Crisi Post-Covid: paese sul baratro, autunno torrido, riforme inevitabili

di Guido Talarico

L’autunno del 1969 passò alla storia come “caldo” perché contrassegnato da dure lotte sindacali che infiammarono le piazze ma poi portarono alla nascita dello Statuto dei Lavoratori. Dopo oltre mezzo secolo la storia si ripete con un autunno, il prossimo, che si preannuncia torrido. La causa delle gravi tensioni sociali che dovremo sopportare è, naturalmente, la crisi economica causata dalla pandemia. La freddezza dei numeri è di per sé sufficiente a spiegare l’impennata del calore che avremo tra quattro mesi. Goldman Sachs nei mesi scorsi aveva stimato per l’Italia un crollo del Pil pari al -11,6%. Per Ignazio Visco, Governatore della Banca d’Italia, le perdite potrebbero addirittura assestarsi a -13%. Il che tradotto in soldi vuol dire che andranno in fumo circa 200 miliardi di euro, con un ulteriore balzo del debito pubblico a circa 2.600 miliardi, pari a poco meno del 170% del pil.

Il rapporto dell’Area Studi di Mediobanca sull’impatto del Coronavirus sui bilanci del primo trimestre 2020 di oltre 150 multinazionali con fatturato annuale superiore a 3 miliardi di euro spiega come sarà la ripresa che dovrebbe seguire. Parliamo del 2021 per intenderci. È previsto, come sempre dopo le grandi depressioni, un rimbalzo cioè una crescita generale dell’economia. Ma scordiamoci che sarà a “V”, cioè con uno sviluppo uguale e contrario alle perdite. Se ci andrà bene avremo una curva a “U”, vale a dire una ripresa molto lenta che solo nel 2022 porterà gli utili delle aziende quotate in Borsa vicini a quelli del 2019. Altro dato non proprio incoraggiante sarà la diminuzione media dell’utile per azione che scenderà del 30% quest’anno e del 21% nel 2021.

Di questo scenario da grande depressione se ne parla da mesi, ma si ha la netta sensazione che non tutti (soprattutto tra quanti vivono di stipendio fisso) abbiamo capito con una qualche precisione a cosa andremo incontro. Il che è comprensibile. I comunicatori pubblici hanno lavorato per tranquillizzare gli animi annunciando grandi interventi finanziari, nazionali ed europei. Con grave ritardo, ma poi alla fine sono stati erogati anche un po’ di aiuti alle classi più disagiate (qualche fondo perduto, la disoccupazione, la cassa integrazione), a quelle più potenti (Fca, Autostrade, Valentino, Eataly ecc.) e anche a quelle più inguaiate (la solita Alitalia su tutte). Un pugno di spiccioli è stato garantito (ma in larga parte non ancora erogato) anche alle nostre adorate PMI. A tutto questo si aggiunge, vivaddio, una discesa del virus, la fine della segregazione domestica, l’arrivo imminente dell’estate e soprattutto la ripresa del campionato di calcio, che, come è noto, anestetizza le menti più di due tirate d’oppio.

 

 

La coperta è gelata e l’estate è finita

Ma poi arriverà l’autunno un tempo in cui, come dice Francesco de Gregori,la coperta è gelata e l’estate è finita”. E allora potremo dire buonanotte ai tanti fiorellini, che hanno fatto finta di non vedere e alle anime belle che ci hanno portato a tappezzare le finestre di striscioni arcobaleno in cui, ignari, ci dicevamo che tutto sarebbe andato bene. Perché l’autunno è il tempo in cui le aziende dopo mesi di blocchi forzati potranno riprendere a licenziare, è il tempo in cui finirà la cassa integrazione, in cui chiuderanno tante aziende. È il tempo in cui constateremo che i soldi dello Stato o dell’Europa sono molti di meno rispetto a quelli che servono e così vedremo arrivare al pettine tutti i nodi che in primavera o in estate avevamo nascosto sotto il tappeto dell’ignoranza, dell’imprudenza o dell’Insolenza. O anche che avevamo fatto finta di non vedere presi dal peso della paura.

E così un mattino di settembre qualsiasi ci troveremo con la disoccupazione più o meno al 12% e con  cinque milioni di persone che saranno disoccupate o inoccupate. Di fronte ad uno scenario così drammatico verrebbe da dire facciamo qualcosa di più da subito. Ma l’aria che tira non sembra questa. A Bruxelles, è vero, ci daranno un bel po’ di soldini, ma con calma e per piacere, e soprattutto (giustamente) se faremo le necessarie riforme. I rubinetti di casa invece già gocciolano perché i nostri serbatoi, gravati da un enorme debito pubblico, hanno ormai pochissimi liquidi da erogare. E allora tanto vale godersi italicamente l’estate e il campionato di Serie A. Poi si vedrà.

La programmazione di cortissimo respiro sommata all’incapacità amministrativa sono le caratteristiche fondanti la politica che ha gestito il nostro paese almeno negli ultimi 30 anni. Senza voler fare di tutte le erbe un fascio, perché qualche tentativo di metter seriamente mano al paese c’è stato, la verità è che siamo abituati a vivere nell’inefficienza. Ma questa volta – i numeri li abbiamo visti – la crisi è veramente da tregenda. Così anche il campionato più bello del mondo difficilmente riuscirà a fare stare buone e a casa tutte quelle famiglie che non avranno come sfamare i propri figli. Riuscirà il Governo di Giuseppe Conte a gestire l’autunno torrido che ci attende? Riusciremo a rimettere in moto rapidamente la nostra macchina produttiva e a utilizzare quei pochi fondi che abbiamo a disposizione? Riusciremo a fare le riforme indispensabili a rimodernare il paese? E soprattutto le opposizioni riusciranno a non soffiare sul fuoco della rivolta e a lavorare con responsabilità e spirito costruttivo come il Presidente Mattarella richiede con forza ad ogni piè sospinto?

