Caso Dreyfus: i drammatici risvolti italiani della vicenda. Antisemitismo questione europea

Risvolti italiani del caso Dreyfus. Una storia diplomatica che ha ancora molte cose da insegnare.  

di Stefano Beltrame*

Lo scorso 13 gennaio i social in Francia ed in Israele hanno ricordato il celebre Affare Dreyfus nell’anniversario del clamoroso J’Accuse, la pubblica denuncia dello scrittore Emile Zola al Presidente della Repubblica. In Italia l’argomento è stato ripreso sui social solo dalla Comunità Ebraica di Roma perché, giustamente, la vicenda svelò quanto era allora diffuso e pericoloso l’antisemitismo in Francia. L’affare Dreyfus appare oggi come un’incredibile matrioska con dentro di tutto: una spy story degna di John le Carrè; un incredibile errore giudiziario, che era in realtà una vergognosa persecuzione dichiaratamente antisemita; una difficilissima resistenza civile delle vittime a fronte dell’arbitrio e del disonore; un primo esempio di mobilitazione civile degli intellettuali con tanto di controversa petizione che spacca in due la Francia; un risvolto, ancora oggi sotto traccia, di discriminazione omofoba; un tardivo lieto fine shakespeariano in cui la situazione è capovolta, l’ingiustizia finalmente smascherata e la Giustizia trionfa.

Trionfa? Sull’intera vicenda aleggia il fantasma di una nuova terribile guerra tra Francia e Germania. Un fantasma che purtroppo si avvererà poco dopo e ben oltre i più spaventosi incubi delle spie di fine ‘800. Neppure loro potevano immaginare l’orrore della carneficina nelle trincee di Verdun ed il genocidio ebraico della Shoah. Lieto fine? Al contrario dei film di Walt Disney, la correzione del clamoroso errore giudiziario di Dreyfus lasciò tutti con l’amaro in bocca. Il danno di 12 anni di carcere e della vita spezzata di una intera famiglia non è risarcibile. Il danno prodotto dalle virulente campagne antisemite della stampa francese neppure, anzi. La Nemesi storica volle poi l’inversione dei ruoli. La Francia di fine ‘800 accusava gli ebrei di tradimento a favore dei tedeschi, ma a pianificare lo sterminio dei giudei fu poi la Germania nazista. L’unica, terribile, costante di tutta questa narrazione è l’antisemitismo e la persecuzione degli ebrei, sempre e comunque vittime.

A latere di tutto questo, il caso Dreyfus fu anche uno spiacevole incidente diplomatico nei rapporti tra Italia e Francia, allora molto tesi. Tensioni che furono fortunatamente mantenute entro la traccia del seminato da mani diplomatiche esperte. Questo piccolo episodio di una vicenda tanto complessa è raccontato in un vecchio articolo sul Giornale nel 1998 da un Ambasciatore dei nostri giorni, Maurizio Serra, a cui, cessato il servizio attivo, la Francia ha da poco concesso il grandissimo onore di includerlo tra i suoi Immortali dell’Accademie Francaise. Anche questo un piccolo segno di quanta acqua sia, fortunatamente, passata nei rapporti tra Italia e Francia. La piccola storia raccontata dall’Ambasciatore Serra merita ancora oggi qualche umile riflessione in chiave della ricostruzione in atto del giusto spirito europeo. Siamo ormai nel XXI secolo è vero, ma, come cantava Bob Marley, in this great future, you can’t forget your past. 

