Il dopo Trump: che ne sarà di noi e dell’Europa? Il destino nelle mani di due donne, Ursula von der Leyen e Giorgia Meloni

Se sapremo utilizzare i cambiamenti della politica trumpiana per rafforzare il nostro ruolo di continente da sempre avanti non solo sui temi politici ed economici, ma anche su quelli etici e sociali, allora in questo caso la vittoria di The Donald resterà anche nella nostra storia

di Guido Talarico

Che ne sarà di noi dopo il voto americano? Se loro vengono primi, noi, che da dopo la seconda guerra mondiale siamo la loro dependance, dove finiremo? La domanda aleggia nelle case di molti italiani ma anche nelle stanze del potere. A Roma, come a Milano o Bruxelles. Perché effettivamente ad oggi è difficile capire bene cosa ci attende dopo la vittoria di Donald Trump nelle elezioni presidenziali degli Stati Uniti. “America first” certo è un obiettivo che non verrà disatteso, allora c’è da capire in questo nostro passaggio in secondo piano come cambieranno effettivamente le cose per noi.

Il primo dato, lo avevamo già scritto nei giorni scorsi, è che l’arrivo di The Donald trova l’Unione Europea in un momento di evidente fragilità. Nonostante oltre due anni di conflitti alle frontiere (Ucraina e poi Medio Oriente), l’Europa non è ancora riuscita a sviluppare una vera difesa comune. Una deficienza che testimonia il ritardo imperdonabile di Bruxelles sui temi chiave che riguardano il futuro dell’Unione. Per altro e da ricordare che i quasi duecento miliardi di euro stanziati per sostenere l’Ucraina non sono bastati a scongiurare la minaccia di una sconfitta ed anzi per ora hanno soltanto fiaccato i nostri conti pubblici. Senza un appoggio pieno degli Usa e con l’Europa che in difesa gioca male è evidente che gli ucraini lasciati da soli non potranno fare altro che negoziare una pace favorevole a Mosca. Il che nella sostanza sarebbe una sconfitta per la Nato e per noi tutti.

Poi c’è l’economia. La crescita economica in Europa, particolarmente nelle nazioni principali (Germania e Francia), si mantiene appena sopra lo zero, e nessuna grande azienda europea è in una posizione di leadership nelle nuove tecnologie chiave per il nostro tempo. Anche sul fronte migratorio manca ancora un approccio condiviso tra i 27 paesi membri. Insomma, diciamolo senza mezzi termini, siamo messi maluccio, con tre giganti, Cina, Russia e probabilmente gli stessi Usa, che certo non ci aiuteranno ad uscire da questo impasse.

Ma torniamo al dopo elezioni americane. In questo contesto, Trump si prepara a fare il suo storico rientro alla Casa Bianca con proposte già annunciate che ai nostri occhi non possono non apparire preoccupanti: l’introduzione di dazi tra il 10% e il 20% sulle esportazioni europee e una, come dicevamo, una minore propensione a garantire la sicurezza del continente. Inoltre, l’Unione ha accumulato un surplus commerciale di circa 157 miliardi di euro con gli Stati Uniti, di cui 40 miliardi che derivano dall’Italia. C’è da giurarci che Trump proverà a riequilibrare a loro favore le cose.

Tornado agli aspetti militari, ce poi da ricordare che la diminuzione di supporto americano potrebbe facilitare le mire espansionistiche della Russia anche verso i Paesi baltici e la Polonia. Un’evenienza scioccante soltanto a menzionarla anche perché impatterebbe l’economia europea fiaccandola ulteriormente.

A Wall Street, dove di danaro ne capiscono, la prospettiva di un imminente nuovo ciclo protezionistico americano ha già spinto al ribasso vari titoli europei Tier 1, cioè di prima fascia. E anche questo è un indicatore di come potrebbero andare le cose. Dunque il bicchiere è decisamente mezzo vuoto? Non è detto, dipende come sapremo giocarcela. Per il 47esimo Presidente USA l’America viene prima, ma l’Europa viene pur sempre seconda, anche se – va ricordati – noi europei dovremo anche imparare a convivere meglio sia con la Russia di Putin che con l’Israele di Netanyahu. E allora, da secondi iscritti nel quaderno degli amici, quali opportunità per il nostro futuro ci si presentano?

Intanto dobbiamo ammettere che fin qui ci siamo sbagliati. L’Europa per troppo tempo si è illusa di poter mantenere una posizione privilegiata nel panorama globale dimenticando che questo lo ha potuto fare perché alle spalle aveva gli Stati Uniti. Non è così e Trump lo farà capire a Bruxelles rapidamente.

Quindi il bicchiere mezzo pieno che vedo risiede nel fatto che ora dobbiamo cambiare per forza. Le cose da fare ora sono note e improcrastinabili. Non a caso nelle prime ore successive alla vittoria di Trump, Emmanuel Macron ha parlato con Olaf Scholz sulla necessità di un’Europa “più unita, più forte e più sovrana”.  Peccato che entrambi i leader, indeboliti dalla gestione controversa della crisi ucraina e dalla crescente insoddisfazione elettorale per le crisi interne, non hanno certezze riguardo al loro futuro politico, figuriamoci quanto possano realmente incidere in Europa.

E qui una carta da giocare il nostro Paese e l’Europa invece ce l’hanno. Non dico che sia vincente, perché mettere insieme chi conta veramente in Europa non è mai facile, ma è giocabile e, soprattutto, rappresenta la sola che abbiamo in mano per cambiare un corso di cose. Questa carta ha impresso su il nome di due donne :Ursula von der Leyen e Giorgia Meloni. Sono due leader determinate, nel pieno del loro potere, godono di stabilità e credibilità politica e di ampio consenso elettorale, vengono dalla stessa parte di Trump con il quale hanno sempre mantenuto un rapporto di dialogo. Starà a loro due utilizzare questa chance storica, provando a cambiare il corso delle cose in modo da dare all’Europa un futuro migliore. Trasformando un problema in opportunità potrebbero cioè cogliere questa fase di cambiamento obbligatorio come una occasione per fare quello che in Europa non si è mai fatto prima: difesa e fisco comune, uno nuovo progetto di rilancio comunitario dell’economia.

Il mio è un cauto ottimismo che si basa sulla constatazione elementare che qualsiasi altro scenario diverso diventerebbe per l’Europa la conferma definitiva della nostra marginalità, della subalternità ai paesi Brics oltre che agli Stati Uniti. Se invece sapremo utilizzare i cambiamenti della politica trumpiana per rafforzare il nostro ruolo di continente da sempre avanti non solo sui temi politici ed economici, ma anche su quelli etici e sociali, allora in questo caso la vittoria di The Donald resterà anche nella nostra storia.

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