L’inaspettata vittoria del team Prada in Nuova Zelanda giunge, come l’arrivo al Governo di Mario Draghi, in un momento cruciale per il Paese
di Guido Talarico
Dall’emisfero boreale, nella notte giunge via satellite il grido di vittoria del team di Luna Rossa che nella finale della Prada Cup batte il blasonatissimo equipaggio inglese di Ineos Britannia. Un risultato clamoroso, ottenuto col punteggio di sette regate ad una, che le assegna la Coppa degli sfidanti e le assicura l’accesso all’America’s Cup da disputare, a partire dai primi di marzo, contro i detentori di New Zealand. A molti, forse, questa vittoria dice poco. Per gli appassionati di vela invece è come se l’Italia calcistica si fosse guadagnata l’accesso alla finale della Coppa del Mondo o come se in Italia Draghi avesse rimesso in moto l’economia e ridotto del 10% il nostro debito pubblico.
L’America’s Cup, giusto per fare capire ai non appassionati di cosa stiamo parlando, è il Sacro Graal della Vela: è cioè una competizione sportiva che porta in sé la ricerca più alta dei segreti dell’arte marinaresca. Una disciplina che nei millenni, aiutando l’uomo ad andare per mare anche contro vento, ha cambiato la mobilità nautica e con essa la storia dell’umanità. Dietro la vela, e quindi dietro questa antica competizione che oggi si disputa nei mari antistanti Auckland, vi è insomma molto di più di uno sport. Vi è una alta carica simbolica che mischia le abilità, la scaramanzia e i riti iniziatici dei marinai con la ricerca tecnologica più avanzata, sommata all’impegno milionario di alcuni dei principali capitani d’industria planetari che investono nelle sfide per l’America’s Cup proprio perché in essa riconoscono quella grazia che va ben oltre l’evento sportivo.
Pur avendo alle spalle qualche skipper capace, Cristoforo Colombo o Amerigo Vespucci sono solo due piccoli esempi dei buoni navigatori che l’Italia ha regalato al mondo, nella storia della vela sportiva l’Italia ha dovuto faticare non poco a trovare il suo spazio e la sua credibilità. E lo ha fatto con uomini come Cino Ricci, che con Azzurra (finanziata da Giovanni Agnelli e da Karim Aga Khan) partecipò per primo alla competizione e poi con Paul Cayard sul Moro di Venezia, il team sostenuto da Raoul Gardini che per la prima volta vinse la coppa degli sfidanti. Con loro l’Italia scoprì cosa fosse la randa, il genoa o il tangone, il valore di una buona strambata. Ma soprattutto grazie a queste gloriose barche gli appassionati italiani cominciarono a comprendere i segreti dei match-race, il tipo di regata che caratterizza l’America’s cup e che ha come caratteristica principale il fatto che due soli equipaggi si fronteggiano eliminandosi di volta in volta fino ad arrivare alla vittoria finale.
Poi però arrivò Luna Rossa, il progetto voluto da Patrizio Bertelli, il patron di Prada, e sostenuto da Marco Tronchetti Provera con la sua Pirelli. Un progetto serio, di lungo periodo partito più di venti anni fa che ha già riscosso vari successi. Luna Rossa, sempre ad Auckland, 21 anni fa, aveva infatti già vinto le Challenger Series sconfiggendo a sorpresa il favoritissimo equipaggio di “America One”. Il successo di questa notte, nasce da quella visione di Bertelli, è figlio di investimenti, di sacrificio, di visione, di talento, di lungimiranza.
Anche questa volta tutti ci davano per sfavoriti. E invece il team guidato da Max Sirena ha smentito tutti battendo prima gli americani (quattro a zero) e ora gli inglesi (sette a uno). Come disse una volta il grande allenatore di Volley Julio Velasco, “chi vince festeggia, chi perde spiega”. Ecco, ora i nostri rivali anglofoni, che all’inizio della competizione ci trattavano con malcelato distacco, dovranno spiegare ai loro armatori e ai loro sponsor non la sconfitta, ma la batosta. Perché di questo si è trattato. Luna Rossa che vince a zero contro gli americani e che ai britannici del campione Sir Ben Ainslie lascia una sola vittoria su sette è un trionfo che da un lato (il nostro) esalta e dall’altro sconforta proprio per le dimensioni con cui è arrivato.
Detto questo, da domani si riparte e ora arriva veramente il difficile. La coppa America è una competizione senza secondi. Portata a casa la coppa degli sfidanti e guadagnato l’accesso alla finale, adesso bisogna battere i detentori. Ed i Kiwi, è bene ricordarlo, sono ragazzi nati e cresciuti in acqua, figli di un paese che si chiama la “terra del mare” e che, non a caso, ha per sport principale la vela. Insomma, quelli di New Zealand sono il meglio del meglio, dunque batterli sarà un’impresa difficilissima, ma non impossibile. Abbiamo una barca che ha dimostrato di essere molto efficace, praticamente in ogni andatura, e un equipaggio veramente di eccellenza. La trovata dei due timonieri, il palermitano Francesco Bruni e l’australiano James Spithill, due campioni assoluti, si è rivelata geniale per Luna Rossa perché mentre gli altri equipaggi sono costretti a continui spostamenti ad ogni bordo i nostri invece stanno fermi e concentrati nelle loro postazioni.
Pierre de Coubertin diceva che “lo sport va a cercare la paura per dominarla, la fatica per trionfarne, la difficoltà per vincerla”. Nella storia recente del nostro paese tante volte lo sport ha superato i suoi confini ludici per dare uno slancio a tutta la comunità nazionale, per superare momenti di difficoltà e crisi di varia natura. Fu così quando, tanto per fare un esempio, a Gino Bartali nel 1948 chiamò Alcide de Gasperi in persona per chiedergli di vincere il Tour de France e così dare fiducia ed unità ad un paese lacerato dalle vicende postbelliche e scosso dal tentato omicidio di Palmiro Togliatti. E lo stesso effetto lo fece la vittoria del mondiale dell’82, quello di Enzo Bearzot, Paolo Rossi e Sandro Pertini, su un’Italia vessata dal terrorismo e dalla crisi economica.
E’ pressoché certo che Draghi, anche lui fresco vincitore delle consultazioni e ora atteso da una sfida epocale, non chiami Max Sirena per complimentarsi. Anche perché la vela erroneamente è ancora percepita come uno sport elitario. Ma è certo che vedere il tricolore sventolare sui cieli di Auckland, sentire i nostri velisti gridare con orgoglio “siamo italiani!”, registrare gli apprezzamenti internazionali per aver saputo dare vita ad un successo tecnologico e umano prima ancora che sportivo sono tutte cose che fanno bene. Se è vero come è vero che stiamo vivendo una fase post-bellica dove ancora contiamo i morti da Covid, dove molte tasche sono vuote e lo spirito dei più è sotto i piedi, è altrettanto vero che la vittoria di Luna Rossa ci aiuta a non dimenticare quel che siamo, ci aiuta a ritrovare quel pizzico di fiducia in noi stessi, a ricordaci che alla fine gli italiani quando sono sotto pressione riescono a dare del loro meglio. Dunque, come dicono i velisti, “buon vento” a Luna Rossa e buon vento a Mario Draghi che da lunedì prova a far ripartire la nostra nave.
(Associated Medias) – Tutti i diritti sono riservati