di Gianni Perrelli
Nella tempesta di varianti sembra emergere una sola costante: l’incertezza derivante dalla pandemia che non accenna a demordere e condizionerà inevitabilmente anche nel 2022 le scelte della politica, l’andamento dell’economia, gli equilibri dei rapporti sociali. E’ prevedibile che la lotta planetaria contro il Covid otterrà sensibili risultati ma è probabile che il virus, pur indebolito, continuerà a seminare morte e angoscia. Rendendo ancora tormentata la soluzione dei tanti problemi che si addensano in ogni angolo del globo, in un intreccio frastagliato di scenari.
ITALIA: La battaglia del Quirinale
Già in gennaio il paese si troverà di fronte al bivio più importante dall’inizio del nuovo secolo. L’elezione del presidente della Repubblica influenzerà per molti anni il corso politico di un paese dove stenta a consolidarsi una forza dominante. Con tre partiti al vertice dei sondaggi (il Pd di centrosinistra, Fratelli d’Itala e la Lega di destra) che si rincorrono nella pista del consenso sul filo dei decimali. La destra nel complesso sembra in leggero vantaggio sulla sinistra ma l’esito della corsa al Quirinale potrebbe scompaginare il quadro.
Se vince il premier Mario Draghi, che parrebbe orientato al salto anche per sottrarsi alla rissa fra i partiti (che non si sono mai del tutto piegati allo spirito del governo di unità nazionale), rischierebbe di finire la legislatura perché non tutti i gruppi politici accetterebbero a Palazzo Chigi una figura con minor carisma (Daniele Franco o Marta Cartabia) che sarebbe presumibilmente telecomandata dal Quirinale nell’applicazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Soluzione che, fra l’altro, anche se garantirebbe Bruxelles (che si fida solo di Draghi) e rasserenerebbe con la prosecuzione della legislatura le anime in pena dei parlamentari che difficilmente saranno rieletti (la pensione si matura solo a ottobre), comporterebbe anche ostacoli costituzionali. Perché produrrebbe una torsione istituzionale (di fatto e non di diritto) verso il semipresidenzialismo.
Se dovesse surrealmente vincere Silvio Berlusconi – con l’appoggio dell’intera destra che non si mostra però del tutto convinta (e ammesso che riesca a non farsi impallinare dai franchi tiratori), dei renziani ancora indecisi e di qualche acquisto fra gli ex grillini e il gruppo misto, la prospettiva di uno scioglimento delle Camere si farebbe ancor più concreta. Il clamore mondiale di un esito così divisivo indurrebbe il centrosinistra a una spaccatura immediata. Lo stesso Draghi sarebbe indotto senza indugi alle dimissioni per l’impossibilità di tenere ancora unita una compagine di governo così lacerata.
L’ipotesi di Berlusconi al Quirinale solo fino a qualche mese fa appariva inverosimile per il curriculum quanto meno discutibile del Cavaliere. Però il Parlamento italiano ci ha abituato a scontrarsi non solo con la dignità ma addirittura con l’evidenza. Nel 2010 – per piaggeria, viltà o opportunismo – sancì a maggioranza che Ruby rubacuori era la nipote d Mubarak. Il punto più basso dell’intera storia repubblicana.
Ma perfino se, secondo logica, Berlusconi dovesse perdere la sfida della rivalsa personale per il voltafaccia di Matteo Salvini e Giorgia Meloni il governo potrebbe entrare in crisi per la ritorsione di Forza Italia che manderebbe in frantumi l’alleanza di centrodestra.
L’unica soluzione senza tensioni, dato che Sergio Mattarella non è disponibile alla rielezione (salvo ripensamenti dell’ultima ora imposti dall’emergenza), è un accordo preventivo fra i maggiori partiti su una figura di prestigio e al di sopra delle parti (Giuliano Amato? Pier Ferdinando Casini?) che lascerebbe nelle esperte mani di Draghi la guida del piano di rilancio. Ma al momento tutti i leader hanno ancora le carte coperte. E viste le distanze ideologiche e di interessi un’intesa in tempi così stretti appare tutt’altro che facile.
