I CENTO ANNI DEL PCI: LO STRIKE DELL’89 CON BERLINO CADDERO TUTTI I PAESI SOCIALISTI

I CENTO ANNI DEL PCI:  MI CHIAMAVANO “IL COMPAGNO DELLE CONCLUSIONI”

Francesco Riccio

Le luci della Festa e l’emozione della fiaccolata si erano da poco spente. Trascorse poco tempo tra un affettuoso saluto ai compagni di Firenze e i complimenti dei compagni della Direzione. Ricordo in particolare quello di Cacciapuoti, il vecchio Caccia, figura storica del partito, che un tempo sapeva tutto di tutti, e giudicava con sovietico rigore.
In quel periodo, ormai avanti negli anni, si aggirava per il piano, il terzo. Aveva limitato il suo raggio d’azione all’attenta osservazione del ricambio generazionale delle segreterie. Non aveva tutti i torti. Anzi.
Nell’immediato dopo festa si aprirono le polemiche sul deficit, malgrado il record d’incassi. Ma la polemica più dura fu quella sull’area Fondiaria, adiacente al Parco e sede dell’Arena Concerti. Qualcuno, forse, aveva ipotizzato per quell’ area un “Sentero Luminoso,” immediatamente “spento ” da un energico intervento del Segretario Occhetto.
Tornai più volte a Firenze per ripetute analisi sulla Festa. Nel giudizio riuscì a tenere sempre distinto, com’era giusto, l’innegabile successo politico e l’impegno di migliaia di militanti, da altre vicende. Mi guadagnai l’appellativo di compagno delle conclusioni. Copyright Marisa Nicchi. Le polemiche in Federazione durarono ancora nel tempo e portarono a definire nuovi assetti al vertice. Usava così, e non sempre era giusto. Il lavoro enorme di preparazione della Festa mi aveva consentito di avere una compagna dedicata solo alla preparazione delle iniziative politiche.
Arrivò Bartolomea Arrabbito. Una compagna siciliana di mostruosa efficienza e dotata di grandissima sensibilità umana. Velocizzammo molto la complicata attività di inviti e di incastri. Le segreterie erano un sorta di connettivo nel corpaccione della Direzione.
Efficienti, instancabili, a volte anche mamme, sorelle, badanti. La loro identità spesso si annullava nel loro “Capo”. Mara di Reichlin, Nadia di Tortorella, Anna di Pajetta, Carla di Rubbi, e già di Berlinguer, Ornella di D’Alema, Giuliana di Minniti, Stefania di Occhetto….e potrei continuare.
Compagne affidabili, spesso gelose custodi di segreti. Rubbi affidava solo a Carla le sue note di politica estera scritte spesso a mano. Anche le più giovani, una generazione di venti, trentenni, assolvevano al loro incarico con identica passione. Polemiche e rivendicazioni certo non mancavano. Ma nessuna si tirava indietro se c’era da fare notte per preparare un congresso, una campagna elettorale, un momento doloroso o esaltante. Perché alla base, piaccia o no ai tanti critici dell’apparato, c’era la Passione politica. Non si esauriva nel lavoro in ufficio, ma proseguiva nell’attività di sezione, nelle Feste, nel lavoro di quartiere, a volte anche nelle istituzioni. E lo stesso si può dire dei compagni della vigilanza. Anche loro vivevano in simbiosi mutualistica col dirigente al quale garantivano la sicurezza, spesso diventando anche persone di famiglia.
Erano quelli che potevano permettersi di dare del TU, senza timore e sempre con rispetto. Ma a loro dedichero’ più avanti un ricordo particolare.