La vicenda, lo ricordiamo, è del 1894. Il controspionaggio francese controlla l’Ambasciata tedesca a Parigi e scopre, da un biglietto manoscritto astutamente trafugato, che nelle Forze Armate c’è un traditore. Qualcuno che vuole vendere all’addetto militare tedesco, Generale von Schwartzkoppen (foto in basso a sx), i disegni segreti del gioiello tecnologico dell’Esercito, il nuovissimo cannone da 75mm. Parte la caccia all’uomo, alla spia, al traditore. Si inizia con quello che oggi si chiamerebbe profiling: il traditore dev’essere un ufficiale d’artiglieria con accesso a quel tipo di informazioni, ma anche un uomo spregevolmente disposto a svendere la Patria per trenta denari. Tra i potenziali traditori ce n’è uno doppiamente sospetto: un ebreo alsaziano, Dreyfus (foto a destra). L’Alsazia, terra di confine, era stata strappata alla Francia ed annessa al Reich tedesco con la disfatta del 1870 assieme alla Lorena. Una ferita aperta, il pomo della discordia franco-tedesca. I Dreyfus avevano optato per la cittadinanza francese, ma erano ebrei e parlavano tedesco. Ci si può fidare di un ebreo cosmopolita alsaziano, quindi mezzo tedesco, e per giunta pure ricco? La grafia nel biglietto poteva sembrare la sua, ma bisognava metterlo sotto pressione psicologica per farlo confessare.  La questione era delicatissima, potenzialmente un casus belli per una nuova guerra tra Francia e Germania. Tutto doveva quindi restare assolutamente segreto. Del resto, nel 1870 la guerra era scoppiata per questioni di orgoglio nazionale ferito tramite la manipolazione di dispacci diplomatici (il Telegramma di Ems) e campagne giornalistiche alimentate da leaking di documenti e veline alla stampa. Fake news e manipolazione dei mass media non sono certo novità dei nostri tempi.

L’arresto di Dreyfus è dunque segreto e condotto in maniera arbitraria e degradante. Oggi si direbbe un arresto extragiudiziale dove il malcapitato è già condannato a priori. Gli si offre addirittura la possibilità di salvare l’onore commettendo subito, sul posto, il suicidio. Dreyfus, incredulo e sconvolto, rifiuta e si dichiara innocente. Il processo è segreto, ma la notizia trapela alla stampa che si lancia in una campagna colpevolista, nazionalista ed antisemita. L’antisemitismo era allora in Francia non solo legale, ma molto diffuso. Le copertine dei giornali antisemiti, con le caricature dei giudei che arraffano il globo, non hanno nulla da invidiare alla peggior propaganda nazista di 40 anni dopo. La destra nazionalista, in un’inversione dei ruoli rispetto allo Shylock di Shakespeare, vuole la sua oncia di carne. Avevano avvertito la Nazione che non bisognava ammettere gli ebrei nei ranghi dell’Esercito ed ecco il risultato a non averla ascoltata! Il tradimento di Dreyfus è la dimostrazione che avevamo ragione!

Cosa c’entra l’Italia in tutto questo? Il giorno della sentenza nel processo segreto, il controspionaggio francese fornisce un dossier con prove “inconfutabili” della colpevolezza  di Dreyfus. Dentro c’è anche copia della corrispondenza tra il Generale von Schwartzkoppen ed il suo omologo italiano, l’addetto militare del Regno a Parigi, Tenente Colonnello  Alessandro Panizzardi. Serra nel suo articolo difende Panizzardi. Era un buon ufficiale, forse si è fatto prendere la mano dal clima di spionaggio e servizi deviate che aleggiava nella Parigi di allora e la frequentazione col collega tedesco era troppo stretta rispetto alle sani abitudini di prudenza dei diplomatici. In ogni caso non fece e non disse mai nulla da poter utilizzare come prova contro Dreyfus, che non aveva mai ne visto ne conosciuto.

Francia ed Italia attraversavano allora una fase non priva di sussulti di aperta ostilità. Cavour, riunificando l’Italia con l’aiuto di Garibaldi, era venuto meno allo spirito degli accordi di Plombières, che per Parigi significavano un Regno delle due Sicilie nell’orbita francese. Nel 1870 gli italiani avevano poi cinicamente approfittato della sconfitta di Napoleone III per prendersi Roma e farla capitale. Uno schiaffo perché allora Parigi proteggeva il papato ed i caduti papalini nella difesa di Porta Pia erano zuavi francesi. C’era stata ancora la questione di Tunisi ed, infine, l’Italia si era alleata col nemico atavico, la temibile Germania.  In controspionaggio francese non sorvegliava quindi solo von Schwartzkoppen, ma anche il suo amichetto italiano Panizzardi.

In realtà Panizzardi non conosceva affatto Dreyfus e la corrispondenza col collega tedesco avrebbe dovuto casomai scagionare l’ufficiale alsaziano. Ma dalla matrioska del caso Dreyfus esce un’altra sorpresa: Schwartzkoppen e Panizzardi erano amanti. La loro corrispondenza, intercettata dal controspionaggio, ma mantenuta segreta, è fatta di lettere d’amore. Sodomia! L’omosessualità era allora tabù e non si poteva neppure nominare, ma nel sussurro delle segrete stanze basta l’insinuazione che i tre fossero legati proprio da questo per condannare Dreyfus senza appello. La prova regina. Alsaziano, giudeo, ricco e pure pederasta: il profilo del traditore perfetto. Quali altre prove servono per infliggerli una pena esemplare?

