di Francesco Riccio
I cento anni del Pci: III puntata
Da Bologna a Roma accompagnato dal mitico Calanchi
La festa a Modena come le altre in seguito, furono un successo, immancabilmente registrato dall’unità del lunedì conclusivo che dava conto del comizio finale, della soddisfazione dei sindaci locali, quasi sempre democristiani, del congruo utile, del ruolo dei militanti. Diciamo una sorta di pezzo seriale durante i sette anni di conduzione delle Feste. Ed anche dopo.
Il ritorno in macchina con Neri, e breve sosta a Bologna. Francesco a stento nascondeva quel classico gesto ” di contar monete” che costituisce l’incipit di un certo male. E che, rallentando un po’ ì riflessioni, mi creava una certa apprensione In frenata dietro un camion, nella Brennero- Modena, diventava legittima paura. Ma non avevo il coraggio di chiedergli di guidare. A Bologna mi fermai qualche giorno. Inevitabile affrontare qualche problemino di convivenza che ormai volgeva verso il prevedibile esito, come per tanti che fanno i ” commessi viaggiatori”. Fu una cosa civile. Sinceramente non c’erano per fortuna i requisiti soggettivi del penale. Non facemmo insomma a botte. E restammo buoni amici. Nel tempo. Passai anche in Federazione a salutare Silvana e Dealma, le mie amorevoli tutrici, ed ebbi modo di apprendere dal Rosso Bolognini, il nostro grafico pazzo, che Demmy era in fase di stabilità amorosa. Rimasi sorpreso ed incredulo.
A Roma, per l’esordio al Bottegone, pretese di accompagnarmi il mitico Calanchi. Luciano era il nostro tesoriere, e quindi il tesoriere dei tesorieri. Come il traduttor dei traduttori d’Omero. Il più ricco ed il più capace. Ti accompagno io a Roma e tratto le condizioni. Altrimenti quelli ti fregano, li conosco. Una specie di Robiola che va a trattare il cartellino di…. L’ingaggio prevedeva il mantenimento dello stipendio di Bologna, che poi era uguale a quello di Roma, e la casa. Non so se lotto’ per un premio di produzione, visto che mi occupavo di Feste. Ma non credo.
La casa. Era una costante per i compagni che si chiamavano da fuori. Di case, o meglio di appartamenti, allora ne avevamo tanti. Nel quartiere Monti, sulla Gianicolense, nei pressi di Piazza Bologna, ed altre sparse per Roma, come qualche gioiello tipo la Sede di Italia Urss in piazza Campitelli. Andai a dormire in Albergo, ora sede di uffici del Senato a due passi da Botteghe Oscure.
La casa tardava ad essere assegnata. Poco male. Un giorno ero al secondo piano a chiacchierare con Dama, curioso di conoscere il compagno venuto da Bologna. Ad un tratto si aprì la porta del Segretario, Natta, preceduto dal suo fido ghostwrite Enzo Roggi, una delle firme mitiche dell’Unità.
Roggi mi si fece incontro per abbracciarmi. Durante la Festa dell’anno prima, a Bologna, avevamo costruito nei pochi giorni che rimase col Segretario, un istintivo rapporto di simpatia.Ricordo il lungo tira e molla per avere il testo del comizio finale, con i giornalisti, Pasquale Laurito in testa, che in sala stampa attendevano il prezioso documento per poter scrivere il pezzo ed aggiungere dopo le note di colore. La Festa a Bologna era stata bellissima.
Ricca di novità : gli stand con pannellature luminose, frutto del genio di Doriana Mitri, la nostra triestina allestitrice, in un bel post Janna Carioli ha ricordato le grandi novità musicali e spettacolari. Ricordammo i 50 anni della morte di Gramsci con la messa in scena della pièce di Emanuela Giordano, della cui preparazione a Roma avevo fatto cenno. Innovazioni tecnologiche nella scenografia e nella grafica, che evitarono spiacevoli incidenti, come quando durante una festa provinciale di qualche anno prima, al pittore che doveva fare le scritte sui murales qualcuno nel redigere gli slogan scrisse : pace in tutte le lingue”, che pari pari ed in bella grafia ci trovammo scritto tra i colori sfavillanti della Pace. Capita. La Festa bellissima ebbe un unico neo, la presenza al comizio finale, non all’altezza delle abitudini. Forse la cattiva disposizione del palco
Ma i soliti critici parlato di scarso appeal del Segretario. Non ci credo. Sbagliammo pure orario, mi pare. O così ci giustificammo. Natta incuteva in me soggezione. Un pezzo di Storia. Era ironico e con noi bonario. Ma io pensavo di aver di fronte il successore di Berlinguer. Per me di più, se posso. Un latinista che contendeva a Bufalini il ruolo di erede di Concetto Marchesi, che quando studiavo al liceo sulla Sua letteratura latina mica mi avevano detto che era comunista.
