Tutto quello che sappiamo, lo sappiamo per sbaglio. Le scoperte scientifiche sono il più delle volte figlie di errori. E anche le indagini, sottolinea lo scrittore, “sono fatte di errori, improvvisazione e fortuna”
Sbagli molto e sbagli bene, sei consapevolmente ignorante e sai improvvisare. Complimenti! Farai strada. Sul serio. Basta con questa paura paralizzante di prendere cantonate, è tempo di scoprire le virtù degli strafalcioni. L’odiato e imbarazzante errore, quell’inciampo che sin da bambini ci hanno insegnato a temere (se sbagli prendi un brutto voto, sarai bocciato, non farai carriera e la pagherai) è lì per aiutarci: a crescere, a conoscere e soprattutto a ripartire. Altro che nemico. Dovremmo imparare a considerarlo alleato e ringraziarlo, come fa lo scrittore Gianrico Carofiglio in un delizioso piccolo saggio “Elogio dell’ignoranza e dell’errore” (Einaudi, Stile Libero Extra, 84 pagine, euro 12,50).
Anche i recruiter sanno bene che il curriculum dei fallimenti vale quanto quello dei successi e chi non ha crolli e stop da vantare pecca di eccesso di cautela. Non ha osato abbastanza. Vale lo stesso per il sapere. Più coraggioso e affidabile (ma anche simpatico e colto) chi ammette la propria piccolezza di fronte alla sconfinata grandezza del conoscibile e dunque l’impossibilità di conoscere tutto. E grazie alla sua consapevole e gioiosa ignoranza, ci ricorda Carofiglio, continua a coltivare curiosità e stupore per le meraviglie della scienza, dell’arte, della natura.
D’altra parte, tutto quello che sappiamo, lo sappiamo per sbaglio. Le scoperte scientifiche sono il più delle volte figlie di errori. E anche le indagini, sottolinea lo scrittore, “sono fatte di errori, improvvisazione e fortuna”. I più bravi investigatori? Quelli “capaci di fallire rapidamente, con eleganza e senza conseguenze, che sanno usare l’errore e il dubbio come strumento di lavoro”, ci ricorda Carofiglio.
Attraverso aneddoti e citazioni (da Machiavelli a Montaigne), storie di sport (da Mike Tyson a Roger Federer) e di scienza, lo scrittore ci racconta le fenomenali opportunità che nascono dal riconoscere i propri errori.
I super esperti non sempre ne sono capaci e se sbagliano le previsioni è “per narcisismo”, non hanno la percezione del loro limitato sapere.
E allora viva anche l’ignoranza, non quella “inconsapevole e presuntuosa”, una minaccia, ma quella consapevole, “un’opportunità per la crescita individuale e collettiva”. Lasciamoci ispirare dallo “shoshin”, suggerisce Carofiglio, un termine giapponese che si può tradurre così: “cuore del principiante”. Un atteggiamento di apertura e tolleranza che ci porta ad accettare l’idea che siamo “strutturalmente ignoranti” e pertanto non potremmo mai avere “tutte le informazioni necessarie per compiere azioni nuove con esiti del tutto prevedibili”.
Improvvisare? Tutt’altro che un limite. È un’arte, piuttosto, quella d’essere pronti a cambiare direzione, sottolinea lo scrittore. L’improvvisazione non s’improvvisa ma richiede preparazione e allenamento. “Significa imparare a gestire l’incertezza con grazia e calma”. Una bella lezione arriva dalle arti marziali: più si teme di cadere, più si evita di finire a terra e più si rischia di perdere. Così nella vita, ammonisce Carofiglio: “Più si ha paura di fallire, più ci si impegna a evitare di fallire, più si diventa vulnerabili. In ogni campo”.
Ci vuole fortuna, certo, e in parte (solo in parte) si può attirarla. Come? Moltiplicando le occasioni, sostiene Carofiglio citando il filosofo Sandel, lo psicologo Wiseman e il golfista Player. Il che vuol dire: tentare, fallire e riprovare. Velocemente, come fanno i bravi investigatori. Lo stesso Carofiglio, come racconta nel libro, deve il suo successo di scrittore a un fallimento. Se, quando era magistrato, avesse ottenuto quell’incarico che sperava, probabilmente non avremmo letto nessuno dei suoi tanti romanzi e saggi. Compreso questo.
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