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“Il maestro che promise il mare”, una lezione di coraggio e libertà

Un’emozionante storia vera di coraggio, resistenza e dedizione, basata sulla vita di Antoni Benaiges che nel 1935 accetta l’incarico come insegnante in un piccolo e isolato villaggio di Burgos, in Spagna

Il maestro si presenta: chiamatemi Antonio. E semplicemente con il suo nome, comincia a scompigliare ogni ordine e gerarchia nella piccola scuola che ospita una sola classe. Dimenticate i posti assegnati, questo è mio e questo è tuo, sedetevi dove vi pare, via il crocifisso appeso al muro e niente più botte e punizioni, basta con le vecchie lezioni, qui si impara con la fantasia, le storie, la stampa. E con i sogni. Avete mai visto il mare? Nessuno dei bambini, dai 6 ai 12 anni, della minuscola scuola di  Bañuelos de Bureba (Burgos, Spagna) l’ha mai visto. E come lo immaginate? Su, scrivete.  E con la promessa di portare i suoi alunni a mare, e quel suo modo di insegnare così sovversivo e stravagante, il maestro Antoni Benaiges sconvolge il paesello castigliano (che oggi conta appena 35 abitanti) e si fa tanti nemici: il parroco scandalizzato dal suo ateismo, il sindaco impaurito, le famiglie perplesse e soprattutto gli uomini in divisa, i falangisti franchisti, che vedono nel  maestro spavaldo, con idee comuniste, la pipa e la camicia sbottonata, la rappresentazione del  male. Solo i bambini amano incondizionatamente Antoni/Antonio, il maestro che li fa sognare. 

IL FILM RACCONTA UNA STORIA VERA

La regista Patricia Font nel film “Il maestro che promise il mare” (straordinario successo in Spagna, nelle sale italiane con Officine UBU) racconta una storia vera. Quella del maestro di origine catalane Antoni “Antonio” Benaiges che nel 1935 viene spedito a insegnare in provincia di Burgos e davvero promette ai suoi alunni il mare. Non si inventa nulla, applica soltanto il metodo “freinetista”, ideato dal pedagogo francese Célestin Freinet.  Un metodo didattico basato sullo sviluppo naturale del bambino di cui viene stimolata la libera espressione, la fantasia e lo scambio delle idee. Uno dei pilastri del metodo è l’uso in classe della macchina da stampa, attraverso la quale gli studenti creavano e stampavano dei quaderni. Con i suoi soldi Antoni ne compra una per la sua classe e la usa per realizzare tanti libretti. <I bambini devono poter diventare ciò che vogliono, ma soprattutto devono essere bambini!>, spiega a chi dubita del suo metodo.

I bambini imparano felici, ma intorno al maestro cresce l’ostilità. Sono anni in cui socialisti e conservatori si alternano al potere, il clima è sempre più violento, siamo alla vigilia della guerra civile. Dopo la rivolta militare contro il governo della Seconda Repubblica, nel luglio del 1936, si scatena la rappresaglia, anche nel paesino castigliano. Quella punizione che il maestro tanto contestava, diventa il metodo violentissimo per educare all’obbedienza il popolo.

I PIANI NARRATIVI SI INTRECCIANO

Il film intreccia due piani narrativi, passato e presente si alternano. Le lezioni di Antoni (interpretato da un grande Enric Auquer) la vita nel paesino, e sullo sfondo la tensione che cresce, sono ricostruite con grande efficacia. La parte storica è certamente la più convincente ed emozionante, sottolineata anche dalla scelta dei colori più freddi. Si viene trascinati dall’entusiasmo del  maestro, dalla sua passione per l’insegnamento,  dalla generosità e dalla gioia con cui vive quella missione. Un amore riflesso negli occhi dei bambini. Tutti lo adorano, dalla viziatella figlia del sindaco al più timido e piccoletto, all’alunno che sfida il maestro e poi finisce per abbracciarlo.

IL DOVERE DI RICORDARE

Nel presente,  settantacinque anni dopo, Ariana (Laia Costa), la nipote di uno di quegli alunni, prova a ricostruire la storia del maestro e di quella classe. Intraprende un viaggio alla ricerca delle proprie origini dopo la scoperta di una fossa comune, in cui il bisnonno socialista potrebbe essere sepolto con oltre 100 vittime. E con l’aiuto di un altro di quei bambini, oggi ultra ottantenne, raccoglie i ricordi e i libretti stampati in classe, ritrova le parole di quel tempo e il sogno del mare, rispolvera una fotografia sottratta alla furia dei franchisti: il maestro con la sua classe, tutti vicini, nessuno sovrasta l’altro. L’ostinazione della giovane donna a indagare, l’impegno e anche la disperazione che ci mette, risultano in alcuni momenti non del tutto comprensibili. Nonostante alcune forzature, resta nel film (candidato a 5 premi Goya) il forte richiamo al dovere di ricordare, al valore della testimonianza perché il passato non si ripeta.

Torna in mente Robin Williams di “Attimo fuggente” (il film del 1989 di Peter Weir)  l’indimenticabile insegnante-capitano. Ma “Il maestro che promise il mare” ha in più la forza, e la drammatica semplicità, della storia vera, raccontata nel libro El mestre que va prometre el mar scritto da Francesc Escribano, che firma anche la sceneggiatura. E in parte, il film di Patricia Font richiama il tema delle fossi comuni dei prigionieri politici antifranchisti di cui si è occupato anche Pedro Almodovar in Madri parallele, ma rispetto a quello ha un respiro più ampio. Una storia di grande coraggio raccomandata a chi ancora crede nei maestri (e soprattutto a chi non ci crede più).

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