Ue, no a modifiche al Pnrr: quali rischi per l’Italia e l’Europa

I mercati non condividono le speranze di Mario Draghi e dubitano della capacità del prossimo Governo di gestire il famoso Pnrr, la cui eventuale rinegoziazione sarebbe una débâcle per tutta l’Unione europea

di Danilo Taino

Mentre Mario Draghi parlava davanti al Meeting di Comunione e Liberazione a Rimini, il 24 agosto, molti italiani avranno tenuto le dita incrociate. L’intervento del Presidente del Consiglio, ancora in carica, è stato tra le altre cose un momento di ottimismo sul futuro dell’Italia. Qualsiasi sia il risultato delle elezioni del 25 settembre. Ottimismo parzialmente obbligato, forse, da parte di un leader che ha realizzato molto (e lo ha rivendicato) in 17 mesi di Governo ma che, in quello che è stato il suo ultimo, rilevante discorso pubblico, non ha voluto lasciare tracce di amarezza e ancora meno di rancore. Soprattutto, però, un messaggio fondato sulla capacità che l’Italia ha sempre mostrato di avere nei momenti di maggiore difficoltà. Cuore oltre l’ostacolo, dunque, e speranza che le energie del Paese non si siano affievolite in questi anni di crisi a ripetizione. Gli italiani, però, hanno fatto bene a tenere le dita incrociate: ci sono anche cose che Draghi non ha voluto dire. E non sono belle.

Il giorno successivo al discorso di Rimini, il Financial Times pubblicava un articolo nel quale notava che gli hedge fund internazionali hanno accumulato scommesse contro i titoli dello Stato italiani in una misura che non si registrava dal 2008, anno della grande crisi finanziaria. Molti commenti italiani hanno parlato, come fanno sempre, di “speculazione” da parte della finanza globale. In realtà, si tratta semplicemente di mercato in funzione che scruta il futuro: così come gli investitori hanno premiato i titoli italiani quando Draghi è diventato capo del governo, allo stesso modo li stanno penalizzando quando se ne va. Il mercato è come il canarino nella miniera: avverte di un pericolo. E di pericoli in Italia ce ne sono. Quelli che arrivano da fuori sono condivisi da tutta l’Europa: l’invasione russa dell’Ucraina, il prezzo dell’energia, l’inflazione, le scosse di assestamento post-pandemia. Anzi, rispetto ad alcune di esse, ad esempio la diversificazione delle forniture energetiche e lo stoccaggio di gas, l’Italia è messa meglio di altri Paesi, grazie alla velocità di reazione del Governo nei mesi scorsi. Il problema che porta i mercati a non condividere l’ottimismo di Draghi, e quindi a scommettere contro l’Italia, è tutto interno, nazionale, e riguarda il futuro della politica dopo le elezioni, in particolare la capacità di gestire il Piano di Nazionale Ripresa e Resilienza (PNRR).

La discussione intorno al Pnrr

Il Governo in carica ha impostato una serie di misure necessarie a portare avanti i 55 obiettivi del Piano che nel secondo trimestre 2022 l’Italia deve completare entro fine anno, come concordato a Bruxelles, per ricevere la terza tranche di denaro del Recovery Fund, 21,839 miliardi. Sciogliendo le Camere, il Presidente Sergio Mattarella ha affermato che le procedure in corso di sviluppo riguardanti il Pnrr rientrano negli affari correnti che il Governo può sbrigare e su questa strada Draghi e il Ministro dell’Economia Daniele Franco si sono mossi. Sarà però quasi impossibile realizzare i 55 obiettivi: le Camere saranno formate attorno alla metà di ottobre e, presumibilmente, un Governo sarà operativo non prima di novembre. I nuovi Ministri avranno bisogno di un po’ di tempo per prendere possesso pieno dei loro dicasteri.

Nel frattempo, il Governo uscito dal 25 settembre avrà di fronte l’obbligo di preparare e discutere la Legge di Bilancio 2023, impegno non da poco e separato dal Pnrr. Le strutture tecniche per la realizzazione di quest’ultimo restano attive e non cambiate, al di là di ogni crisi politica, fino al 2026, data di scadenza del Recovery Fund. Ma per tutta una serie di decisioni servono impulsi e decisioni politiche e i tempi sono tiranni. In discussione e a rischio di non andare avanti sono il contrastato disegno di legge annuale sulla Concorrenza, i decreti attuativi in materia di Giustizia, la riforma fiscale delegata al Governo, il codice della Proprietà industriale, misure strutturali nel settore della Sanità e altro.