Arrotando tutte le erre possibili il Segretario mi chiese notizie del mio trasferimento romano. Quando gli dissi che abitavo ancora in Albergo si lanciò in una dura reprimenda nei confronti di Vincenzo Marini, che nel frattempo si era affacciato sulla soglia del suo ufficio. Marini era un potente funzionario. Vigilanza ed affari generali dipendevano da lui. Generazione Raparelli, dirigente di riferimento il mitico Pecchioli.
Come nella filastrocca del cane che mangia il gatto che mangia il topo, Marini convocò Zucconelli. Peppino, “a chiavi i l’acqua” direbbe
Velardi. O il mitico Wolff di Pulp fiction. E si perché a Botteghe Oscure non mancava niente. Anche il tuttofare Peppino viaggiatore. Si curava dei compleanni, dei ricevimenti, e delle onoranze definitive. Cosa che gli procuro’ l’epiteto di ” Schiattamuorti” da parte di un superstizioso napoletano. Antonio Bassolino. Se proprio aveva bisogno lo chiamava trovando il modo di dare una grattatina all’inguine, diciamo.
Ma Peppino era un fulmine di guerra. In gioventù aveva fatto il fac totum credo di Terracini. Un compagno storico non certo ricordato per il carattere mite. Mise in moto le sue innumerevoli conoscenze, in particolare di signore, compulso’ l’agendina, ed in meno di 48h mi accompagnò a prendere le chiavi del mio alloggio. Quartiere Monteverde, via Giovan Battista Falda, angolo villa Pamphili. Finalmente ero romano. Di Monteverde, invidiato Quartiere dove abitavano tanti compagni, c’erano tante sezioni e tanto verde, dove incontravi presso Villa Sciarra o al bar Garibaldi ,detto il bar degli spioni, Serena Dandini o Nanni Moretti. Dove, infine, d’estate la temperatura segnava tre gradi in meno del centro ed il venticello ti accarezzava tra le scalette di via Dandolo fino a piazza S. Cosimato e a via della Longaretta, passando per i vicoletti dove Roma dava il meglio di sé per cucina ed ironia. L’ appartamento non era del PCI, per qualche mese mi pagarono l’affitto. Poi cominciarono gli scricchiolii finanziari e Burgos, il conte Camillo fiorentino di adozione e piemontese di stirpe, mi comunicò che me lo dovevo pagare. A Calanchi non dissi niente.
Non volevo ritorsioni
(Fine terza puntata)
I cento anni del Pci: IV Puntata
La mia casa in stile montanaro forse perché a Monteverde
L’appartamento individuato da Peppino Zucconelli era funzionale alle mie esigenze. Due stanze di cui una subito ricolma dei libri traslocati da Bologna, una camera da letto, cucinotto e piccolo soggiorno. La proprietaria lasciò parte del suo mobilio in improbabile stile montanaro. Forse perché era a Monte Verde.
Ci teneva tanto ed io lo custodi’ con cura. Acquistai un divano letto e portai con me il Briowega amaranto acquistato a Bologna in occasione di Italia-Germania 4/3. Da quel piccolo TV seguì tutte le vicende del crollo del muro di Berlino e dell’effetto domino sugli altri partiti socialisti con relativo buco nelle bandiere. L’esordito in via Falda non fu esattamente fortunato. Al ritorno da un viaggio si erano introdotti i ladri. Indenne il mobilio alpino. Trafugata, ahimè, una valigetta ventiquattro ore, nella quale custodivo preziosi effetti familiari, appartenuti a mio nonno, mio padre e mio zio. E le macchine fotografiche, mio hobby di allora. Il disgustoso senso di profanazione mi indusse a buttare coperte e lenzuola. Mi misi a frequentare Porta Portese nella vana speranza di ritrovare l’orologio d’oro a patacca con iniziali di mio nonno, o i gemelli d’oro di mio padre. Nulla naturalmente.
