di Robert Crowe
Il direttore dell’organizzazione mondiale della sanità, il dr. Tedros Adhanom Ghebreyesus, è divenuto, suo malgrado, il simbolo della resilienza, ma non al Coronavirus, come si sarebbe potuto sperare, ma alle accuse. Da più parti gli si attribuiscono le peggio nefandezze ma lui resiste ancorato alla sua poltrona, senza mai arretrare. Il Governo del suo paese, cioè l’Etiopia, per bocca del capo di stato maggiore dell’esercito, il generale Birhanu Jula, gli ha dato semplicemente del “criminale”. Non solo, in una dichiarazione rilanciata da tutte le grandi agenzie internazionali, Birhanu ha spiegato che Tedros minaccia la sicurezza nazionale sostenendo i ribelli del Tigray, sua etnia di appartenenza.
Accuse gravissime cadute nel niente, con la comunità internazionale per ora ferma a guardare. Tedros ha rilasciato una smentita, poi la macchina mediatica che si è costruito intorno ha fatto il resto. E dunque ancora una volta il direttore del OMS è rimasto li al suo posto a curare gli interessi suoi e dei suoi alleati. Il segreto di questo ex Ministro degli Esteri del precedente governo etiope che ha costruito la sua fortuna sulla gestione degli aiuti umanitari destinati al Corno d’Africa è proprio qui. Risorse economiche enormi accumulate nel tempo, capacità di orientare la comunicazione e le organizzazioni umanitarie.
Le accuse del Generale Birhanu sono gravissime perché spiegano come Tedros non solo si stia comportando da ambasciatore diplomatico del Tigray, muovendo tutta la sua forza mediatica per spingere quella causa, ma stia anche procurando armamenti ai ribelli.
Tedros se l’è cavata così: “Ci sono stati rapporti che suggeriscono che sto prendendo le parti in questa situazione – ha detto Tedros nella sua dichiarazione – ma questo non è vero, voglio dire che io sono solo da una parte e questa è la parte della pace“.
Di ben diverso avviso è Birhanu: ”Lui stesso – ha detto il generale parlando in televisione – è un membro di quel gruppo ed è un criminale“. A questo punto, per rendere il quadro un po’ più chiaro, è utile forse ricordare che Etiopia ed Eritrea, e con loro tutto il Corno d’Africa, sono rimasti in ostaggio dei tigrini per più di 20 anni. Una storia non raccontata dalla cosiddetta grande stampa o raccontata male.
Questa etnia, infatti, dopo aver sconfitto la dittatura comunista del Derg grazie al decisivo aiuto degli eritrei, è riuscita subito a conquistare il governo di Addis Abeba e da lì ha gestito il potere per più di due decadi, lasciando ai margini le due etnie maggioritarie d’Etiopia, gli Oromo e gli Amara, e combattendo aspramente gli ex alleati eritrei. Un dominio ottenuto grazie alla capacità tigrina di apparire agli occhi occidentali, soprattutto americani, come la forza di equilibrio che avrebbe garantito la pace nell’area e tutelato soprattutto gli interessi di Washington e Bruxelles.
Un’operazione riuscita che, anno dopo anno, ha consentito prima allo storico premier tigrino, Meles Zenawi, e poi appunto a Tedros, suo degno erede, di mantenere saldo il potere in mano alla loro etnia. Le cose sono cambiate prima con i moti di piazza di Oromo e Amara contro le élite tigrine, poi con la salita al potere di Abiy Ahmed. Un giovane leader, progressista e pacifista, eletto premier a furor di popolo, che nel giro di pochi mesi ha fatto l’accordo di pace con l’Eritrea, ha rinsaldato gli antichi rapporti di amicizia con questo popolo stringendo allo stesso tempo una forte intesa personale con il Presidente Isaias Afewerki, un leader da sempre pronto a sostenere i progetti di pacificazione e sviluppo dell’area.
Da questo punto in poi, le élite tigrine, ormai disperate, hanno provato a reagire con ogni strumento a loro disposizione. Prima hanno tentato di sovvertire il Governo neoeletto, poi hanno tentato di uccidere il Presidente Abiy, nel frattempo nominato vincitore del Nobel per la Pace, premio moralmente condiviso proprio con Afewerki, poi, vistisi persi, hanno cominciato a giocarla sul piano delle provocazioni militari e, naturalmente, sul piano mediatico, loro antica specialità.