Iniziammo subito il lavoro per la Festa Nazionale di Genova la Città di Guido Rossa e di don Gallo, dedicata alla Scoperta dell’ America. L’ultima Festa Nazionale sotto la Lanterna si era tenuta nel ’78. Rimase famoso il discorso di Berlinguer sui giovani.
Il progetto della Festa era affascinante. Un Ponte di legno collegava Il Palazzo dei Congressi al Porto Vecchio, correndo lungo la splendida insenatura del porto. Il progetto anticipò la realizzazione di un nuovo assetto urbanistico di quella parte di Città. Ancora una volta la Festa era anticipatrice di progetti di sviluppo ben più ambiziosi. Responsabile genovese della Festa era il compagno Claudio Montaldo, carattere deciso, barba e baffi alla D’Artagnan. Sicuro punto di riferimento di una squadra affiatata. A differenza dei fiorentini a Genova il braccino era corto. Eravamo più tranquilli. Specialmente Neri.
Il 1989 fu un anno memorabile. Ma non tocca a me rammentarlo. Le ambizioni erano grandi, ed i soliti viaggi all’Est servirono per arricchire, come poche altre volte, il valore delle mostre.
Sistemando i libri ho ritrovato il catalogo delle Icone di Rublev. Era la prima volta che il Museo Tret’jakov le concedeva per una Mostra all’estero. Non erano mai uscite dalla Russia sovietica. In seguito fecero il giro d’Italia.
O ” Il Mare delle Stelle”, splendida Mostra sullo spazio curata dal compagno Urbani, con tanto materiale uscito dal Parco delle Celebrazioni di Mosca. Per intenderci dove si conserva lo Sputnik. A Genova ci sistemammo in un albergo nei carruggi. Difficile sfuggire a bocca di rosa. Appena si accesero le luci del Ponte la Festa si mostrò in tutto il suo fascino.
Emozionante. Anche allora non mancò qualche polemica. In particolare per la mancata presenza all’apertura di Natta. Ma i buoni uffici di Burlando, giovane ingegnere da poco segretario di Federazione, e di Montaldo evitarono con sapienza che diventasse un caso. Venne al comizio di chiusura. Era seduto accanto a me. Ne fui felice.

Ad inaugurare la Festa toccò ancora a Pajetta. Un monumento simpatico come pochi ma di complicata gestione. Il pomeriggio prima dell’apertura incontro’ il compagno Batini, storico capo dei camalli. Ad un certo punto decise di giocare a scopone, con Batini stesso , Burlando e non ricordo il quarto. Andai a comprare un mazzo di carte nuovo, e da meridionale acquistai le carte napoletane. Non appena le vide Pajetta mi riempi’ di improperi. Le cacciò via dicendo che lo scopone si gioca con le piacentine.
Capì allora che la questione meridionale era di difficile soluzione
Si trovarono le carte e non vi dico come andò.
Considerate che Batini aveva un viso alla Charles Bronson, ed un certo caratterino.
La Festa procedeva benissimo. Neri era tranquillo. Verso le 19 girava per i ristoranti. “Stasera incassiamo 350 milioni”. Al mattino erano quelli. Uno in più o in meno.
Tra gli spettacoli era previsto il concerto di Sabrina Salerno. Genovese, giocava in casa pensavano gli organizzatori. Non avevano fatto i conti con certi gusti canori non ancora accettati specialmente dalle compagne. Insomma erano prevalse le forme, delle quali la Salerno era generosamente dotata. Rapido consulto. Convenni con la scelta. Si tenne il concerto. Le forme ebbero la meglio sulla sostanza, canora. Gli spettacoli ci diedero un altro grattacapo. I giovani comunisti avevano chiamato ad esibirsi nel loro spazio un gruppo rockettaro. Non si può dire che attrassero la meglio gioventù
Scoppiò un gran casino che costrinse la vigilanza ad un convincente intervento.
Per riprendere in mano la situazione spostammo allo spazio giovani Bonetti. Canto’ Bandiera Rossa con Pajetta. Ogni sera lo spazio si riempiva…di pomicio e sapori, diciamo. Il comizio di chiusura fu particolarmente affascinante. Conclusi i saluti di rito diedi la parola al Compagno Occhetto. Dopo le insistenze di Veltroni imparai a raddoppiare la c. Intanto dal porto prendeva il largo una nave Russa. Issarono il Gran Pavese al suono festoso delle sirene. Bandiera Rossa trionferà.
Ancora per poco. (Fine sesta puntata)

