei Cedri a colpi di bombe che uccidono civili e distruggono case, ospedali, scuole. Soltanto ieri sono morti 356 libanesi, tra cui 24 bambini, 1246 persone sono rimaste ferite e in migliaia hanno lasciato il paese. I raid non si fermano e il bilancio continua ad aumentare.
A riaccendere l’antica e fortissima tensione tra Tel Aviv e il Partito di Dio è stato l’appoggio che quest’ultimo ha dato ad Hamas, dopo lo scoppio della guerra di Gaza, provocata dal massacro e dal sequestro di centinaia di cittadini israeliani, il 7 ottobre di un anno fa. Non appena Israele ha attaccato lo Striscia, nell’obiettivo di sterminare Hamas, gli Hezbollah, superando storiche divisioni con la dirigenza politica di Gaza, hanno lanciato i primi razzi contro lo Stato ebraico nella speranza che altre nazioni musulmane si ergessero in difesa della Palestina.
Ma è in queste ultime settimane che lo scontro si è intensificato raggiungendo livelli massimi. E questo perché, se il conflitto contro Gaza e Cisgiordania va privandosi di senso, Benjiamin Netainyahu ha bisogno di prolungare lo stato di guerra di Israele per mantenere saldi il suo ruolo e il suo potere almeno fino alle elezioni americane di novembre. E il timore è a questo punto che non gli basti più attaccare con ogni mezzo Hezbollah come ha fatto finora, ma che si prepari ad ampliare il fronte della guerra invadendo via terra il Libano.
Piani sono stati già messi a punto e le truppe israeliane hanno iniziato l’addestramento per questo, ma l’esercito non le ha dispiegate nelle aree di sosta. Né l’aeronautica ha iniziato a bombardare infrastrutture vitali nel paese. A differenza di Gaza, dove giurano la sconfitta totale di Hamas, i generali israeliani, riferisce l’Economist, “riconoscono che è impossibile porre fine al predominio di Hezbollah in Libano. Il loro obiettivo è più limitato: costringere Hezbollah a cessare il fuoco sul nord di Israele e ritirare i suoi uomini dal confine”.
Ma intanto la situazione nel Paese dei Cedri è allo stremo con una crisi economica fortissima. Dal 2019 la sua moneta ha perso il 98% del suo valore, il pil si è ridotto della metà e le tensioni sociali sono aumentate. E’ chiaro che Beirut da sola non sarebbe in grado di contrattaccare Israele. Quanto al rischio che gli Hezbollah possano tirare dentro a un eventuale conflitto l’Iran, il loro più potente sostenitore e rifornitore di armi, c’è e paventerebbe uno scenario tra i peggiori, ma è remoto.
Da Teheran sono arrivati già chiari segnali di presa di distanza dal partito di Dio. E addirittura c’è chi sostiene che gli ayatollah potrebbero usare Hezbollah come merce di scambio: offrendosi di frenare il gruppo in cambio di un accordo che allenti le sanzioni che stanno dilaniando l’economia iraniana. Intanto l’amministrazione americana ha fatto sapere che non sosterrà un’invasione di terra del Libano. Ma dopo mesi di avvertimenti a Israele contro l’escalation, ora approva le tattiche di Israele. “Li vediamo molto nel contesto del tentativo di creare le condizioni affinché le persone possano tornare a casa”, ha detto Jon Finer, vice consigliere per la sicurezza nazionale, a Npr un’emittente americana. Biden ha anche abbandonato la sua spinta propulsiva per un cessate il fuoco a Gaza.
Tra le rare voci arabe che sono che si sono levate quella del ministro degli Esteri giordano Ayman Safadi che ha sollecitato un’azione internazionale per fermare l’aggressione israeliana mettendo in guardia dalle sue conseguenze sull’intera regione. “Sottolineiamo l’urgente necessità che il Consiglio di sicurezza (ONU) agisca immediatamente per frenare l’aggressione israeliana e proteggere la regione dalle sue conseguenze catastrofiche”, ha detto Safadi in una dichiarazione pubblicata sul suo account X, aggiungendo che “l’aggressione al Libano non avrebbe potuto verificarsi senza l’inazione internazionale per fermare l’aggressione di Israele a Gaza che si sta verificando dal 7 ottobre”. E ha osservato che Israele sta intensificando il suo attacco al Libano mentre è in corso l’Assemblea generale delle Nazioni Unite, per “sfidare l’Onu e le sue risoluzioni”.Fermare l’aggressione di Israele -ha sottolineato- è “una responsabilità internazionale di cui il Consiglio di sicurezza deve assumersi immediatamente la responsabilità”.
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