Negli anni più volte mia madre mi chiese dove li conservassi. Ma mi ero abituato a pietose bugie. C’era senpre nel racconto una cassaforte a custodirli, fosse in banca o al Partito. In questo caso con qualche dubbio da parte sua. Ma sono al sicuro? A parte questo spiacevole episodio, l’inserimento a Roma fu immediato e coinvolgente. Ritrovai i miei amici più cari di Liceo, professionisti ormai affermati, ma con i quali il discorso riprese da dove eravamo rimasti venti anni prima. Ma principalmente ritrovai la consuetudine con mia sorella Pia, mio cognato ed i miei nipotini Mario e Ludovica. In un viaggio in pullman verso la Calabria feci pure conoscenza. Per cui anche questo aspetto era stato appagato. Oltre qualche mese di piacevole convivenza guadagnai un bellissimo montone rovesciato che finalmente diede ristoro termico ai viaggi in Russia che da allora, e per gli anni a venire, divennero una piacevole costante del mio incarico di Responsabile Nazionale delle Feste de L’Unità. Ritrovai i miei cugini paterni, Massimo de Leo in particolare. Direttore Generale del Ministero della Pubblica Istruzione. Fine intellettuale, grande esperto della Rivoluzione Francese. Suo padre, mio zio, era Generale di Granatieri di Sardegna.
Antifascista, da giovane ufficiale a Viterbo coprì in casa sua la latitanza di Giogio Amendola che ricordò l’episodio in “Una scelta di vita”. Ammetto il mio l’orgoglio, e se diventai comunista molto lo devo a Massimo, ai suoi racconti degli scioperi quando iniziò a lavorare in Ferrovia, ai suoi consigli di lettura e principalmente al suo esempio di moralità. Eppoi c’era Roma, che già conoscevo per esserci vissuto nei primi anni ’70. Amoris causa. Città unica nella quale è un preivilegio vivere e, almeno per me, un lutto abbandonarla. Almeno in quegli anni. Chi abita a Roma per lavoro vede si e no i luoghi dove vive e dove lavora. Spesso distanti e di difficile collegamento. Per fortuna, e grazie a Zucconelli, non era il caso mio. Ma Roma è quella Città, credo unica al mondo, che ti dà la sensazione di poter vivere tutto in prima fila. Come l’abbonato Rai. Dove il mondo ti scorre davanti a cittadini che osservano e giudicano tutti e tutto con distaccata superiorità ed ironia. Al Nord era tutto puntuale. A Roma tutto relativo. Ci vediamo…circa. C’è una bella frase di un tassista in un divertente libro di Terzoli e Vaime, ” Tutti possono arricchire, tranne i poveri”. Narra di un pensionato Fiat che giunge a Termini da Torino in viaggio premio. Attende impaziente il Taxi, naturalmente in fila…
Passano i minuti, consulta l ‘orologio, comincia a dare segni di impazienza. Poi finalmente e con calma, accosta una macchina. Sale a bordo : ma come non c’è un mezzo, sono le nove? Il tassista , per nulla infastidito e di rimando: ” Embè, pe Roma è presto”. Che gli vuoi dire. Applausi. Oppure una volta alla Stadio. Si giocava un incontro di Coppa. Partita tesa e turno da passare. Il pubblico tifava, vociava, imprecava. Ad un certo punto, bel bel mezzo di una fase concitata, l’arbitro interrompe il gioco per un minuto di silenzio.
Che cala sull’olimpico rispettosamente in piedi. I secondi scorrono lenti ed interminabili, ventino, trenta, trentuno. A quel punto il rispettoso silenzio viene rotto da un vocione in cima alla Curva Nord: Ao’ , che aspetti che resusciti??. Fischio dell’arbitro, ripresa del gioco. Che aggiungere ? Grazie Roma.
Poco tempo per gustare il successo della Festa Neve. Bisognava ripartire subito con la preparazione della prossima Festa Nazionale. Firenze’88. Festa già programmata dalla pianificazione di Campione e dedicata alla Rivoluzione Francese. Cominciavamo a dimenticare i bolscevichi per fraternizzare con i giacobini? Ma no, dai. Liberte’, `egalite’, fraternite’. Giocavamo d’anticipo. I compagni che lavoravano al settore Feste li conoscevo bene. Neri, naturalmente, ma anche Lorenzo Labalestra , Rinaldi, Susanna Loi, bella e distinta custode di tutti i manifesti del PCI, un voluminoso archivio di grande valore storico, al quale in molti attingevano per ricerche e Mostre. E naturalmente Raffaele Fioretta coordinatrice del dipartimento comunicazione, il mio Virgilio nel mondo romano. Ospite impareggiabile, organizzatrice perfetta, amica e confidente discreta. Le serate a casa sua uno tra i ricordi più belli della Vita romana serale.