Probabili scenari futuri sul Pnrr

Se il nuovo Governo non riuscirà a centrare tutti i 55 obiettivi, come è altamente probabile, potrà chiedere un rinvio a Bruxelles, in ragione delle elezioni anticipate che hanno rallentato l’attività legislativa. Difficilmente la Ue lo negherebbe. Una cosa, però, è un rinvio a contenuti fermi, un’altra è un rinvio accompagnato dalla richiesta di introdurre cambiamenti al Pnrr. Il centrodestra, dato dai sondaggi in netto vantaggio, ritiene che questi cambiamenti siano necessari in quanto il Recovery Fund – cioè la madre del Pnrr – è stato pensato e deciso per rispondere alle conseguenze della pandemia da Covid-19 mentre ora le crisi si sono moltiplicate e sono cambiate di qualità. Che Parlamento europeo, Commissione Ue e Consiglio europeo siano disposti a rivedere significativamente i contenuti del Pnrr italiano è però molto ma molto improbabile. Il commissario Ue all’Economia Paolo Gentiloni lo ha già detto chiaramente, gli spazi di cambiamento sono minimi: è vero che è un uomo di partito, il Pd, ma è altrettanto vero che ben pochi in Europa sono disposti a riaprire un dossier che è stato uno dei punti più alti dell’azione della Ue negli ultimi vent’anni.

Il nuovo Governo dovrà dunque da subito camminare sui gusci d’uovo per quel che riguarda la terza tranche del Pnrr (quella legata alle riforme del secondo semestre 2022). Una volta ottenuta questa terza tranche, dovrà impostare il lavoro per le altre, dal 2023 al 2026. È un impegno enorme da compiere con scadenze molto strette e precise. Vista la situazione politica prima delle elezioni del 25 settembre, l’ottimismo tende ad attenuarsi. Se vincerà il centrodestra in misura netta, si aprirà la questione con Bruxelles e con le altre capitali europee. Con esiti molto incerti. Se vincerà il centrosinistra, lo farà probabilmente con una maggioranza molto risicata, probabilmente incapace di imporre le riforme necessarie per rispettare il Pnrr. Un primo scenario, quello che piace a Draghi e agli italiani che hanno incrociato le dita, vede il prossimo Governo abbracciare il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e attuarlo, magari con qualche rinvio concordato con la Ue. Un secondo scenario vede la rinegoziazione del Pnrr, il che significherebbe tempi lunghi e un braccio di ferro con Bruxelles: la probabile perdita di una parte dei 191,5 miliardi che il Recovery Fund ha destinato all’Italia. Anche perché rallentare nelle riforme e quindi nell’esborso dei fondi da parte di Bruxelles significherebbe non arrivare in tempo a realizzare l’intero Piano, che scade nel 2026.

Un terzo scenario è la rottura con la Ue. Sarebbe una catastrofe per l’Italia e per l’Europa. Bruxelles non solo cesserebbe di erogare i fondi al nostro Paese ma potrebbe chiedere la restituzione di quelli già erogati. Per l’Unione europea sarebbe di fatto il fallimento del Recovery Fund, un quarto dei fondi del quale è destinato all’Italia. I Governi europei che hanno chiesto ai loro cittadini di finanziare un progetto che mette in comune le risorse e le convoglia soprattutto ai Paesi ritenuti più fragili, Italia per prima, sarebbero irritatissimi, oltre che in imbarazzo verso i propri elettori, se l’operazione saltasse a causa del suo maggiore beneficiario. Si tratterebbe di un colpo duro all’intera Europa.

Questo terzo scenario non si può naturalmente escludere ma sembra poco probabile, in realtà. Forse per la prima volta da anni, nella campagna elettorale italiana nessuno dei partiti maggiori si è posto come grande avversario l’Unione europea. Un po’ proprio grazie ai fondi del Recovery Fund, un po’ per la situazione internazionale che non consiglia l’isolamento, a volere rompere con Bruxelles sono rimaste forze elettoralmente piccole. Forse, Draghi fonda il suo ottimismo nell’avere conosciuto, in questi mesi, i politici da vicino, alla prova dei fatti meno peggio di come appaiono in campagna elettorale. Incrociamo le dita. Gli hedge fund, ai quali non è consentito di incrociarle, fanno invece il loro lavoro: misurano in euro il “Rischio Italia”.

Testo e foto pubblicati per gentile concessione di Eastwest, magazine di geopolitica diretto da Giuseppe Scognamiglio www.eastwest.eu

(Associated Medias) – Tutti i diritti sono riservati