Dai farmaci antidiabetici alla terapia del lutto, le nuove frontiere del Disease mongering

La medicalizzazione, cioè l’invenzione di nuove patologie da curare con farmaci ad hoc, rappresenta una realtà allarmante del nostro Paese, d’altro canto le teorie complottistiche sulle case farmaceutiche e la medicina alternativa vanno considerate un pericolo reale per la salute pubblica.

di Giulia Catricalà

In Italia si è diffusa una tendenza rischiosa a trattare come vere e proprie malattie condizioni puramente fisiologiche e naturali attraverso il ricorso a terapie anche molto aggressive. Questo fenomeno si chiama medicalizzazione o Disease mongering, che significa letteralmente “commercio delle malattie”.

Si è parlato molto, in tempi recenti, del farmaco Saxenda, antidiabetico utilizzato anche da Elon Musk per tenersi in forma e prescritto da numerosi endocrinologi, al di fuori delle indicazioni terapeutiche, in pazienti solo lievemente in sovrappeso che non volevano fare troppe rinunce.

Il principio attivo, la liraglutide, è diventato presto irreperibile nelle farmacie anche per chi ne ha davvero bisogno.
Il peso, però, non è l’unico aspetto eccessivamente medicalizzato della nostra società.

Al giorno d’oggi vengono trattate con terapie d’urto manifestazioni del tutto naturali della vita umana, come l’invecchiamento, il lutto, la cellulite, le lentiggini e molto altro.

Parte di questo fenomeno è dovuto alla pressione esercitata dalle case farmaceutiche, che contribuiscono notevolmente a elaborare i termini stessi del linguaggio medico-scientifico.

Più sono generici e inclusivi i termini con cui è descritta una patologia, più alti risultano i profitti ricavati dai farmaci per quella condizione medica.

Fare più diagnosi e includere il maggior numero possibile di persone in una patologia, alterando il range della normalità, corrisponde a un guadagno superiore sia per i medici che per le case farmaceutiche.

Questo fenomeno può comportare conseguenze importanti, come danni alla salute causati da trattamenti impropri e malattie iatrogene, ma anche perdite economiche, aumentati costi sociali e problemi psicologici.

Medicalizzare l’invecchiamento, infatti, significa stigmatizzarlo. Dal momento che esistono trattamenti riconosciuti dalle case farmaceutiche e dai medici stessi come “anti-età” non sottoporvisi può rappresentare una scelta che espone al giudizio altrui. Lo stesso discorso vale per l’acne, le discromie della pelle, la calvizie o il sovrappeso anche quando l’indice di massa corporea non rappresenta un rischio effettivo per la salute.

Rifiutare di sottoporsi a un trattamento che viene presentato come “terapeutico” ed è costantemente promosso dalla comunicazione medico-scientifica può essere considerato un segno di incuria verso se stessi.

Il trattamento farmacologico del lutto merita, invece, una riflessione a parte.

Nella più recente edizione del manuale dei disturbi mentali sono indicate determinate soglie di tempo entro cui è considerato “normale” riprendersi da un lutto, tanto che se si prova sofferenza psicologica oltre questo lasso di tempo stabilito si soffre di un disturbo da lutto prolungato o persistente che va trattato farmacologicamente. La soglia temporale per essere inclusi in questo disturbo a seguito di un lutto è stata modificata numerose volte nel corso degli anni ed è ancora oggetto di dibattito scientifico e filosofico.

La filosofa polacca Emilia Kaczmarek afferma che le cause della sofferenza legata al lutto sono tutt’altro che mediche, e fissare dei limiti di tempo entro cui riprendersi dal dolore “può essere visto come un’eccessiva standardizzazione e patologizzazione delle esperienze personali individuali”. Determinare quali risposte emotive e comportamentali umane siano considerate sane infatti è un compito difficile e carico di valore.

Come scrive la dottoressa Kaczmarek nel suo articolo pubblicato sul British Journal of Clinical Pharmacology “questo è il motivo per cui nel dibattito sulla medicalizzazione e sull’influenza dell’industria farmaceutica il campo della psichiatria viene talvolta descritto come particolarmente incline a creare nuovi disturbi al fine di aumentare la domanda di alcuni farmaci”.

Allo stesso tempo occorre riconoscere che il movimento no-vax, rafforzatosi notevolmente dopo la pandemia di Covid-19, la medicina alternativa e le teorie del complotto legate alle grandi aziende farmaceutiche sono pericoli attuali per la salute pubblica e risultano spesso fatali.

Per questo motivo è sicuramente necessario un più efficace monitoraggio da parte delle istituzioni sul modo in cui l’industria farmaceutica influenza il discorso pubblico e scientifico affinché la messa a punto delle linee guida e dei protocolli risulti il più trasparente possibile e non dia adito a teorie complottistiche.

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