I militari di parte tigrina, che negli anni avevano concentrato nella regione natia la parte più cospicua degli armamenti etiopi, hanno così prima disatteso gli accordi di pace e continuato le loro provocazioni armate contro gli eritrei. Infine, hanno deciso di ribellarsi all’autorità centrale di Addis Abeba, proclamando di fatto l’autonomia del Tigray. Che è poi l’antico sogno di Meles e soci: svuotare l’Etiopia di tutte le sue ricchezze e poi balcanizzare l’area assicurando al Tigray un ruolo egemonico.
A quel punto, dopo aver tentato varie mediazioni e dopo aver subito un attacco grave nella sua base Nord Command con numerose perdite, l’esercito etiope ha rotto gli indugi ed è entrata in armi nel Tigray, ristabilendo l’ordine e sancendo così un’ennesima e definitiva sconfitta di questa minoranza. Ma è qui che, a quanto riferiscono diverse fonti etiopi, ritorna in gioco Tedros, l’ultimo tigrino ancora in campo. E lo fa con le armi che gli sono proprie: vale a dire le relazioni internazionali e la comunicazione.
In queste condizioni infatti non può fare altro che utilizzare quel che gli è rimasto: tanti soldi e tante relazioni costruite nel tempo. A quanto riferiscono fonti politiche di Addis Abeba, l’ennesima campagna di disinformazione partita negli ultimi mesi per screditare il Premier Abiy è ispirata dai tigrini soltanto al fine di fiaccare la reputazione internazionale del governo etiope.
A quanto risulta, e sono solo esempi, la maggior parte dei disordini e delle violenze scoppiate a Macallè e in altre cittadine del Tigray sono dovute al fatto che i militari locali prima di arrendersi all’esercito regolare etiope hanno aperto le carceri, liberando migliaia di delinquenti comuni. La vicenda delle vetture di Ong fermate dai militari etiopi è vera, ma è avvenuta soltanto perché c’erano validi riscontri sul fatto che queste erano destinate a far scappare i dirigenti tigrini ricercati dalle Autorità etiopi. E ancora: più testimonianze dimostrano che i confini con l’Eritrea sono liberi, nel senso che rientra in patria chi vuole rientrare compresi i profughi che erano ostaggio dei tigrini. La narrativa delle deportazioni appare come un’ennesima forzatura mediatica. Anche certe lettere spedite in giro da vecchi ambasciatori sembrano del tutto pretestuose e rivelano un disperato tentativo di salvaguardare interessi personali consolidati con la vecchia amministrazione tigrina.
Ora è chiaro che siamo di fronte ad una emergenza umanitaria immane, figlia di tre distinte gravissime crisi che si sommano: vale a dire la carestia (post cavallette), la pandemia e l’intervento militare in Tigray che, non dobbiamo dimenticare, è stato reso necessario per salvaguardare l’esistenza stessa dell’Etiopia messa in pericolo dai tigrini del TPLF. Una situazione terribile alla quale tutti dovrebbero far fronte senza speculare per raggiungere proprie finalità politiche o egemoniche. Ma fin qui i tigrini non hanno sentito ragioni, continuando a fare il loro disperato gioco, cercando di opporsi con ogni mezzo al corso di una storia che ormai è segnata.
In questo scenario drammatico si inserisce una figura come Tedros, che, come figura apicale dell’Organizzazione Mondiale della sanità, dovrebbe salvare il mondo dalla pandemia ed invece sembra soltanto affaccendato a tutelare gli interessi dei suoi sponsor, la Cina innanzitutto, e dei suoi compagni tigrini. Il suo obiettivo è chiaro: sperare che la Cina lo sostenga nella prossima rielezione a direttore, difendere gli interessi economici suoi e della cricca tigrina. Uno stile del resto coerente con la storia della sua vita.
Tedros del resto sa che nei prossimi mesi si giocherà tutto. Se esce fuori dall’OMS perde visibilità e relazioni internazionali, soprattutto con le OMG che sono state loro malgrado troppo spesso la fortuna dei tigrini. Se perde potere rischia anche che gli etiopi prima o poi riescano a documentare in un tribunale internazionale il ruolo criminale avuto durante la sua gestione nel precedente governo etiope.
In questo senso un ruolo decisivo, e in questo caso positivo, potrebbero averlo gli Stati Uniti America. La nuova amministrazione guidata da Joe Biden ha ripreso una serie di dossier che invece Donald Trump aveva dismesso. Tra questi c’è sia il Corno d’Africa che l’OMS. Kamala Harris ha già parlato con Tedros annunciando il rientro degli Usa nell’Organizzazione. C’è da vedere se ora Washington, in questa epoca pandemica, lascerà che l’OMS sia eterodiretta attraverso il Tedros di turno oppure se vorrà impegnarsi per mettere su quella poltrona una personalità qualificata, dalla storia personale irreprensibile e pronta a farsi garante veramente della salute pubblica mondiale.
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