Donald Trump torna alla Casa Bianca… E’ la democrazia bellezza!

Se il tycoon  ha stravinto è perché  è riuscito a parlare alla pancia di quella fetta consistente di americani che non è più  quella del nostro immaginario collettivo europeo, colta, ben educata e progredita. Ma che è costituita da una parte da larghe fasce della piccola e media borghesia, molto presente sui social, spesso complottista e no vax, sempre più precaria e con scarse aspettative e che spera di riconquistare il benessere perduto, e dall’altra dalla possente onda d’urto di un sottoproletariato in crescita abnorme, figlio delle crisi economiche che si sono succedute dal 2008 in poi e  che negli Usa viene bollato come “spazzatura bianca”

In molti, soprattutto In Italia e in Europa, non riescono ad accettare il ritorno di Donald Trump ai vertici degli Stati Uniti.  E si chiedono come sia stato possibile che il vecchio tycoon ce l’abbia fatto, e neanche sul filo del rasoio come si pensava fino a ieri, ma proprio alla grande. E questo nonostante gli scandali, le tante azioni giudiziarie e la memoria indelebile di quel 6 gennaio 2021, senz’altro il giorno più buio della repubblica federale americana,  il giorno in cui un folto gruppo di suoi sostenitori prese d’assalto il Campidoglio, il più alto baluardo e simbolo della nazione, non accettando la sconfitta elettorale del loro leader, battuto da Joe Biden che di lì a poco si sarebbe insediato alla Casa Bianca come 46esimo presidente. Una rivolta senza precedenti nella storia degli Usa, di cui Trump fu accusato di essere stato il fomentatore numero uno, avendo esortato  i suoi supporter a marciare sia pur pacificamente su Washington.

Questa volta, contrariamente a quattro anni fa, l’esito del voto è inequivocabile. Con l’ultima bandierina apposta sull’Alaska,  Trump si è aggiudicato ben 279 Grandi Elettori, superando il quorum dei 270 richiesti per la proclamazione senza ombra di dubbio della sua vittoria. Si può storcere il naso quanto si vuole, ma a chi lo fa  va comunque ricordato, che il suo trionfo è espressione piena della volontà del popolo americano che – piaccia o meno –   si è recato in massa alle urne, più che in ogni altra occasione. Ca va sans dire…è la democrazia bellezza!  Forse la democrazia meno nobile…e più esposta alle derive populiste…ma che comunque ha i suoi anticorpi agli autoritarismi.

Se il tycoon  ha stravinto è perché  è riuscito a parlare alla pancia di quella fetta consistente di americani che non è più  quella del nostro immaginario collettivo europeo, colta, ben educata e progredita. Ma che è costituita da una parte da larghe fasce della piccola e media borghesia, molto presente sui social, spesso complottista e no vax, sempre più precaria e con scarse aspettative e che spera di riconquistare il benessere perduto, e dall’altra dalla possente onda d’urto di un sottoproletariato in crescita abnorme, figlio delle crisi economiche che si sono succedute dal 2008 in poi e  che negli Usa viene bollato come “spazzatura bianca”, l’equivalente di quel Lumpenproletariat , letteralmente “proletariato cencioso”, descritto da Karl Marx,  white rubbish…o white trush…popolato da tossici, alcolisti e obesi,  segnato da abusi e povertà. Da gente che sogna il riscatto, che fuma e mangia sul divano dinanzi alla tv, che si presta a fare da cavia per i test di nuovi farmaci in cambio della spesa al supermarket, che vive ai margini della società, in condizioni di illegalità o di vagabondaggio, che fa uso di droghe, agogna a possedere armi,  è privo di ogni coscienza di classe, odia e invidia il proprio vicino, è razzista, ed è pieno di incontenibile rabbia.

Una realtà perfettamente raccontata nel bestseller  “Hillbilly Elegy: A Memoir of a Family and Culture”in Crisis”, da uno di loro James David Vance, nome d’arte di James Donald Bowman, l’uomo che Trump si è scelto come suo vicepresidente, nato a Middletown, nell’Ohio, stato che il 3 gennaio 2023 lo ha eletto senatore, e che fa parte del Midwest, quella vasta landa d’America che comprende oltre all’Ohio appunto, Illinois, Indiana, Iowa, Kansas, Michigan, Minnesota, Missouri, Nebraska, North Dakota, South Dakota e Wisconsin. Una zona d’America, poco battuta dai turisti che si limitano a sorvolarla per raggiungere le città cult statunitensi. Territori sconfinati, molti dei quali prosperarono nel Novecento grazie alla grande industria, soprattutto automobilistica, ma che oggi sono polverosamente in declino desiderosi di rialzare la testa. E che per Trump si sono rivelati un ottimo bacino elettorale composto da un mix di colletti bianchi e senza colletto, di impiegati, neri, e hillbilly, bianchi poveri, disoccupati, arretrati, con un basso livello di istruzione.

A tutta questa gente non è riuscito ad arrivare il messaggio della colta e  brillante Kamala Harris, entrata in gara a metà corsa, decisamente sfavorita su tutti i fronti dal fatto di essere il numero due di un presidente, Biden, troppo vecchio, ormai alle corde, non particolarmente brillante, assolutamente privo di carisma che non ha dato l’impressione di essere all’altezza di guidare la più grande potenza del mondo. Kamala si è sbracciata come ha potuto, ma non è stata compresa. Anzi è stata fraintesa. Il suo linguaggio è apparso lontano anni luce da quello degli elettori che non l’hanno votata. Che non hanno titolo di studio, che non sono attenti alle sfumature e preferiscono i proclami di chi annuncia con costruirà un muro al confine messicano e saranno i messicani a pagarlo, e deporterà dieci o venti milioni di immigrati illegali…che sono maschilisti pur essendo magari donne…

Quanto al futuro del mondo, del mondo occidentale, nel quale  l’America ha un ruolo tradizionale di guida, come si prospetta? Essendo Trump un isolazionista in politica estera, la speranza è almeno quella che cessino le guerre, quella in Ucraina e quella in Medio Oriente, che certamente la Harris avrebbe proseguito.

 

 

 

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