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Effetto Milei, l’Argentina all’indomani delle elezioni presidenziali

Nella visione di uno Stato snello Milei intende scagliarsi contro la casta e la corruzione, ridurre al minimo la lista dei ministeri, procedendo a privatizzazioni selvagge (compresi i club calcistici) che toccherebbero anche i settori più nevralgici per la società come la sanità e l’istruzione. Oltre la metà del paese ha preferito credere alle sue misure un po’ chimeriche e naïf, trampolino per la maggioranza dei politologi di un salto nel vuoto, piuttosto che alle liturgie ormai polverose del sempiterno e camaleontico peronismo

di Gianni Perrelli

Ristoranti strapieni nel cuore di Buenos Aires con dehors affacciati sui giacigli dei barboni che dormono per strada. Nella convinzione che la cena di oggi costa sicuramente meno di quella di domani. La rincorsa spasmodica alla convenienza di giornata allunga a dismisura le file alle pompe di benzina. Chissà nelle prossime ore a quanto schizzerà il prezzo di un litro? Assalto nelle agenzie di viaggio e sulle piattaforme online pure per fare incetta di biglietti arei. Del domani non v’è certezza, chissà quante mazzette di pesos ci vorranno sotto Natale per andare in Brasile o in Europa? I prezzi di ogni genere sono in progressivo aumento, dai prodotti pregiati alle caramelle.

Code di turisti davanti agli sportelli dei cambiavalute per la perdita progressiva del valore del peso che ai possessori di dollari o euro assicura crescenti margini di guadagno. A Calle Florida, salotto elegante di Buenos Aires, i cambisti da marciapiede si contendono i passanti intenti a immortalare la vacanza nei selfie. Al cambio ufficiale, che ormai si usa quasi solo per le transazioni della macroeconomia, un dollaro viene quotato un po’ meno di 400 pesos. Al cambio nero, che qui viene chiamato più elegantemente blu, di pesos se ne strappano anche mille e oltre. Con l’effetto che al ristorante una bistecca ti può venire a costare solo 5 dollari. Una pacchia. Di cui approfittano anche gli argentini abbienti che per non correre rischi si affrettano a cambiare negli sportelli nascosti dietro facciate di esercizi commerciali (cartolerie, tabaccherie, vinai), a una quotazione leggermente maggiorata, i pesos in dollari considerati bene rifugio. Una giungla, in cui tutti vivono un po’ alla giornata.

L’effetto Milei, l’economista “loco” (epiteto che gli è stato affibbiato fin da bambino) che a colpi simbolici di motosega ha scalato la presidenza con il suo anarcoliberismo (o anarcocapitalismo) di estrema destra, si riverbera in questa fase di transizione un po’ in tutte le pieghe dell’economia quotidiana. E negli stessi rapporti interpersonali. Come ai tempi di Silvio Berlusconi in Italia si rompono granitiche amicizie fra i sostenitori dei due schieramenti. In un bar due studentesse dedicano l’intera serata a cancellare dalla rubrica del cellulare i contatti delle colleghe di corso che per il riflesso ipnotico dei social hanno sostenuto la rivoluzione iconoclasta del “loco”. Alcune famiglie di professionisti inserite con buoni stipendi negli apparati dello Stato meditano di emigrare all’estero per le minacce del “loco” che lo statalismo lo vuol disintegrare a colpi metaforici di motosega. In un clima quasi da repubblica di Weimar l’Argentina vive il passaggio dal peronismo al populismo fra l’eterno fatalismo; l’euforia prodotta da un’aspettativa più messianica che realistica che la scossa rimetterà in sesto il paese; e la disperazione di chi teme che una svolta così radicale lo sospinga invece ancor più verso il baratro.

Javier Milei (53 anni), l’eccentrico economista fino a un paio di anni fa quasi sconosciuto, si trova di fronte a un fardello mostruoso: inflazione al 142 per cento, debito pubblico per 419 miliardi di dollari, debito con il Fondo Monetario Internazionale per 44 miliardi di dollari, oltre il quaranta per cento della popolazione sotto la soglia della povertà, dieci milioni di indigenti su una popolazione di oltre 45 milioni. Un quadro catastrofico per un paese dalle potenzialità enormi che alla fine dell’Ottocento era classificato fra le prime sei potenze mondiali. E’ il club d’élite a cui promette di riportarlo Milei anche se in 35 anni, senza specificare se nel 2058 presume di essere ancora lui al potere. Sui tempi più brevi è convinto di abbattere l’iperinflazione entro un biennio. Disintegrando la Banca Centrale (con la motosega), fonte primaria a suo avviso dell’eccessiva circolazione di moneta. E tramite la sostituzione del peso con il dollaro, operazione in parte già tentata e fallita negli anni Novanta dal peronista di destra  Carlos Menem. L’effetto immediato sarebbe, in effetti, l’abbattimento del costo della vita. Ma Buenos Aires diventerebbe ostaggio della Federal Reserve americana, perderebbe competitività sui mercati internazionali e non avrebbe alcuna voce in capitolo sulle scelte valutarie decise a Washington. “Come mettersi le manette”, ha scritto il New York Times, “e buttare via le chiavi”.