 

Mattarella ha visto Draghi

Vorremmo sbagliarci ma sarà difficile che tutte queste domande avranno risposte positive. Diamo uno sguardo alla scena politica. La discesa in campo di Mario Draghi, guardato da molti come San Michele, l’Arcangelo che liberò Roma dalla peste, si è bloccata prima ancora di partire. Sarebbe dovuto arrivare subito, quando si trattava con Bruxelles. Già oggi non ci sono più le condizioni per un suo arrivo. Il suo proverbiale “whatever it takes” dalle nostre latitudini non fa presa. Mattarella, riservatissimamente, lo ha anche incontrato, per avere la sua visione su come gestire gli aspetti economici della crisi e per sondarne la disponibilità.  Ma il nostro economista più accreditato a livello internazionale ha fatto capire che senza un pieno mandato la sua venuta sarebbe stata inutile se non controproducente. Quindi niente da fare. Durante la recente assemblea di Banca d’Italia, pare che qualcuno lo abbia sentito rendersi eventualmente disponibile per la Presidenza delle Repubblica. Scenario lontano. Si vedrà. Dal lato dell’attuale maggioranza le cose invece sono chiare.

Il Governo Conte non cade

Conte e la sua coalizione potranno fare poco di più di quanto stanno dicendo e facendo ora semplicemente perché i soldi non sono sufficienti a coprire le necessità e anche perché la macchina burocratica non funziona per come vorrebbero. Ma ad oggi il Governo rimane saldamente in sella. È infatti chiaro che – salvo fatti eccezionali oggi inimmaginabili – non vi sono alternative a questo esecutivo. Né in termini di numeri, né in termini di nomi. E tanto meno vi sono margini per andare ad elezioni anticipate, anche per il semplice fatto che il 40%, se non di più, degli attuali parlamentari non verrà rieletto. In questo scenario è chiaro che le opposizioni, con Salvini e Meloni in testa, difficilmente potranno resistere alla tentazione di cavalcare la protesta. Dovendo stare ancora a bagnomaria per almeno un paio d’anni è probabile che giocheranno la loro partita con aggressività. E ci sarà poco da scandalizzarsi visto, per altro, come Obama e Biden stanno cavalcando negli Usa la piazza in funzione anti Trump. Saranno dunque mesi di gravi tensioni dove al disagio sociale si aggiungerà uno forte scontro politico. Come dicono i francesi “à la guerre comme à la guerre”.  E il paese rimarrà in mezzo a questo mare in tempesta dove solo l’Ammiraglio Mattarella sembra avere la lucidità e la statura per poter indicare la rotta verso un porto sicuro.

(le proteste negli Usa per la morte di George Floyd)

La responsabilità del fare: imprese e società civile

E tutti noi cosa possiamo fare? La società civile, le imprese, il terzo settore dovranno assumersi ancora di più la responsabilità di sopperire alle carenze strutturali del paese. Oggi più che mai serve l’apporto, lo sforzo ulteriore di chi sa creare valore, di chi produce benessere per sé stesso e per gli altri. Il Prof. Bernardo Bertoldi, docente di Strategic Management al Dipartimento di Management dell’Università di Torino ha toccato in modo acuto il tema della responsabilità. Ecco cosa ha detto in una recente intervista:Io credo che la responsabilità più grande ce l’abbiano i manager, perché devono decidere come sarà la loro azienda in questa nuova normalità che ci aspetta. Le aziende dovranno evolvere, dovranno adattarsi ad un contesto competitivo che sarà completamente mutato e la cosa affascinante dal punto di vista della “distruzione creatrice” è che questo cambiamento deve iniziare adesso, anzi è già iniziato. Le aziende stanno sperimentando, stanno testando, stanno cercando di capire come cambiano i consumatori, come cambia la competizione, come reagiscono i concorrenti. È evidente che ci stiamo spingendo in un mondo a noi sconosciuto e quindi è necessario capire come adattarsi a questo mondo per rimanere in vita e crescere poi dopo. L’università può avere un ruolo in tutto questo perché può dare alle aziende studenti preparati che, nel disastro che abbiamo intorno, hanno un enorme vantaggio, ovvero la capacità di leggere la realtà senza il retaggio del passato”.

Toccherà a chi crea valore e la necessità delle riforme

È una fotografia vera. Toccherà alle imprese e ai manager. Ai campioni del nostro sistema economico, ai leader di mercato: da Intesa Sanpaolo a Cassa Depositi e Prestiti, da FCA a  Webuild, da Enel a Saipem, da Poste Italiane a Sace, da FS Italiane a Barilla, da Coesia a Pirelli. E con loro il sistema del turismo, il sistema dell’arte e della cultura, le piccole e medie imprese, il mondo dell’agricoltura, del volontariato, delle partite iva, delle cooperative e della sanità. Ancora una volta a fare la differenza dovrà essere la parte del paese che si rimbocca le mani e produce, quella che rappresenta milioni di lavoratori, che opera nelle condizioni tra le peggiori d’Europa e pure è brillante. A costoro spetta il compito di tenere in piedi il paese e di rimetterlo in moto.  Avremo un autunno torrido. Le piazze ribolliranno di rabbia e di dolore. Il paese pagherà un prezzo altissimo per via di debiti antichi e di colpe moderne. L’autunno caldo del 1969 portò allo Statuto dei lavoratori. L’autunno torrido del 2020 deve almeno portare a quelle riforme strutturali che rendano il nostro paese meno vetusto ed inefficiente dell’attuale. È il minimo che questa classe politica possa fare. Poi non resteranno che i forconi.

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