Nella sua casa di famiglia al Celio, a Roma, ha cercato di riabituarsi alla normalità dopo tre settimane passate in isolamento in Iran. “Sono confusa, felicissima, mi devo riposare. Ma sto bene”, ha raccontato

La notte dopo la liberazione non è stata di riposo per Cecilia Sala. L’adrenalina e la gioia di essere finalmente libera le hanno tolto il sonno, lasciandola in uno stato di eccitazione e incredulità. Nella sua casa di famiglia al Celio, a Roma, ha cercato di riabituarsi alla normalità dopo tre settimane passate in isolamento in Iran. “Sono confusa, felicissima, mi devo riposare. Ma sto bene”, ha raccontato.
Nelle prime ore della mattina, Mario Calabresi, direttore di Chora Media, le ha fatto visita con un mazzo di fiori. È stata questa l’occasione per condividere i primi dettagli di un’esperienza che l’ha segnata profondamente, affidandoli al podcast Stories.
L’arresto in Iran
La decisione di tornare in Iran, un paese che amava e conosceva, non era stata priva di rischi. Prima del viaggio, Cecilia aveva valutato con attenzione la situazione, parlando con persone del posto e confidando nei segnali di apertura del nuovo governo, che aveva recentemente concesso visti anche a giornalisti internazionali.
Tuttavia, il giorno prima di ripartire per l’Italia, la sua libertà è stata bruscamente interrotta. “Stavo lavorando alla puntata del mio podcast in hotel quando hanno bussato alla porta. Pensavo fosse il servizio di pulizia, ma non era così. Hanno insistito, e appena ho aperto mi hanno portata via”.
Cecilia è stata condotta al carcere di Evin, famigerato per i suoi metodi repressivi. “L’ho capito subito: ero a Evin. È grande ed è nel cuore di Teheran. Non poteva essere altro”.
Gli interrogatori, incessanti, si sono susseguiti per giorni. Le accuse rimanevano vaghe: “Mi dicevano che avevo fatto ‘tante cose illecite in tanti luoghi diversi’, ma non hanno mai specificato”.
I giorni in cella
L’isolamento è stato un’esperienza che l’ha messa a dura prova. Per sopravvivere, Cecilia ha cercato conforto nei dettagli più insignificanti. Contava le ore, le dita, leggeva e rileggeva le etichette del cibo in inglese. “Il silenzio è un nemico. Quando ho visto il cielo per la prima volta o ho sentito un uccellino fare un verso buffo, sono riuscita a ridere. Quei momenti mi hanno tenuta in vita”.
Finalmente, dopo giorni di insistenza, le è stato concesso un libro: Kafka sulla spiaggia di Murakami. “Mi ha salvato. Era tutto ciò che desideravo: qualcosa che mi trasportasse altrove”.
Le condizioni della prigionia erano dure. Dormiva a terra, senza cuscino né materasso, e il cibo era scarso e monotono. “Mangiare era quasi una routine meccanica. Ma ciò che più mi è mancato sono stati gli occhiali: non mi hanno mai permesso di indossarli, per ragioni di sicurezza”.
Il giorno della liberazione
Quando le guardie le dissero che sarebbe stata liberata, Cecilia non riuscì a crederci. “Pensavo fosse uno scherzo”. Mentre veniva portata verso l’aeroporto, guardava il paesaggio con malinconia, immaginando che potesse essere l’ultima volta che vedeva l’Iran.
Il ritorno a casa
L’arrivo a Ciampino è stato un momento di pura emozione. Ad attenderla c’erano il compagno Daniele, i genitori, la premier Giorgia Meloni, il ministro degli Esteri Antonio Tajani e il sindaco di Roma Roberto Gualtieri. Ma ciò che ha scaldato il cuore di Cecilia più di tutto è stato l’abbraccio con Daniele. “La cosa che più mi è mancata durante la detenzione è stato lui”.
Quella stessa mattina, Cecilia ha pubblicato sui social una foto di quell’abbraccio, accompagnata da un messaggio: “Ho la fotografia più bella della mia vita. Non ho mai pensato, in questi 21 giorni, che sarei stata a casa oggi”.
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