89 ANNO MEMORABILE , CON BERLINO CADDERO TUTTI I PAESI SOCIALISTI

Quell’ottantanove fu un anno memorabile, un anno che cambiò tutto nel mondo. Non solo nell’est sovietico. Come birilli sospinti dalla palla del booling uno dopo l’altro venivano giù i Paesi socialisti. Ogni sera l’annuncio di una rivolta popolare, di un cambio di segretario generale, addirittura di una catena umana tra gli abitanti dei Paesi baltici, migliaia di persone che così uniti volevano sancire la loro voglia di distacco. Bulgaria, Cecoslovacchia, Polonia, fino allo Strike. La caduta del Muro di Berlino, che divideva la Città in due settori. Giovani festanti, trabant che transitavano verso ovest, il cambio 1/1, famiglie che finalmente si riabbracciavano. Nessuno temeva più i voPos l’inflessibile polizia della DDR con i famelici cani lupo. Era il 9 novembre 1989. Ancora due anni ed anche in Russia si ammainava bandiera. Il 19 agosto un golpe militare poi sventato, pose Gorbaciov agli arresti in Crimea.Ieri ho rivisto la bellissima intervista di Herzog a Gorbaciov. Forse quella storia dovremmo riconsiderarla non per sciocca nostalgia ma per avere chiarezza su tutto ciò che di lì a poco sarebbe accaduto in Occidente. E su ciò che ha determinato la rottura di un equilibrio. Gorbaciov capì subito che bisognava cambiare. Ma gli fu impedito. All’interno e non fu certo aiutato dall’esterno. Ma non è compito di questi raccontini addentrarsi in problematiche politiche.

Il segretario del PCI, Occhetto, fu lesto. L’evoluzione della cultura politica del partito gli consentiva di osare per non restare travolti dalla grande caduta. Il 13 novembre è a Castelsampietro, in Romagna a due passi da Bologna a casa della moglie Aureliana Alberici, carissima compagna già assessore alla Scuola in Comune.All’inizio degli anni ’80 ero responsabile scuola del comitato cittadino.Di tempo pieno, lezioni frontali, sostegno, sapevo poco. Dovevo affrontare genitori e maestre, costituzionalmente sempre incazzati. Mi aiutarono moltissimo Aureliana, ma anche Raparelli direttore didattico, fratello del mitico Raparelli della Direzione, e Carlo Monaco. Un altro filosofo raffinato, docente e paziente ( con me), con un solo difettuccio. Nella geografia di Federazione stava a destra. Ma era un Grande.

Con Occhetto, oltre ai compagni della Vigilanza di Roma, c’era William Michelini. Gappista eroe di Porta Lame, protagonista della fuga di tanti reclusi in S. Giovanni in Monte con un’audace azione. A Bologna un mito. Quando i Segretari del partito venivano in Emilia, a Bologna, William li prendeva in consegna. Insomma il segretario era affar suo. Quel giorno alla Bolognina si teneva un incontro di Partigiani dell’ANPI. Propose ad Occhetto di passare per un saluto. Il segretario colse l’occasione. Così come aveva fatto Gorbaciov con i valorosi reduci della Grande Guerra Patriottica e, com’era giusto, decise di rendergli omaggio, annunciando in quella Sede che tutto sarebbe cambiato. Ma questa è storia ben nota e mi scuso per la lacunosa ricostruzione. Onide Donati giornalista della redazione di Bologna de l’Unita’ e naturalmente Zani, l’hanno raccontata meglio di tutti. Testimoni diretti.

Insomma dal nuovo PCI si passava ad un’altra Cosa. Mica una passeggiata di salute per chi a quel nome ed a quel simbolo aveva dedicato una vita. In primis naturalmente lo stesso Occhetto. Consapevole della necessità. E determinato a salvare una Grande Storia. Non è che non fossimo preparati. C’era stato lo strappo di Berlinguer, la fine della spinta propulsiva, l’ombrello della Nato. Ma principalmente c’era la consapevolezza che quel mondo non poteva reggere, troppi ritardi, tanti errori. Segretari imbalsamati come Breznev e Cernienko con l’intermezzo di Andropov un riformatore che visse poco ma aprì la strada a Gorbaciov.