Indimenticabili le tombolate kitsch che ci impegnavano nella ricerca di quanto di più strano e brutto potesse produrre l’oggettistica per turisti. Le bancarelle di Roma fornivano illuminante ispirazione. Firenze era il mio esordio. Ma anche quello di Veltroni come responsabile del Dipartimento. Dovevamo fare bene e non era facile.
Fine quarta puntata
I cento anni del Pci: V Puntata
Feste de L’Unità, la folle nascita della bellissima Villa Medicea
Le ambizioni erano grandi, com’è nel carattere dei fiorentini consapevoli ed orgogliosi della loro storia. ” Compra un Parco”, lo slogan che scelsero per lanciare un’inedita campagna promozionale per l’acquisto di parte dell’area che avrebbe ospitato la Festa Nazionale. Tornava nel capoluogo Toscano dopo tanti anni, non più alle mitiche Cascine. Non era più tempo di Messer Aprile e di rubacuori… Si scelse un’ area geograficamente centralissima. Nella desolata Piana posta tra i Comuni di Sesto, Calenzano e Campi Bisenzio. A due passi dallo svincolo dell’Autostrada.
Lì sorgeva una bellissima Villa Medicea, Villa Montalvo, che divenne il centro direzionale della Festa. La prima volta che mi recai a visitare l’area mi venne in mente Manzoni: “nell’intenzione dell’artista voleva dire fiamme”. iamatTutto si poteva immaginare tranne che quella landa desolata potesse ospitare una Festa Nazionale. Una Città da costruire con strade, fogne, ed ogni infrastruttura necessaria per ospitare milioni di persone in ventidue giorni. Ero abituato alle aree attrezzate dell’Emilia il Parco Nord di Bologna, in particolare, che ospitò un evento nazionale dopo anni di progressive realizzazioni. Al ritorno a Roma Neri stilo’ una relazione per Veltroni piuttosto preoccupata. Ma dopo alcune riunioni con i compagni fiorentini, Pagani in particolare, si decise di andare avanti e di fidarci del loro entusiasmo. ” Vedrai, mi rassicurò Mussi, Pagani la mette in piedi. È andata così anche con il Congresso.”
Preoccupava anche la situazione politica della federazione dove non regnava, con evidenza, la necessaria unità. Ma la macchina era partita e non si poteva certo fermarla. Significativa la gara di solidarietà per l’acquisto del Parco, con piccole sottoscrizioni che arrivarono da tutta Italia. Neri continuò ad avanzare le sue riserve sulla tenuta economica di un lavoro così impegnativo e mise nero su bianco i numeri da lui elaborati. Ma ricevemmo assicurazioni e ci impegnammo al massimo per garantire il successo.