La tregua durerebbe in ogni caso solo alla fine dell’estate. Nell’ultimo trimestre del 2022 la campagna elettorale per le legislative d’inizio 2023 renderebbe l’atmosfera di nuovo incandescente. Con Draghi garante sia pur defilato agli occhi dell’Europa se andrà al Quirinale. Con Draghi dal futuro in bilico se dovesse rimanere a Palazzo Chigi. Chiunque dovesse vincere reclamerà legittimamente la guida dell’esecutivo. E a Draghi, il pilota del rilancio che non ha alle spalle un partito, non basterebbe il prestigio internazionale per evitare la beffa dello sfratto e della perdita di ogni ruolo.
STATI UNITI – Midterm appuntamento decisivo per Biden
L’appuntamento cruciale è fissato per i primi di novembre quando gli americani saranno chiamati alle urne per le elezioni di midterm (rinnovo dei membri della Camera dei rappresentanti, di un terzo di quelli del Senato e di alcuni governatori dei singoli Stati). E’ una sorta di tagliando per l’inquilino della Casa Bianca che spesso paga lo scotto delle promesse non mantenute, costringendolo a venire a patti con l’opposizione. Lo scoglio è particolarmente duro per Joe Biden che dispone di una maggioranza non schiacciante alla Camera e di un solo voto di vantaggio al Senato (quello della vicepresidente Kamala Harris). I sondaggi, dopo una brevissima luna di miele, gli sono sfavorevoli. Svariate le cause: ritiro precipitoso dall’Afghanistan (oggi ridotto alla fame e retrocesso di nuovo al Medio Evo con l’annientamento dei diritti civili soprattutto per le donne), modesti risultati nella lotta contro il Covid, carovita galoppante non sufficientemente bilanciato dai sussidi a pioggia elargiti soprattutto a favore dei forgotten men (la base elettorale di Trump).
Le politiche moderatamente espansive del presidente sono avversate con durezza dai repubblicani ma anche mal digerite dalle correnti di sinistra del partito democratico (capitanate da Bernie Sanders e dalla giovane e combattiva Alexandria Ocasio-Cortez) che giudicano troppo prudente il suo riformismo. Sullo sfondo si staglia di nuovo il fantasma di Trump che minaccia di ricandidarsi fra tre anni alla Casa Bianca tornando ad alimentare il clima tossico, quasi da guerra civile, che lo scorso gennaio mise in crisi la democrazia americana con l’inaudito assalto al Congresso.
Anche sul piano internazionale, nella serrata disputa con la Cina per la leadership mondiale nell’economia, Biden incontra difficoltà. Per arginare le ambizioni di Pechino ha ripristinato i rapporti con l’Europa raffreddati da Trump. E ha stretto un’alleanza (il Quad) con alcune potenze dell’area asiatica e pacifica (India, Giappone, Australia). Particolare attenzione è dedicata alle intese con il governo di Nuova Delhi. L’India, per dimensioni demografiche e sviluppo dell’economia, è il paese più accreditato (anche se non del tutto motivato) per tener fronte alla Cina. Ma il clima di preguerra fredda intanto non frena la corsa agli armamenti aprendo altri buchi nel bilancio.
CINA: Espansione e dissenso interno le sfide di XI Jinping
Xi Jinping, il nuovo Mao, non ha i vincoli imposti a Biden dal rispetto delle regole democratiche e dei diritti civili. Può permettersi di governare come gli pare, senza rendere di fatto conto a nessuno. Convinto addirittura che la sua dittatura sia un sistema molto più adatto a questi tempi convulsi delle pastoie della democrazia, come dimostra la gestione con metodi quasi carcerari della pandemia esplosa proprio in Cina.