Nelle relazioni dell’Ambasciata d’Italia a Parigi di questo aspetto non si parla. La non discriminazione delle persone in base al loro orientamento sessuale è una conquista di civiltà molto recente e solo ai nostri giorni se ne può discutere anche in relazione a fatti storici. Il tabù non è comunque ancora del tutto superato e vi è un interessante dibattito tra storici. Da parte francese si osserva infatti come non sia possibile dimostrare che Dreyfus sia stato effettivamente accusato di sodomia. Il dossier mostrato al tribunale militare era coperto da segreto ed il fascicolo relativo si è andato poi via via riempiendo di altre carte e documenti senza che sia ormai più possibile ricostruire oggi cosa contenesse nel 1894.

In verità contro Dreyfus non c’è alcuna prova, ma l’ufficiale viene condannato per tradimento, solennemente degradato nel cortile della Scuola Militare, la sua spada viene spezzata e viene tradotto nel terribile penitenziario dell’isola del Diavolo alla Caienna. L’iconografia di tutto questo è abbastanza diffusa nell’immaginario collettivo grazie ad una discreta filmografia. Nel 1958 uscì un primo film americano sceneggiato dal grande romanziere Gore Vidal. Nel 2019 la storia è raccontata in J’Accuse di Roman Polanski, Leone d’argento al Festival del cinema di Venezia.

Tornando nella Parigi di fine ‘800, tutto il processo è teoricamente segreto, ma le notizie trapelano misteriosamente alla stampa che rilancia le sue intemerate campagne antisemite.

Due anni dopo, il controspionaggio francese scopre il vero traditore, un altro ufficiale del controspionaggio oberato di debiti. Il confronto calligrafico è chiaro, ma Picquart, l’ufficiale che lo segnala, non viene creduto. Picquart viene anzi allontanato e spedito in Tunisia, dove teme per la sua vita. Confida allora le sue scoperte ad un avvocato con mandato di renderle note se gli fosse capitato qualcosa. L’informazione tuttavia trapela ed il vero autore materiale della lettera all’addetto tedesco, Esterhazy , assieme ad un altro ufficiale dei servizi segreti, il maggiore Henry, denunciano Picqart per rivelazione di segreti di Stato. Henry produce un nuovo documento, una nuova lettera di Panizzardi da cui emerge in maniera inconfutabile la colpevolezza di Dreyfus. Picquart, l’ufficiale gentiluomo, oggi si direbbe whistleblower, viene incarcerato e dimesso dal servizio. Sarà riabilitato anch’egli solo nel 1906, assieme allo stesso Dreyfus. In questa narrazione Picqart personifica il lieto fine shakespeariano. L’ufficiale coraggioso che si oppone alla corruzione del sistema deviato in difesa di un innocente e dell’onore della Repubblica. Alla fine Dreyfus, come Giobbe nel racconto biblico, cede. Condannato anche nel processo di appello, pur di ottenere la Grazia ammette la propria colpevolezza. Picquart no. Resiste con onore all’ingiustizia ed è lui che, alla fine, restituisce onore alla Francia che ha riconosciuto l’errore.

Emile Zola

Nel frattempo, anche la corrispondenza Schwartzkoppen-Panizzardi finisce col trapelare sulla stampa e la cosa diventa diplomaticamente imbarazzante. Non per l’accusa di omosessualità, che resta un tabù anche per chi passa le veline ai giornali, ma per lo spionaggio. Un diplomatico beccato a condurre attività ostili al Paese di accreditamento normalmente viene espulso come persona non grata. I tedeschi ritirano prudentemente il loro addetto militare, ormai chiaramente bruciato, prima che la cosa degeneri. L’Italia invece no, difende tacitamente il suo uomo.

