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A Roma il primo laboratorio di giovani artisti “digital free”

Via dalla pazza folla dei social …dai luoghi del virtuale… dalle mirabilia del metaverso…L’immaginazione ha sete del reale e deve abbeverarsene se vuole diventare pulsione di creativitá. E’ lo spirito che ha improntato l’esperimento artistico, “Ri-creazione” che ha avuto come protagonista Filippo Cocca (romano) Cate Sarci (bolognese) e Dem the 1st (cipriota), etá media 23 anni, professionisti ciascuno nel loro settore, architettura, design e moda (e tutti laureati all’estero)  con background culturali e geografici diversi alle spalle, animati dalla voglia, che sta ora contagiando anche altri, di “liberarsi” da ogni strumento tecnologico e di reinventare completamente il proprio rapporto (perduto) con lo spazio circostante, con  la cittá, con  il quartiere, la gente, gli oggetti, le cose, spazzatura compresa. Due settimane, dal 16 giugno, di “techno-disintossicazione totale”  in un sottoscala della zona di San Giovanni a Roma…con il mondo vero che scorre davanti, un divenire per la prima volta percepito in maniera autentica e forte e non semplicemente riecheggiata attraverso i piccoli media onnivori del nostro sentire in cui essere e non essere si confondono relegandoci in quell’utopico iperuranio immaginato da Platone, in cui tutto è immutabile, non tangibile e raggiungibile solo dall’intelletto…che sta diventando la nostra prigione.

In mostra

A Filippo, Cate e Dem, si sono uniti altri artisti, che hanno lavorato tutti insieme su diverse scale e diversi materiali, riutilizzando vecchie tele, cartoni abbandonati agli angoli delle strade, polaroid, lamiere, schede madri di vecchi pc gettati via, pezze usate, buste di plastica, scarti…sullo sfondo di quella Grande Bellezza, che è Roma, “ una cittá che per noi – dicono- è un inesauribile archivio  pieno di inspirazione accessibile semplicemente camminando”.

Un’esperienza in qualche modo mistica, la cui autenticitá si coglie, e suscita tenerezza se non commozione, nelle opere che questi ragazzi hanno realizzato, e che due modelle Mina e Nina hanno indossato, immortalate da Giovanni, fotografo di grande talento, che ne ha saputo trasmettere il senso, l’esprit :  Le decomposizioni astratte di Dem the 1st, indossabili come vestiti. Le “yucca” forti e pungenti riprodotte su gelatina da Cate Sarci  e stampate su fogli di acetato colorati,  ossessione o un desiderio di purificare il mondo…  “La Spada” di lamiera di Filippo Cocca, che non trafigge la roccia, ma un cuore anche esso di lamiera, delimitato da fragili confini di cellophan… la sua “Sirenetta”, simboleggiata da un vaso violato, corroso dal tempo, incompiuto e contaminato, che non riesce a ritrovare la sua bellezza nello “Specchio”, precluso al sogno, sigillato per lavori in corso. O ancora il suo “Gabbiano”, metallico urbano, sporco e infelice, l’altra faccia di Jonathan Livingston. Se questa non è arte…o, per dirla con Benjiamin Bratton, “the revenge of the real”…?

Il Gabbiano di Filippo Cocca
Il cuore trafitto di Filippo Cocca durante la lavorazione

 

 

Le Yucca di Cate Sarci e la S-composizione di Dem the 1th