Con il capitalismo di Stato (a patto che non venga mai messa in discussione la linea del partito comunista) ha elevato al benessere metà dell’immenso paese. E ora, di fronte alla marea di scandali finanziari e di inaccettabili disuguaglianze per l’ideologia marxista, sta spostando il pendolo verso l’equità.
Ma se la piena libertà di azione non trova barriere nell’espansionismo della sua influenza (penetrazione in Asia, Africa, Sud America, perfino in qualche enclave europea) e nella repressione delle minoranze etniche (Xinjiang) e del dissenso (Hong Kong), rischia uno scontro militare dalle imprevedibili conseguenze con l’ossessione di riportare Taiwan sotto il dominio di Pechino. Gli Stati Uniti hanno già messo il leader cinese in mora con il boicottaggio delle Olimpiadi invernali del prossimo febbraio. Un danno irrilevante dal punto di vista economico. Ma un grave smacco per l’immagine di una grande potenza che si prefigge l’obiettivo di dominare il mondo.
RUSSIA: Le spine Ucraina e Bielorussia
L’incubo di Vladimir Putin è l’Ucraina che, già scottata dalla mutilazione della Crimea, cerca riparo sotto l’ombrello protettivo della Nato. Le truppe russe circondano da mesi i suoi confini con spericolate manovre che sembrano preludere a un’invasione. Ma lo zar di Mosca è perfettamente consapevole che correrebbe gravi rischi se si spingesse fino ad attraversare quella linea rossa. E’ già stato messo in guardia da Biden nel recente colloquio in teleconferenza. E il suo agitar di sciabole ha probabilmente un obiettivo meno impegnativo: lo status quo che impedirebbe l’ingresso dell’Ucraina nell’Alleanza Atlantica e l’esposizione troppo ravvicinata di Mosca alla minaccia dei missili occidentali.
Perfino l’alleanza con la reietta Bielorussia serve alla causa: funge da cuscinetto allontanando la gittata di eventuali razzi ostili, a prescindere dalla scellerata violazione dei diritti civili esercitata dal dittatore Alexander Lukashenko.
Le difficoltà economiche e la cattiva gestione della pandemia hanno eroso il consenso dello zar ma la dura repressione del dissenso (caso Navalny), le risorse energetiche e la crescente influenza conquistata in Medio Oriente e in Africa lo mettono al momento al riparo da insidie interne. E per conservare almeno in apparenza la vocazione imperiale e un rango di grande potenza la Russia non più plasmata dall’ideologia si sta avvicinando sempre più alla Cina che ai tempi dell’Unione Sovietica era la rivale più insidiosa di Mosca nella sfida alla leadership dell’universo comunista.
EUROPA: le elezioni francesi e portoghesi
L’evento clou sarà rappresentato in aprile dalle elezioni presidenziali in Francia. Emanuel Macron cerca un secondo mandato incalzato (ancora una volta) dalla leader di destra Marine Le Pen, dall’ultraconservatore Eric Zemmour e dall’emergente neogollista Valèrie Pecresse. La sfida è incerta. Macron è in vantaggio, ma proprio nel semestre di presidenza francese le insidie vengono dal suo alto tasso di europeismo che contrasta con il crescente scetticismo dei francesi per le politiche di Bruxelles. Non giova all’immagine del presidente in carica neanche il pessimo andamento della pandemia. Gli servirebbe un colpo di reni. Il rilancio, dopo gli accordi di Roma con Draghi, dell’asse con la Germania del nuovo cancelliere Olaf Scholz che con la presenza dei verdi nel governo di Berlino accelererebbe almeno in Europa le riforme ambientaliste.
Alla fine di gennaio un’altra elezione provocata dalle eterne faide della sinistra dovrebbe confermare alla guida del Portogallo il socialista Antonio Costa, fiancheggiato dalle formazioni che già lo sorreggevano o dai liberalconservatori in un governo di unità nazionale.