I lavori di sistemazione iniziarono con largo anticipo, c’era tanto da fare. La direzione della Festa, Pagani responsabile ed i suoi collaboratori, si trasferirono in pianta stabile a Villa Montalvo, restaurata per l’occasione. Cominciammo a lavorare sul programma, puntando subito in alto. Il viaggio a Mosca, una costante in novembre, era una piacevole vacanza di una settimana che consentiva ai compagni sovietici di venire, a loro volta, in Italia, cosa non semplice. Alla Borissova, responsabile delle relazioni con il PCI per la Pravda, faceva di tutto per rendere le nostre visite piacevoli e proficue. Una donna gentile e premurosa che amava l’Italia e che cercava di assecondare ogni nostro desiderio. Visite in altre Città, monumenti, luoghi bellissimi che altrimenti non avrei forse mai visto. Nei sette anni di direzione delle Feste viaggiai in gran parte di quell’ immenso Paese da Ovest ad Est. Dagli Urali a Samarcanda, Tasckent, Odessa, Kiev ( dopo Chernobyl) , naturalmente Leningrado e tanti altri luoghi meravigliosi. La Glasnost ci garantiva un dialogo più franco, maggiore libertà di movimento e la possibilità di portare alla Festa opere d’arte importanti, in particolare quelle della prima fase della rivoluzione, che lo stalinismo aveva relegato negli scantinati, privilegiando l’ esaltazione del realismo socialista ed il culto del capo. Con la perestrojka cominciavano a ritrovare dignità nei musei piu importanti. A Mosca alloggiavamo nel nuovo Hotel del Partito, Lenin, manco a dirlo. Una grande costruzione piena di marmi, tappeti di Buchara, parquet. La grande hall, dove troneggiava un enorme mappamondo, ospitava compagni che giungevano da ogni angolo della terra. Noi italiani in quel periodo eravamo ospiti privilegiati. A raccontare le novità di Gorbaciov c’era il fior fiore del giornalismo. Giulietto Chiesa, Fiammetta Cucurnia, Sergio Sergi, Ezio
Mauro, Demetrio Voicic. I giornalisti dell’Unità ci informavano delle novità pressoché quotidiane. L’Hotel era abbastanza vicino alla Piazza Rossa. La sera sfidando il gelo mi incamminavo e attraverso il ponte di legno giungevo in centro. Accanto al ponte c’era una fabbrica di cioccolato. Emanava un voluttuoso profumo. Mosca esprimeva un fascino particolare, la vera Città russa. Colma di neve, silenziosa, ricca di Palazzi segnati dal tempo. Piccole piazze e grandi vie, angoli caratteristici come l’Arbat dove si potevano comprare deliziosi dipinti o qualche antica icona. In Russia ci sarei ritornato ogni anno per sette anni.
Ma il viaggio più significativo, quell’anno,fu ovviamente a Parigi. Tema della Festa il bicentenario della Rivoluzione Francese.
Il PCI ormai aveva avviato proficui rapporti con i partiti socialisti e socialdemocratici europei, ma i compagni di Firenze, come ovvio per una Città così ricca di storia e cultura, coltivavano loro relazioni che risultarono decisive, come decisivo fu l’aiuto di Marsili, allora corrispondente dell’Unità. Uno dei primi incontri fu con Gilles Martinet , intellettuale raffinato, già Ambasciatore in Italia ed innamorato di Firenze. Ci accolse in un grande salone. Un divano e pochi raffinati mobili d’epoca.
Adagiato su un cassettone ‘800 un magnifico Presepe peruviano che colpì particolarmente la mia attenzione. Mi ripromisi e riuscì a procurarmelo uguale. Parlammo a lungo della Festa de L’UNITÀ, del Partito dei dibattiti sulla Rivoluzione Francese, delle Mostre. Infine avanzammo alcune richieste di materiali del Museo delle Carnavalet che in genere non venivano messi a disposizione. Verso la fine della conversazione tentammo un grande azzardo, l’invito ufficiale alla Festa a Mauroy, allora segretario del Partito Socialista e Sindaco di Lilla, per questo ruolo legato particolarmente ai compagni di Firenze. A Roma ne avevo fatto cenno, devo dire tra lo scetticismo dei più.
Del resto eravamo in una fase delicata del rapporto con il PSI. E certo ciò poteva influire negativamente. Tuttavia avevamo costruito buoni rapporti con i compagni socialisti che si occupavano del PCI. In particolare con un giovane funzionario Didier, che periodicamente ci teneva informati sugli sviluppi delle interferenze che a loro dire venivano dall’Italia.
I lavori di allestimento intanto procedevano tra tante difficoltà a causa della natura dell’area. A fine Aprile il Segretario Natta venne colpito da un infarto. La guida del partito fu assunta da Occhetto, vice – segretario con una segretaria completamente rinnovata e della quale facevano parte compagni della generazione post ’68. D’Alema, Fassino, Livia Turco, Angius. In giugno Occhetto divenne segretario, a causa del perdurare delle incerte condizioni di salute di Natta. Il cambio non fu indolore e non mancarono illazioni e rancori.
A quel punto anche il programma della Festa subì non poche variazioni. Dovevamo allestire nel migliore dei modi una rappresentazione visibile del Nuovo Corso. Del Nuovo PCI.
