Nell’aula bunker di Rebibbia, dove si tiene l’udienza per il caso di Giulio Regeni, la madre del ricercatore ucciso al Cairo nove anni fa racconta con voce ferma i momenti più dolorosi della sua vita
Nell’aula bunker di Rebibbia, dove si tiene l’udienza per il caso di Giulio Regeni, la madre del ricercatore ucciso al Cairo nove anni fa racconta con voce ferma i momenti più dolorosi della sua vita. Grazie alla sua determinazione, al sostegno del marito Claudio e alla guida della loro avvocata Alessandra Ballerini, è stato possibile arrivare a un processo che vede imputati quattro agenti della National Security egiziana, accusati di sequestro, tortura e omicidio.
“Quando riportammo il corpo di Giulio in Italia, lo vidi per la prima volta all’obitorio del Policlinico Umberto I di Roma,” ha raccontato Deffendi in aula. “Ricordo di aver pensato e detto: ‘Ma cosa ti hanno fatto?’. Davanti a lui capii la brutalità che aveva subito.” Descrisse quel momento come il confronto con “tutto il male del mondo”. “Il corpo era coperto da un telo. Chiesi di vedere almeno i piedi, ma una suora mi rispose: ‘Suo figlio è un martire’. In quell’istante capii che era stato torturato.”
La scomparsa e le bugie del regime
Paola Deffendi ha ricordato l’ultima volta che vide suo figlio, il 24 gennaio 2016, durante una chiamata su Skype. Tre giorni dopo, Giulio scomparve. “Mio marito mi telefonò con una voce che non avevo mai sentito prima. Mi disse che Giulio era sparito.” La famiglia venne poi informata dal console italiano, e i dettagli forniti non fecero che accrescere il sospetto che qualcosa di terribile fosse accaduto.
Giulio, che aveva già vissuto in Egitto durante il colpo di Stato di al-Sisi, nel 2015 aveva rassicurato i genitori dicendo che la situazione era più tranquilla. “Era un ricercatore straniero e si sentiva al sicuro,” ha detto la madre. “L’ultima volta che lo sentii era il 15 gennaio, giorno del suo compleanno. Era felice e rilassato.”
La scoperta della verità
La notizia della morte di Giulio arrivò in maniera improvvisa e brutale. “Ci chiamò l’ambasciatore Massari, dicendo che sarebbe venuto a casa nostra con la ministra Guidi. Sembrava strano. Quando arrivarono ci abbracciarono, ci fecero le condoglianze e dissero: ‘Avete cinque minuti, la notizia è già stata diffusa.’”
Paola Deffendi ha anche raccontato di un incontro casuale con l’ambasciatore egiziano in un aeroporto. “Gli chiesi se fosse al corrente del processo in Italia sul caso di Giulio. Rispose di sì, ma non disse altro.”
Solidarietà a chi attende giustizia
Prima dell’udienza, i genitori di Giulio Regeni hanno voluto rivolgere un pensiero alla famiglia di Alberto Trentini, il cooperante italiano detenuto in Venezuela da oltre due mesi, di cui non si hanno notizie. “Vi siamo vicini,” hanno dichiarato, mostrando ancora una volta come il loro dolore si traduca in solidarietà e impegno per la giustizia.
(Associated Medias) – Tutti i diritti sono riservati