Ecco, in lui speravamo. Finalmente uno giovane, intelligentissimo e che ai funerali di Berlinguer dal balcone di Botteghe Oscure aveva rilasciato una profetica intervista. La notizia non fu subito percepita nella dimensione completa. Anzi non la volevamo declinare negli inevitabili sviluppi. Almeno nelle prime ore. Da lì si aprì il dibattito più teso che io ricordi.
Foscolo diceva ” Sol chi non lascia eredita’ di affetti poca gioia ha dell’ urna”. Ed il Partito non era certo una bambolina di pezza. L’agitazione e la tensione si tagliavano col coltello. I telefoni squillavano in continuazione. I grandi corridoi di Botteghe Oscure erano una grande piazza, lacrime e razionali discorsi si mischiavano in un clima che non era certamente, in quel momento, di entusiasmo da nuovo inizio.

Ognuno raccontava di liti in famiglia, spesso furono i compagni più anziani a fare in modo che la ragione politica prendesse il posto dell’emotività. Ciascuno di noi che dirigeva un settore di lavoro fu incaricato a sentire i compagni dell’apparato, quelli con i quali lavorava. Il dialogo con Neri fu illuminante, per saggezza. Cioè un mix di nostalgia irreprimibile e consapevolezza politica profonda. Altro che cervello all’ammasso. Quei cervelli funzionavano, eccome. Si riferi’ alla Sua storia. Con emozione mi raccontò come un contadino della bassa può diventare Assessore alla Cultura e Presidente di un Ospedale. Con un sorriso di autoironia. Quello per lui era stato il Partito. Una scuola di emancipazione, di rigore morale, di spirito di sacrificio.

Più complicato fu il confronto con Luciano Prati. Il grafico storico. Elegante, arguto, ironico. Parlammo a lungo, i suoi argomenti erano robusti. Non facile convincerlo. Non subito, ma trovai gli argomenti per superare le sue riserve. Capì che il crollo del comunismo ad Est faceva venire meno anche un nostro importante ruolo di raccordo di interesse nazionale. Intanto si preparava una fase di serrata discussione, e per la prima volta sentivo parlare di noi e voi. L’ attività doveva proseguire e noi eravamo impegnati ad organizzare la festa Nazionale del ’90, che si sarebbe svolta a Modena. I giornali scrissero che ci ritiravamo nella ridotta emiliana. In effetti dopo Firenze e Genova decisi che saremmo andati in Emilia. Bologna, Modena e Reggio. Garantivano la massima efficienza. Ed un miliardo per la Direzione, a prescindere dal risultato economico
Servivano tanto. (Fine settimana puntata)