I rapporti con i compagni di Firenze si andarono via via consolidando e le iniziali incomprensioni furono rapidamente superate. Gran merito lo ebbero compagni come Pagani, Il compianto Riccardo Conti, Reggini, Barducci, Domenici, le compagne Marisa Nicchi, Serena Innamorati, Laura Pecchioli e tante altre , tenacissime nel rivendicare spazi adeguati nelle attivita’ della Festa. Ma soprattutto il segretario Paolo Cantelli , colto, ironico, simpatico, capace di stemperare le tensioni sul nascere e Daniele Fortini, che successivamente lo avrebbe sostituito nell’incarico, e la sua dolcissima compagna, allora segretaria di Cantelli.Naturalmente essendo il mio esordio da responsabile nutrivo qualche ansia, che spesso trasferivo agli altri. Passai l’estate a Firenze, si lavorava sodo, ma in un clima divertente e di entusiasmo. Da Roma giunsero Roberta Lisi, Raffaella Fioretta, le compagne dell’ufficio stampa. Abitavamo all’hotel Albatros, inaugurato in quei giorni.
Il giorno dell’apertura era tutto pronto. Al miracolo avevano contribuito anche i compagni di altre Federazioni toscane. Il taglio del nastro toccò al compagno Pajetta. La sera prima ci trovammo in Albergo a salutarlo, con Cantelli e Veltroni. Parlammo della Festa, si informo’ di tutto. Ad un certo punto della piacevole conversazione, accennò ai rischi dell’AIDS. Veltroni non trattenne la battuta ,lo guardò e gli disse :” a Gianca’, al massimo tu puoi rischiare la congiuntivite”.
Incasso’ con un sorriso. La festa fu un vero successo. Grande partecipazione a tutte le iniziative, politiche e di spettacolo. Record di incassi oltre 17mld al netto della pubblicità.
Ospiti di grande rilievo, italiani e stranieri, felici di venire a Firenze. Finiti i dibattiti a bere all’ Hosteria di Montespertoli ed a fare tardi a cantare al piano bar con Bonetti.
Ma il diavolo ci mise la coda. Era il giorno dell’incontro con Mauroy. Alle 9 mi cercarono dall’Ufficio stampa della direzione. Ligas mi comunicò che Mauroy non sarebbe venuto. Il tono era un po’ ” l’avevamo detto”.Telefonai subito al nostro uomo a Parigi, Didier.
Spiegai con una certa rabbia del danno politico che ci avrebbe provocato, anche perché ampiamente pubblicizzata ed attesa dalla stampa italiana. In effetti Mauroy era a colloquio con Mitterrand. Fui particolarmente insistente, promettendo anche un aereo privato nel caso non vi fossero stati voli utili. Ormai la partita sembrava persa, e le polemiche cominciavano a giungere da Roma. In tarda mattinata, inattesa quanto sperata, giunse da Parigi la conferma. Mauroy sarebbe giunto con aereo privato ed a sue spese. Si mosse anche da Roma mezza direzione. Gli regalammo il cofanetto con le medaglie delle Feste, coniate ogni anno dall’ Istituto poligrafico dello Stato. Il compagno Schiti organizzava lo stand con le medaglie ricercatissime. Il giorno del Comizio finale del segretario la festa accoglieva centinaia di migliaia di militanti da tutta Italia. Cortei spontanei, alticci e colorati. Bandiere rosse, cappellini, coccarde.Al mattino prima del comizio era previsto un incontro di Alfredo Reichlin con Lester Thurow economista illustre e consigliere di Clinton. Aveva accettato l’invito alla festa grazie ai rapporti con i giornalisti del Manifesto, in particolare Guido Moltedo.
Veltroni preferì una sala in Città. Naturalmente strapiena. Invitai Thurow al comizio finale. Voleva conoscere il nostro mondo. Rimase colpito dal calore e dalla grande fiaccolata che saluto’ la fine del coinvolgente comizio del segretario Occhetto. Un esordio anche per lui. Durante il ricevimento con gli ospiti e le delegazioni, chiesi timidamente a Thurow qual’era il compenso. Mi guardò con un sorriso e tramite l’interprete mi fece sapere che desiderava, per il figlio, un pallone di cuoio di Italia ’90, quello col pupazzetto delle notti magiche. Non era finita. Dopo il rinfresco incontro di Calcio fiorentino. Magnifico Messere, naturalmente, Massimo D’Alema. Facemmo mattina a scaricare la tensione cantando con Bonetti. Qualche giorno dopo, a festa finita si aprì “qualche polemica” poco piacevole. Il parco è lì, donato dal partito al comune di Campi. Intitolato a Rosario di Salvo, compagno siciliano ucciso con Pio La Torre dalla mafia.
Fine quinta puntata
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