Dollaro in difficoltà, ma è ancora presto per prevedere cambiamenti epocali

Crisi geopolitiche, economie globalizzate ed interdipendenti, spinte al cambiamento da parte dei paesi Brics lasciano immaginare nuovi attacchi alla moneta nord americana. Ma il dado non è ancora tratto

Il presidente Biden

Il dollaro è sulla soglia di un crollo epocale? Molti lo credono, anche per le difficoltà dell’amministrazione del Presidente Jo Biden, ma la verità è che ancora non ne abbiamo prove definitive. Il sistema monetario internazionale è effettivamente sulla soglia di significativi cambiamenti, influenzati dai mutamenti geopolitici, dalla globalizzazione e dal progresso tecnologico che connette e lega i mercati con non mai. Ma che questi cambiamenti sposteranno il dollaro USA dalla sua posizione di valuta dominante, consolidata nel dopoguerra, a moneta secondaria si fa fatica ad affermarlo. Certo è che il la questione rimane fondamentale poiché la finanza e la politica monetaria sono strumenti chiave del potere di uno Stato e, in una economia globalizzata, con i debiti pubblici controllati ad incastro, hanno una forte capacità di condizionamento .

Vediamo allora di capire come stanno le cose partendo dai fatti. Qualche giorno fa il Presidente del Salvator, Nayib Bukele, ha definito quella americana come “un’economia falsa, basata sulla carta”. In America, ha detto, “Si stanno pagando tasse elevate per sostenere un’illusione di finanziamento del governo, che in realtà avviene attraverso la stampa di denaro, carta sostenuta da carta”. Bukele è un populista con tratti da visionario, paladino delle criptovalute. Quindi è di parte. Ma certo non è l’unico a scommettere sulla caduta della moneta americana, e con essa di Usa e Europa, a favore di un riposizionamento valutario più indipendente e più favorevoli ai paesi Brics.

Vediamo anche qualche numero. Attualmente, il dollaro detiene ancora un ruolo predominante. Quasi il 60% delle riserve di valuta estera delle Banche Centrali è in dollari; la maggior parte dei contratti sulle materie prime è denominata in questa valuta, così come oltre il 40% delle transazioni finanziarie internazionali. Questa preminenza finanziaria conferisce agli USA notevole potere, permettendo loro di imporre sanzioni economiche attraverso il controllo del sistema bancario globale.

Tuttavia, come dicevamo la crescente digitalizzazione della finanza e l’emergere di valute digitali stanno introducendo nuove dinamiche. Alcuni Paesi stanno lavorando su tecnologie che renderanno le transazioni finanziarie internazionali più efficienti, minando il ruolo tradizionale del dollaro.

In particolare, la Cina sta avanzando nel campo delle valute digitali, alimentando speculazioni su una possibile sfida al dominio del dollaro. Tuttavia, mancano ancora alla Cina alcuni requisiti chiave per far diventare il renminbi una vera alternativa al dollaro.

Allo stesso tempo, i mercati emergenti stanno esplorando alternative al dollaro, inclusi l’oro e le criptovalute. Tuttavia, queste alternative presentano sfide in termini di liquidità e stabilità. Nonostante le sfide, appare insomma probabile che il dollaro mantenga il suo status di valuta dominante, anche se il suo ruolo potrebbe subire una ridefinizione. Le nuove tecnologie e gli sviluppi geopolitici potrebbero persino rafforzare la sua posizione, anziché indebolirla. Ma è tutta una storia da scrivere, laddove le variabili in gioco, compresi i conflitti in Ucraina ed in Medio Oriente,  potrebbe fare prendere un crinale anziché l’altro.

A questo proposito giova forse ricordare l’Accordo di Smithsonian, del 1971, noto anche come Smithsonian Agreement, che rappresentò un tentativo di risolvere il disordine monetario derivato dalla fine del Sistema di Bretton Woods, che era stato istituito nel 1944, prevedendo che il dollaro statunitense fosse convertibile in oro a un tasso fisso di 35 dollari l’oncia.

Nel ‘71 il presidente statunitense Richard Nixon, provato da varie tensioni internazionali, abolì questa regola e impose una tassa del 10% sulle importazioni negli Stati Uniti, interrompendo così l’era dello standard oro-dollaro. Questa mossa rischiava di causare instabilità nell’economia globale, priva improvvisamente di un sistema monetario internazionale.

Per affrontare la situazione, nel dicembre del medesimo anno i rappresentanti del Gruppo dei Dieci si riunirono dunque a Washington presso lo Smithsonian Institute, dando vita all’Accordo di Smithsonian. Tale accordo prevedeva una svalutazione del dollaro del 7,9%, fissando un nuovo cambio di 38 dollari per oncia d’oro. Tuttavia, non fu reintrodotta l’obbligazione per gli Stati Uniti di convertire dollari in oro. Inoltre, furono apportate modifiche ai tassi di cambio delle altre valute e fu stabilita una banda di oscillazione del 2,25% attorno alle nuove parità. Infine, la tassa statunitense sulle importazioni fu abolita.

Queste vicende, che hanno fatto la storia delle politiche monetarie internazionali, spiegano che, in momenti dove le difficoltà di carattere internazionale spingerebbero a fare scelte estreme, i mercati poi portano la politica a muoversi con grande pragmatismo, optando per le prassi che danno maggiore efficienza e maggiore equilibrio. Insomma, il momento è delicato, forse come mai in precedenza. Ma il dado, che spinge il pendolo monetario dal dollaro alle criptovalute, non è ancora tratto.

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