BOTTEGHE OSCURE ERA UNA PENTOLA IN EBOLLIZIONE

Botteghe Oscure era una pentola in ebollizione. A metà novembre si tenne una Direzione nel corso della quale Occhetto cominciò a delineare la Cosa a cui pensava, compreso il cambio del nome. Tanta roba per definirla in quella sede. Si decise che la sede propria era la Direzione, che fu convocata per il 20. All’epoca la Direzione non era certo pletorica come in seguito sarebbe accaduto. In quell’illustre Sinedrio sedevano il fior fiore del Partito. Non c’era più Berlinguer che ci aveva lasciato sei anni prima in quella drammatica e gelida serata di Padova. Ma c’erano due generazioni che avevano fatto le une il Partito Nuovo di Togliatti, gli altri, i post sessantottini, erano i ragazzi di Berlinguer, quella nuova generazione che aveva eletto Occhetto prima vice e successivamente Segretario del PCI. Da un lato Natta, Tortorella, Pecchioli, Napolitano, Reichlin, Macaluso, Iotti, Barca, Bufalini, Marisa Rodano, Cossutta il più duro, l’uomo di Mosca com’era definitivo dalla stampa. Quello del ” lavorio” del quale si parlava già dai tempi dello “strappo”. E tanti altri ancora.
Dall’altra D’Alema, Mussi, Imbeni, Turco, Bassolino, Angius, Quercini, Petruccioli, per la verità un po’ più anziano, che da segretario della FGCI avrebbe già sciolto quella. Intelligente e simpatico come pochi, legato moltissimo al Segretario. In quella sede Occhetto, richiamandosi ai grandi momenti di svolta del PCI, omaggio al continuismo dovuto e rassicurante, lanciava con il coraggio che nessuno gli potrà mai negare, un missile a tre testate: uscire dal solco della tradizione comunista, costruire un soggetto nuovo e diverso, non l’adesione alla famiglia socialdemocratica, sbloccare il sistema e togliere di mezzo la pregiudiziale anticomunista. Non andò esattamente così, quella pregiudiziale continuò a condizionare il dibattito politico ancora per anni ed ancora oggi è lo spauracchio che qualcuno scioccamente usa. Del nome non si parlò. il nome veniva dopo la cosa. Si toccavano sentimenti radicati e bisognava cercare di traghettare sulla Nuova Arca il maggior numero di compagni.

Si apriva così la fase costituente per una Nuova Formazione Politica che si dava appuntamento al XIX Congresso che si sarebbe tenuto a Bologna tra il 7/11 di Marzo del 1990. Le divisioni che si producevano tra i big del Partito si proiettavano tra i compagni dell’apparato e giù nei regionali e nelle federazioni. Non ancora schieramenti, ma certo un dibattito serrato che coinvolgeva quotidianamente le sezioni dal Sud al Nord. Impensabile oggi. I documenti si moltiplicavano e la sezione di Organizzazione valutava i contenuti ed il peso dei compagni più dubbiosi o chiaramente contrari. Un gran lavoro anche per i compagni dell’ufficio stampa che rincorrevano le dichiarazioni e su e giù per le scale a recapitarle in segreteria. In questo coinvolgente trambusto il lavoro della Festa doveva continuare. A Modena la Federazione era compatta. A dirigerla Roberto Guerzoni. Lo conoscevo dal periodo emiliano.

Responsabile organizzazione della FIGC di D’Alema, al quale come tanti di quella generazione era molto legato. Con Roberto c’era e c’è tuttora un rapporto fraterno che si è via via consolidato con le Feste ed in particolare a Roma dove rimase parecchi anni da Parlamentare e responsabile del Partito. Eravamo entrambi in Segreteria. A Roma abitava in piazza S. Cosimato, una delle piazze più belle di Trastevere, in un appartamento di Giorgio Frasca Polara, mitico giornalista de ‘L’Unita’ e portavoce di Nilde Iotti per l’intero periodo di Presidenza della Camera. La Festa era particolarmente delicata. Dovevamo evitare il precongresso tra il Si ed Il No. Al tempo stesso dare la più ampia e corretta dimensione del dibattito nel Partito. Profondo e spesso lacerante. Non facile. Ma a Modena le spalle erano robuste ed i compagni, come si diceva, ben orientati, andavamo sul sicuro. Avevamo deciso di ridurre il numero dei dibattiti generici perché spesso poco partecipati ed individuare filoni specifici che spiegassero cosa sarebbe stata la cosa. Si concluse a Modena il percorso della Carta delle Donne.

