Il Presidente della Regione del Tigrai, Ghetachew Redda: “Il rapimento delle donne è ormai considerato un fenomeno comune e normale. Questo non è più tollerabile. Dobbiamo vergognarci di attribuire la colpa ai nostri nemici o a forze straniere quando sappiamo che questi crimini sono perpetrati dalla nostra stessa gente. Il traffico di esseri umani è diventato una pratica inaccettabile”
Una recente, drammatica dichiarazione del Presidente della Regione del Tigrai, Ghetachew Redda, è rimasta inascoltata nonostante il suo contenuto scioccante e potenzialmente dirompente. In un’intervista trasmessa dalla televisione regionale del Tigrai, Redda ha fatto un’ammissione senza precedenti, dichiarando apertamente che stupri, traffico di esseri umani, rapimenti e altre violazioni dei diritti delle donne sono fenomeni largamente diffusi nella sua regione. Questa dichiarazione segna un punto di svolta nella riconoscenza pubblica e nella lotta contro un problema che affligge profondamente la comunità tigrina.
Redda ha descritto con franchezza la situazione: “Il rapimento delle donne è ormai considerato un fenomeno comune e normale. Non è più tollerabile. Dobbiamo vergognarci di attribuire la colpa ai nostri nemici o a forze straniere quando sappiamo che questi crimini sono perpetrati dalla nostra stessa gente. Il traffico di esseri umani è diventato una pratica inaccettabile. La nostra regione è diventata un luogo dove gli esseri umani vengono trattati come oggetti e il riscatto dei migranti è diventato la norma.”
Questa ammissione pubblica rappresenta un passo cruciale verso il riconoscimento e la lotta contro fenomeni che sono stati a lungo minimizzati o ignorati. In passato, tali crimini erano spesso politicizzati e attribuiti agli eritrei per giustificare sanzioni internazionali. Le accuse, non supportate da prove concrete, hanno contribuito a un clima di ostilità e incomprensione nei confronti dell’Eritrea, mentre la verità sui crimini perpetrati all’interno della regione del Tigrai rimaneva nascosta.
La dichiarazione di Redda giunge in un momento in cui i media internazionali, per anni, hanno imputato questi crimini agli eritrei, senza condurre indagini approfondite e indipendenti. Tuttavia, studi indipendenti finanziati dalle agenzie delle Nazioni Unite, come l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e il Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione (UNFPA), così come da ONG operanti nella regione, hanno documentato la presenza di tali fenomeni ben prima dell’inizio del conflitto del 2020. Studi condotti nel 2007 e nel 2014 hanno messo in luce la persistente cultura della violenza sessuale nel Tigrai.
In particolare, uno studio condotto nel 2020 dall’Università di Mekele, realizzato da noti ricercatori etiopici, tra cui Sarah Bahta Galu, Habtu Berhe Ghebru, Yohannes Tesfay Abebe, Ghebrekristos Gebrekidan, Atsede Fabthaven Aregay e Gherezghier Buruh Abera, ha rivelato che circa il 50% delle donne impiegate all’università erano state vittime di stupri perpetrati da colleghi o superiori. Altri studi, finanziati dalla cooperazione irlandese e condotti in collaborazione con ONG come Save the Children Sweden, hanno documentato la violenza subita dai bambini nella regione del Tigrai.
La dichiarazione di Ghetachew Redda non solo riconosce la gravità di questi crimini, ma sfida anche la narrativa prevalente che ha frequentemente attribuito ingiustamente la responsabilità a forze esterne. Questo riconoscimento dovrebbe spingere a una riflessione profonda su tutte le accuse mosse contro l’Eritrea e gli eritrei, e invitare a un riesame delle prove e delle testimonianze. La verità sulla violenza e sugli abusi nel Tigrai deve emergere con chiarezza, e solo attraverso un’analisi onesta e imparziale sarà possibile affrontare e risolvere i gravi problemi che affliggono questa regione.
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