A Bruxelles rimangono le spine nel fianco dei turbolenti rapporti con il Regno Unito che, visti gli esiti finora non molto brillanti della Brexit, cerca scappatoie per aggirare i patti. E le irrisolte contese con Ungheria e Polonia sull’osservanza dei diritti civili che sono alla base della costruzione europea. Improbabile che si giunga a una rottura. Si andrà avanti coi compromessi, nella speranza che i processi elettorali prima o poi spingano al governo, a Budapest e Varsavia, forze meno sovraniste.
MEDIO ORIENTE: L’attivismo di Turchia ed Emirati
La Turchia che riallaccia i rapporti con gli Emirati. L’Arabia Saudita che riprende a dialogare con il Qatar e perfino con l’Iran. Gli accordi di Abramo che permettono a Israele di intessere intese geopolitiche e commerciali con paesi sunniti un tempo ostili. La Siria che dopo la sanguinosissima guerra civile viene riammessa nel consesso dei conclavi arabi. Diplomazia in grande fermento, nonostante le disastrose conseguenze della pandemia.
In autunno il minuscolo Qatar celebra il suo ingresso nel salotto buono delle relazioni internazionali organizzando nientemeno che i mondiali di calcio. E intanto cura gli interessi del derelitto Afghanistan ospitando a Doha le rappresentanze diplomatiche presso Kabul dei governi occidentali e, insieme alla Turchia, la gestione dell’aeroporto della capitale.
AFRICA: Covid bubbone esplosivo
Il bubbone più esplosivo è la carenza di vaccini che fa galoppare la pandemia. Il primo mondo, se non altro per riflesso di autodifesa contro il proliferare delle varianti, cercherà di rimediare con l’invio di massicce dosi.
Sul piano politico i punti più critici sono la Libia e l’Etiopia. A Tripoli le elezioni che si sarebbero dovute svolgere il 24 dicembre sono state rinviate per le eterne faide fra le fazioni e le milizie Sponsorizzate da un lato da Turchia e Qatar che appoggiano i fratelli musulmani insediati nei centri di potere della capitale; dall’altro dall’Egitto, dalla Russia e dalla Francia che per non convergenti obiettivi sostengono le ambizioni del generale Khalifa Haftar (l’uomo forte della Cirenaica). Con l’Italia che sta perdendo progressivamente influenza nella sua ex colonia.
Imprevedibile l’eventuale esito della consultazione a cui potrebbe partecipare anche Saif Al-Islam, figlio di Gheddafi. Anche se per il momento regge la tregua non è da escludere una ripresa della guerra civile.
In Etiopia Abiy Ahmed Ali, insignito del Nobel per la pace dopo la cessazione delle ventennali ostilità con l’Eritrea, ha respinto l’avanzata verso Addis Abeba dei ribelli tigrini ma avrà grosse difficoltà a piegarne la resistenza e a riportare l’ordine nel paese.
SUD AMERICA: Le difficoltà di Bolsonaro e il ritorno di Lula
L’appuntamento più importante, nel subcontinente che insieme all’Africa ha più sofferto l’assalto del Covid, sarà l’elezione presidenziale di ottobre in Brasile. Secondo i sondaggi il leader socialista Lula, dopo gli anni trascorsi in carcere per un controverso caso di corruzione, dovrebbe tornare al potere sconfiggendo l’attuale presidente Jair Bolsonaro il leader reazionario che ha visto inabissare il consenso personale per la disastrosa sottovalutazione della pandemia e per il crollo dell’economia. Ma mancano ancora molti mesi. E i poteri forti di una destra agguerrita e del capitalismo d’assalto escogiteranno sicuramente delle contromisure prima di concedere la resa a un nemico irriducibile come Lula. Un totem della sinistra che governò con più luci che ombre nei suoi primi due mandati. Ma che per i timori e la propaganda dell’estrema destra, con le sue aperture ai ceti più disagiati, potrebbe spingere il Brasile verso derive venezuelane.
Con questi chiari di Covid si annuncia anche nella politica internazionale un 2022 con molte varianti imprevedibili. In sintonia con lo spirito inquietante dei tempi.
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