Un documento di grande novità per la cultura del PCI di allora, frutto del lavoro di Livia Turco a capo di una commissione femminile consapevole e determinata. Al centro e in periferia. Un grande dibattito sul Lavoro nel Centenario della CGIL. Mutava,inoltre, la presenza internazioale, dando conto, anche plasticamente, dei rapporti con il socialismo europeo, la cultura liberal americana, il dissenso dell’ Est. Naturalmente non rompendo con la Russia di Gorbaciov. 250 ospiti in rappresentanza di partiti, movimenti, associazioni. 50 ospiti stranieri. Finalmente venne Dubceck, Gisy, grazie ai rapporti di Argentieri, Laurent Fabius Presidente del Parlamento francese, Guidoni responsabile della politica internazionale ed il capogruppo del PS. ed altri. I nostri compagni in Europa avevano costruito ottimi rapporti. Dall’ America venne Robert Dahl, uno dei più insigni politologi americani, con l’aiuto del Manifesto e di Moltedo, e poi Alfonsine ex presidente dell’Argentina.Il viaggio più interessante fu a Berlino, per incontrare un grande intellettuale Peter Schneider. L’incontro fu per me emozionante. Parlammo a lungo del Muro, di Berlinguer, del comunismo. Venne alla Festa. E da Berlino portammo anche noi un pazzo di muro, che troneggio’ in uno stand.

Berlino, dove c’ero già stato, era l’immagine dal punto di vista architettonico di due concezioni opposte del restauro. Ad Est la ricostruzione meticolosa dei monumenti distrutti dalla guerra. Ad Ovest il massimo dell’eclettismo culturale. Poi c’era lo iato lasciato dal muro. L’area della Daimler Benz, la cui ricostruzione fu affidata anche a grandi architetti italiani. Li portammo alla festa e si discusse anche di questo.La Cittadella era immensa. Progettista l’Arch. Leonardi, purtroppo scomparso pochi giorni fa’. Il mago dei laghetti ed uno dei primi ad utilizzare i palets per arredo. Ne fece poltrone, arredi di stand, fondali. Ma la dimensione della forza organizzativa, che ben conoscevo, si ricavava trascorrendo qualche ora nel retrobottega. Nel cuore pulsante.
I magazzini erano impressionanti. La logistica perfetta. Muletti scaricavano derrate alimentari di ogni genere. Depositi di tortellini lavorati a mano in inverno da anziane mani esperte e surgelati per il trionfo nei Ristoranti della Festa. Lo sforzo di innovazione, negli anni, fu notevole. Non solo tavolate, ma anche eleganti Ristoranti con arredi particolarmente curati.

Affascinante la Sala dibattiti che Leonardi aveva collocato vicino al laghetto. Arredamento da set televisivo. Modernità o omologazione? Riuscimmo ad aprire un dibattito anche su questo. Naturalmente stuzzicando la curiosità malevola dei giornalisti. Tanti, e nomi già allora famosi. Con molti di loro ho legato parecchio in quegli anni. Rapporti rimasti nel tempo. Il clima della Direzione della Festa era dei migliori. Le compagne, tutte belle, erano un trionfo di Mare e Meris. C’era la Mara di Guerzoni, la Mara Masini, la Meris, una delle Meris era l’efficiente segretaria di Federazione, mirandolese. Neri gongolava giocava in casa. C’eravamo predisposti per corrispondere nel migliore dei modi e dare un tangibile segno di ” continuità e innovazione”. Guai a non dirlo. Alloggiavo all’Hotel Principe, vicino alla Stazione, ed alla Festa. Il pomeriggio, fedele alle abitudini meridionali, un riposino, dopo aver mangiato frutta alla festa. Il caldo era insopportabile, la notte si tirava tardi. La Festa tanto attesa cominciò sull”onda delle polemiche sollevate a Reggio Emilia da un’intervista di Montanari, sugli omicidi del dopoguerra in quello che fu definito il triangolo della morte. ” Chi sa parli”, la sfida di Montanari. Polemica dura, molti nervi ancora scoperti, vendette consumate. La Direzione invio’ Fassino a mettere ordine al dibattito piuttosto pesante.