L’Ambasciatore, il Conte Tornielli, era molto seccato di tutta questa faccenda e della evidentemente troppa confidenza che il suo addetto militare si era preso con l’omologo tedesco in disgrazia. Richiamare Panizzardi in Italia sarebbe stato tuttavia un errore. Sarebbe equivalso ad una indiretta ammissione di responsabilità. Il Ministro degli Esteri Emilio Visconti Venosta, allievo di Cavour, non vuole assolutamente farsi invischiare in una vicenda che non ci riguarda, né deve riguardarci. Non vuole compromettere il riavvicinamento alla Francia faticosamente costruito nel tempo, senza beninteso staccarsi da Berlino e dalla Triplice. Le istruzioni sono perentorie: limitarsi a dire che Panizzardi non ha mai avuto rapporti con Dreyfus, punto e basta. Questa è quella che i diplomatici chiamano una norma di linguaggio, ovvero l’unica cosa che si è autorizzati a dire. Quando le acque si saranno calmate, si potrà richiamare l’imprudente ufficiale senza clamore e senza disonore. Tornielli congela dunque l’addetto militare e conferisce l’incarico di seguire l’affare Dreyfus ad un giovane diplomatico: il Segretario di Legazione Raniero Paulucci di Calboli (destinato ad una grande carriera, una sua fotografia figura nell’appena pubblicato “Immaginario Diplomatico” di Stefano Baldi. Paulucci, ormai anziano, è ritratto in alta uniforme per la presentazione delle credenziali alla corte dell’Imperatore del Giappone).

Paulucci segue quindi con grande attenzione l’affare, raccoglie elementi e segue le cronache. Come nei romanzi di le Carrè, la vicenda è piena di colpi di scena. Nella pubblica opinione cresce il fronte innocentista. Il fratello di Dreyfus accusa apertamente Esterhazy di essere l’autore materiale della lettera all’addetto militare tedesco. Esterhazy e Henry, offesi nell’onore, sfidano a duello Picquart. Questi accetta il duello con Henry, che si svolge dietro le scuderie della Scuola Militare. Picquart vince il duello, ma risparmia la vita dell’avversario. Rifiuta invece lo scontro con Esterhazy poiché lo giudica indegno.  Esterhazy chiede allora ai vertici militari di essere giudicato per potersi discolpare e ripulirsi dal disonore. Sulla base delle prove aggiuntive fornite da Henry viene assolto il 10 gennaio 1898.

E’ la proverbiale goccia che fa traboccare il vaso. Clemencau, il futuro Presidente francese che allora scriveva sul quotidiano Aurore, ospita il 13 gennaio l’intervento di Emile Zola. Il J’Accuse è una clamorosa lettera aperta al Presidente della Repubblica Félix Faure in cui lo scrittore denuncia le molte irregolarità del caso Dreyfus. Nei giorni seguenti il giornale pubblica una petizione aperta alla firma degli intellettuali che chiedono la revisione del processo: André Gide, Anatole France, Marcel Porust…La Francia intellettuale si divide in innocentisti e colpevolisti e l’argomento diventa scottante.

Paulucci (foto in basso alla presentazione delle sue credenziali davanti all”Imperatore del Giappone) è sul pezzo e parteggia chiaramente per gli innocentisti. Egli sostiene apertamente Zola anche nel processo che gli viene intentato per diffamazione. Lo scrittore lo cita infatti come testimone a difesa. Il processo si volge in un clima di grande tensione ed anche Zola, oggetto di pensanti campagne stampa, sarà ingiustamente condannato ad un anno di carcere. Lo scrittore ripara in esilio in Inghilterra prima che la sentenza diventi definitiva. Si arriva oggi perfino a pensare che la sua morte di qualche anno dopo, per soffocamento a causa delle esalazioni del suo camino, non sia stata veramente un incidente.

Il clamore della vicenda produce comunque un importante risultato. Nell’estate dello stesso anno, il nuovo Ministro della Difesa convoca riservatamente il maggiore Henry e lo interroga personalmente, procedendo un nuovo clamoroso colpo di scena. Il responsabile del controspionaggio cede e confessa: è stato lui a produrre la prova regina che ha confermato la condanna di Dreyfus manipolando la lettera di Panizzardi, divenuta celebre tra gli storici come il “falso Henry”. L’ufficiale viene arrestato e l’indomani si suicida in carcere.

