Fino a una settimana fa, questa era una delle aree più sensibili della Siria. Fermarsi nei pressi poteva significare l’arresto. Haj Ali Saleh, ex sindaco della città che vive ancora ad al-Qutayfa, si dimise nel 2012 e fu arrestato dopo essersi rifiutato di costruire una fossa comune. Ma il regime trovò altri più disposti a obbedire
Un cumulo di terra blocca la strada verso un complesso recintato alla periferia di al-Qutayfa, una cittadina a circa 30 km a nord di Damasco. Muri di cemento delimitano uno spazio grande quanto due campi da calcio. Per oltre un decennio, l’esercito di Bashar al-Assad, riferisce l’Economist, ha tras
formato questo luogo desolato in una fossa comune, la più grande di tutto il paese. Gli abitanti del posto raccontano di aver visto ruspe arrivare spesso nel cuore della notte, seguite da camion con le celle frigorifere cariche di cadaveri. Inizialmente, le fosse non erano abbastanza profonde tanto che i cani randagi scavavano nel terreno riportando in superficie i corpi. E per questo in seguito i soldati di Assad ricevettero l’ordine di scavare più in profondità.
Fino a una settimana fa, questa era una delle aree più sensibili della Siria. Fermarsi nei pressi poteva significare l’arresto. Haj Ali Saleh, ex sindaco della città che vive ancora ad al-Qutayfa, si dimise nel 2012 e fu arrestato dopo essersi rifiutato di costruire una fossa comune. Ma il regime trovò altri più disposti a obbedire. Era l’inizio della guerra civile siriana, e il controllo di Assad si stava rafforzando. Le prigioni erano sovraffollate, e la leadership al potere ricorse a metodi sempre più brutali per sopprimere il dissenso. Torture ed esecuzioni divennero all’ordine del giorno.
Davanti al cancello del complesso, racconta il settimanale britannico, c’è chi cerca qualche proprio caro scomparso. È quasi impossibile sapere, osserva l’Economist, quante persone si trovino sepolte in quella fossa o chi siano. Ma la stima del numero dei sepolti potrebbe superare i 100.000. Se questa cifra fosse anche solo vicina alla realtà, si tratterebbe della fossa comune più grande al mondo.
Negli ultimi anni, organizzazioni per i diritti umani hanno utilizzato immagini satellitari per confermare la sua esistenza. Nel frattempo, il regime ha cercato di coprire le tracce. Gli abitanti raccontano di camion che arrivavano per esumare corpi, spostandone forse migliaia altrove. Un fetore insopportabile avvolgeva la città quando i camion scavavano nelle fosse. “Tutti in città sapevano cosa stavano facendo”, dice un contadino del luogo. Anche prima della guerra civile, al-Qutayfa era fortemente militarizzata, sede di diverse unità dell’esercito. Secondo numerosi funzionari locali, la Terza Divisione dell’esercito siriano, una delle più fedeli al regime, gestiva il sito. Quello che era iniziato con pochi prigionieri politici si trasformò in un sistema industrializzato per eliminare gli oppositori del regime. I funzionari locali fanno i nomi di diversi alti ufficiali militari del precedente regime che avrebbero amministrato il sito, tra cui un generale alawita di Tartus, una zona che ha prodotto molti dei più fedeli sostenitori di Assad.
L’Economist ha provato a contattare telefonicamente un numero associato a questo generale in un database di sanzioni online. Un uomo, che ha negato di essere la persona nominata, ha fornito due identità diverse durante la conversazione. Non è stato possibile confermarne l’identità. Ha affermato di trovarsi a Jableh, vicino Latakia. Molti degli alti funzionari del regime sono fuggiti a Mosca con Assad, ma altri si nascondono ancora in Siria, soprattutto nei villaggi alawiti lungo la costa, inclusa Latakia.
Ad al-Qutayfa tutti sembravano sapere che qualcosa di orribile stava accadendo. Ma parlarne significava rischiare di finire nella fossa. Finora non si è ipotizzato di esumazioni o di analisi forensi per confermare l’entità dell’atrocità. Gli abitanti sono indignati e disperati: vogliono che il mondo sappia cosa è accaduto nella loro città. Dopo oltre un decennio di guerra, milioni di siriani hanno familiari scomparsi. Pochi sopravvissuti sono usciti di recente dalle prigioni del regime, ma per molti l’unica speranza di ottenere risposte risiede nelle fosse comuni che stanno emergendo in tutto il paese.
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