Ad inaugurare la Festa, come negli anni precedenti, Gian Carlo Pajetta. Si aprì con una partecipata iniziativa sulle Stragi, a 10 anni da quella di Bologna. Pajetta intervenne, mano in tasca, con il solito efficace calore. Fu la Sua ultima comparsa in pubblico, nella Festa che era stata una Sua invenzione. Cominciò a Cologno Monzese dopo la Liberazione. Ci lasciò il 13 di quel mese. Sospendemmo gli spettacoli. Ma la Festa andò avanti. Certi che così avrebbe voluto. Ciao Giancarlo, ragazzo rosso.
Tutto filava liscio, si lavorava al mattino al programma, Ennio e Raffaella curavano la presenza degli ospiti. Non era facile coordinare arrivi e partenze con autisti volontari che spesso ignoravano gli ospiti. Ma non s’è perso nessuno. Ai ristoranti, strapieni, si mangiava da Dio. Andavano al Ristorante della Bassa, quello di Meris e di Neri. Malgrado tutto procedesse a meraviglia, non mancò qualche contrattempo, diciamo, come quando nel corso di una forbita invettiva del compianto Lucio Magri sulla svolta, dalla silenziosa e attenta platea si levò un sonoro: “Abbronzato”!!! Rimbombò in tutta la Festa in virtù della efficace sintesi. Ed accompagnò Magri per lungo tempo.

Quell’anno, rotti gli argini, invitammo per la prima volta Pannella.
L’osso duro, il fustigatore , una spina nel fianco. Era ghiotto di parmigiano. Lo gratificammo ampiamente. Dopo.
Per portare pubblico Pannella aveva convocato nella mattinata il consiglio nazionale vicino Modena. Prendendo spunto dalla polemica Montanari scagliò un feroce attacco a Togliatti.
Grandissimo l’imbarazzo. Ed un certo senso di colpa da parte mia. Già da metà pomeriggio il tendone era stato parzialmente occupato dai militanti radicali. Al dibattito con Pannella dovevano discutere Petruccioli ed un Monumento vivente della sinistra, Vittorio Foa.
Ci riunimmo in direzione per decidere che fare.Il rischio di una grande bagarre non controllabile era reale. Intanto si era moltiplicata la presenza dei giornalisti, e dei compagni della vigilanza. Concitate telefonate con Roma. Foa assisteva in tranquillo silenzio. Ma capì il nostro imbarazzo. ” Se la direzione decide di tenere il dibattito, io sono pronto”. Fu una spinta decisiva. Entrammo col pubblico in tumulto. Pannella era lì ad aspettare. Iniziò quella che poteva essere una corrida. L’autorevolezza di Foa che rivendicò con passione il ruolo di partigiano, zittì tutti. Panella accenno’ a Togliatti, senza insistere. Fini’ con Foa osannato. E Pannella, col quale restammo tanto amici, in giro per gli stand a fare i distinguo sul parmigiano.

Un comizio finale di. Occhetto difficile, appassionato strapieno di compagni, ci introdusse agli ulteriori ed ancora sofferti passaggi. Il simbolo era in allestimento, ma non fu concesso anticipare nulla alla Festa. Dopo quello di Bologna, ci sarebbe stato un prossimo Congresso. Sempre complicati.
Fine ottava puntata.

IL XIX CONGRESSO SI TENNE NEL TEMPIO DEL BASKET PETRONIANO

Il XIX Congresso si tenne a Bologna dal 7 all’11 marzo del ’90 nel gelido Palazzo dello Sport di piazza Azzarita. Il tempio del basket petroniano. Della Virtus e della Fortitudo. Sede di grandi manifestazioni politiche e di spettacoli. Al Congresso il Partito arrivò con tre mozioni, quella del Segretario che contava di una maggioranza del 67%, la mozione di Natta ed Ingrao il 30, mentre gli ” irriducibili” di Cossutta contavano il restante 3%.
La preparazione complessa. Per la prima volta ci misuravamo con il dissenso esplicito ed organizzato, le tante vituperate correnti. Altri congressi si erano svolti con mozioni che specificavano o proponevano nuove tematiche. Ma adesso si trattava di andare oltre. Oltre il PCI, oltre la tradizione comunista, oltre il centralismo democratico, oltre tanti riti e simbolismi che avevano caratterizzato quello strano soggetto politico che era il PCI. Nella tensione della lunga discussione spesso si rischiò di andare anche oltre lo stesso spirito di solidarietà tra compagni. Spiacevoli quanto limitati episodi di sospetti ed intolleranza, venivano via via segnalati. Nell’ atrio di Botteghe Oscure in una saletta utilizzata per incontri o piccole conferenze stampa, organizzammo la raccolta delle deleghe che giungevano dalle Federazioni. Come e forse più che negli altri Congressi, numerosi gli inviti per ospiti italiani e stranieri. Graziella Falconi, compagna simpaticissima e molto colta, si occupava dei Fondatori del Partito e ahimè delle tante Vedove, io delle delegazioni dei Partiti Italiani, la Sezioni Esteri degli ospiti europei e non solo. La macchina era oliata. A Bologna si trasferì tutto l’ apparato di Botteghe Oscure, malgrado quello bolognese fosse sufficiente a gestire il Congresso. Ma ogni mozione portò i suoi.