Anche Esterhazy confesserà, ma dirà anche di aver agito per ordini superiori. Questa è ancora oggi la tesi difensiva: il maggiore avrebbe dovuto infiltrarsi nei servizi tedeschi per poter poi fare il doppio gioco. La storia prosegue. Dreyfus ottiene la revisione del processo, ma la ragion di Stato impedisce di gettare totale discredito alle Forze Armate su di un tema tanto delicato come i rapporti con la Germania con cui si rischia sempre e comunque una nuova guerra. Dreyfus è nuovamente condannato, ma otterrà poco dopo la grazia.

La riabilitazione vera e completa si avrà solo quando Clemenceau diventa Presidente. Cosa ci insegna allora questa vicenda apparentemente lontana tra le pagine della Storia? Beh, se questi racconti ci appaiono lontani è anche perché oggi una guerra tra Francia, Germania ed Italia appare assolutamente inconcepibile. Settant’anni di integrazione europea sempre più stretta l’hanno ormai resa tale, ma la Storia di questa nostra Europa la dovremmo tutti studiare un po’ meglio. Scopriremmo, ad esempio, che tra i veri Padri dell’Europa c’è anche un altro grande diplomatico allievo di Visconti Venosta, Carlo Sforza. Lo ricordo perché Sforza non viene mai citato nel Pantheon europeista quando invece ne fu uno dei principali autori italiani. Fu Sforza ad incitare De Gasperi a firmare il Trattato di Pace di Parigi ed a ricostruire le relazioni con la Francia dopo le profonde ferite della seconda guerra mondiale. E’ anche grazie a questo riavvicinamento che l’Italia entrò subito nella NATO ed aderì Consiglio d’Europa di Strasburgo. Si, Strasburgo la capitale di quell’Alsazia terra di confine da cui veniva Dreyfus e che fu all’origine dei sospetti contro di lui. Un tempo pomo della discordia franco-tedesca, oggi Strasburgo è la capitale Europea dei diritti dell’uomo. Fu Sforza a suggerire a De Gasperi ad aderire subito alla CECA. Già, come mai l’Italia – che non ha grandi miniere di carbone o di ferro – ha aderito ad una Comunità del Carbone e dell’Acciaio concepita essenzialmente per risolvere un problema squisitamente franco-tedesco? Fu grazie anche alla lungimiranza di Sforza, a pieno titolo uno dei padri dell’integrazione europea ed il primo Ministro italiano degli Affari Europei.

I rapporti bilaterali tra Roma e Parigi, tra le due sorelle latine, registrano talvolta delle tensioni e questo ogni volta pare sorprenderci. Se, tuttavia, della Storia europea leggiamo bene tutte le pagine vediamo non dovremmo essere poi così stupiti. Anche tra due persone che pensano di conoscersi fin troppo bene, se si finisce per darsi per scontati l’un l’altro, ogni tanto capita di doversi fermare un attimo a rifare il punto.

Infine l’antisemitismo. La tragedia della Shoah è talmente grande che talvolta la ripetizione rituale della condanna ne blocca l’effettiva comprensione. Come se in realtà il trauma fosse rimosso. Il caso Dreyfus ci ricorda che il razzismo non nasce con Hitler e non è un fenomeno solamente tedesco. L’antisemitismo della Terza Repubblica – che pure era figlia della Rivoluzione francese, della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino e dell’emancipazione giudaica – ci deve far riflettere.

Profilare le persone è esattamente quello che i social media moderni fanno ogni giorno per chiari motivi commerciali utilizzando algoritmi di intelligenza artificiale che ragionano per accostamento e probabilità statistiche. Profilare le persone rischia tuttavia di alimentare pregiudizi e dobbiamo stare tutti molto attenti a non restare poi prigionieri del pregiudizio. I diritti delle minoranze sono importanti ed esiste una grande differenza tra tolleranza ed inclusione. Tollerare delle persone diverse da noi per religione, genere od orientamento sessuale può implicare l’aspettativa di assimilarle nella società solo a condizione che perdano o nascondano la loro identità. Integrarle significa invece accettarle serenamente nella società per quello che sono. Certo, come dice Yuval Harari, le diversità culturali – quello che definisce culturalismo – non si possono ignorare ci deve sempre essere un rispetto delle regole communi da parte di tutti. Rispettare le minoranze è tuttavia veramente importante perché, come insegnava Amos Luzzatto, in Europa siamo tutti minoranza.

*Con questo articolo comincia la collaborazione di Stefano Beltrame con Associated Medias

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