Nella visione di uno Stato snello Milei intende scagliarsi contro la casta e la corruzione, ridurre al minimo la lista dei ministeri, procedendo a privatizzazioni selvagge (compresi i club calcistici) che toccherebbero anche i settori più nevralgici per la società come la sanità e l’istruzione. La devozione al liberalismo spinto induce poi Milei ad abbassare le aliquote del fisco per rilanciare l’imprenditoria. Progetto che gli ha assicurato i voti della destra conservatrice, patrocinata dall’ex presidente Mauricio Macri in vena di rivalsa dopo la sconfitta riportata nel 2019. Le classi medioalte erano stufe di alimentare l’assistenzialismo dei governi peronisti di sinistra con le loro tasse che spesso si disperdevano nei rivoli delle ruberie. E nella retorica trumpiana dei forgotten men si sono fatti impigliare i detentori di redditi bassi e dei giovani perlopiù disoccupati che non avevano più niente da perdere. Persuasi che, tanto, peggio di così non potesse andare. Milei nel suo furore di ricostruzione di fatto scavalca insomma anche Donald Trump e Jair Bolsonaro, i modelli di riferimento, ritenendo forse che le loro ricette non fossero abbastanza radicali per risultare del tutto efficaci e avessero ostacolato la loro riconferma.

Oltre la metà del paese ha preferito credere alle sue misure un po’ chimeriche e naïf, trampolino per la maggioranza dei politologi di un salto nel vuoto, piuttosto che alle liturgie ormai polverose del sempiterno e camaleontico peronismo. Sulla palude di un presente senza orizzonti ha prevalso la speranza di un futuro caricato di eccessivi miraggi e dalle prospettive forse ancor più rischiose della presente stagnazione.

Sergio Massa, l’avversario di Milei, è un politico sicuramente più competente come si è potuto evincere dai duelli televisivi. Ma, come ministro dell’Economia nel governo di Alberto Fernandez, è stato pur sempre il corresponsabile del precipizio in cui si sta affossando l’Argentina. La corsa alla presidenza è stata anche un referendum su Cristina Kirchner, l’anima del peronismo di sinistra: appoggiata dalle masse dei ceti più umili e da molte fra le organizzazioni sindacali, ma odiata da oltre metà del paese. Massa, politico ondivago, un tempo aveva rotto con la Kirchner. Ma poi era rientrato nei ranghi, ritagliandosi un ruolo inedito di peronista di centro. Un travestimento che gli ha consentito di vincere a sorpresa nel primo turno ma non è stato sufficiente nella sfida finale.

Milei non avrà ovviamente vita facile. In primo luogo perché non ha mai amministrato niente. E’ un dilettante che da outsider si trova a manovrare nientemeno che le leve di un intero Stato. E dilettanti sono anche quei pochi parlamentari che con il suo partito, “La libertà avanza”, è riuscito a piazzare al Congresso, Dispone di soli 6 seggi su 72 al Senato e di 38 su 257 alla Camera. Dovrà appoggiarsi a quelli dei conservatori di Patricia Bullrich, la candidata di Macri eliminata al primo turno, ma soprattutto scendere a compromessi con gli odiati peronisti che in Parlamento e nei governatorati hanno ancora la maggioranza. A conferma che il peronismo non sta affatto bene ma non è ancora morto e, come è successo più volte in passato, può sempre risorgere dalle ceneri.

Milei ha anche contro molti settori della società civile. Per prime le abuelas della Piazza di Maggio per il quasi negazionismo sui crimini della dittatura militare sbandierato dalla sua vice Victoria Villarruel. E poi le femministe per la sua avversione al diritto di aborto conquistato dopo dure battaglie. E ancora la Chiesa cattolica per gli insulti che, da ex cattolico inclinante oggi verso l’ebraismo, ha scagliato contro il connazionale Papa Francesco (imbecille, amico dei dittatori comunisti, agente del marxismo in Vaticano). E infine i movimenti dei diritti civili per la sua intenzione di legalizzare la vendita degli organi umani e di liberalizzare all’americana il possesso delle armi.

Non gli gioveranno nemmeno lo stile stravagante e i comportamenti eccessivi. Pende dalla bocca della sorella Karina e da una medium che lo mette in contatto con l’aldilà. Prende ispirazione dal colloquio quotidiano con i suoi quattro cani clonati negli Stari Uniti. E’ preda di collere incontenibili che lo portano a distribuire insulti volgari a destra e a manca. E’ un fautore del sesso tantrico che propagandava nei suoi istrionismi televisivi alternandolo alle teorie economiche ultraliberali tanto amate

Presagendo che un conto è fare l’opposizione feroce e un altro governare nell’ultima settimana di campagna si è imposto un tono meno strillato e presidenziale. Giungendo a ventilare perfino la possibilità di offrire alla sinistra uno dei pochi ministeri che deciderà di mantenere. Al momento pare che non tema l’isolamento internazionale. Anzi ha già deciso di ritirare unilateralmente la richiesta di adesione dell’Argentina ai Brics. Forse perché è consapevole che l’Argentina, comunque vada, è un paese troppo grande e importante perché il mondo lo lasci fallire. Sa però anche che né gli Stati Uniti di Joe Biden né la Cina di Xi Jiping né il Brasile di Lula (potente vicino) né ovviamente il Vaticano simpatizzano per il suo avventurismo. Ma spera, entro un anno, di avere le spalle coperte da Donald Trump. Il suo grande maestro. Che dopo l’elezione si è detto subito orgoglioso di lui. Milei dà una nuova spinta alla nuova corsa di Trump e al populismo internazionale. Se rieletto Trump saprà sicuramente come ripagare.