La sera prima ci trovammo di fronte all’imponderabile. Panico. Molte deleghe che avremmo dovuto distribuire alle singole Federazioni mancavano o erano sbagliate. Cosa non da poco viste le modalità di voto.
In fretta e furia richiamammo dall’albergo le compagne ed i compagni dell’apparato per ridistribuire in modo corretto un migliaio di deleghe. Si trattava infatti di ripercorrere l’elenco dei delegati, per mozione, e controllare la corretta corrispondenza della delega. Superato il primo isterico impatto, una situazione oggettivamente tragica si trasformò in un gioco del tipo ” c’è l’ho, mi manca”, con deleghe che passando di mano in mano andavano a collocarsi nel blocco di ciascuna Federazione. Ovviamente divise per corrente…e con entusiasta Ola finale.
Era quasi mattina, non potevamo aprire i cancelli e la pressione dei delegati e degli invitati si faceva rumorosamente sentire in piazza Azzarita.

Naturalmente non mancò qualche “discreto” apprezzamento nei confronti dell’organizzazione romana. Niente di più di un ” eh ma voi romani”. Io stavo in mezzo. Romano da poco, bolognese per tanti anni. Poi come sempre accade in questi casi anche i mugugni si sciolsero in ridanciana euforia collettiva ed in fattiva collaborazione. Aprimmo i cancelli più o meno all’ora stabilita. Entrarono prima gli ospiti, poi i delegati e infine le delegazioni straniere ed i rappresentanti delle altre forze politiche. Ciascuno ordinatamente dall’ingresso indicato. Alla tribuna esteri con i compagni funzionari ci andò Marina, osservata da occhiate interessate, che ricambiava con generosi sorrisi ed inevitabili battute da parte mia.
Le tribune erano strapiene. Nel parterre i delegati. Un grande palco rosso con ancora per una volta il Vecchio Simbolo, ospitava i componenti della Direzione ed i Veterani del Partito. Un segno di novità era costituito dal podio. Una specie di tubo rosso, staccato dalla Tribuna, che dava il senso di distacco da qualcosa e, al tempo stesso, di avvicinamento ad un’altra. Comunque sia si iniziò in orario con l’ Internazionale e Bandiera Rossa. Cantammo. In piedi e commossi. Dopo i saluti di Alfonsina Rinaldi, Sindaco di Modena, parlò Pajetta.

Quindi il discorso del Segretario. Teso, commosso, appassionato. Tante lacrime. Quelle del Segretario, dopo l’abbraccio con Ingrao, il Maestro che aveva detto No, ci coinvolsero particolarmente. Un segno di grande umanità da parte di chi si assumeva una responsabilità impensabile, con la consapevolezza che sarebbe stata la scelta giusta per non ritrovare un buco anche nella nostra bandiera. Non tocca al mio solito raccontino analizzare il Congresso. Occhetto come doveroso per l’ospite venne a salutare le delegazioni. Partecipai a rispettosa distanza al caffè preso al bar con Craxi. Sorrisi che mi facevano sperare ed un ” vediamoci presto”. Con i compagni di Bologna ci saremmo rivisti l’anno dopo, per la prima Festa del PDS.
Fine nona puntata

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