Il ruolo delle casse previdenziali nell’economia nazionale

E’ arrivato il momento che la politica inizi  ad interfacciarsi a queste casse private come veri e propri investitori nazionali rivedendone il regime di tassazione dei rendimenti degli investimenti

 

di Marcello Presicci

Sono oltre 1 milione e mezzo in Italia i liberi professionisti (medici, architetti, ingegneri, geometri, avvocati, notai, giornalisti, etc.) iscritti ai vari ordini di appartenenza. L’intero comparto economico di questi professionisti vale circa 10 punti di Pil dell’intero Paese ed è caratterizzato da un sistema previdenziale autonomo rispetto all’Inps/Inpdap; ogni ordine professionale è infatti gestito da una cassa di previdenza privata. A 30 anni di distanza dalla loro nascita (il d.lgs. n. 509/94) le casse del lavoro autonomo professionale attraversano certamente un periodo fiorente, sono in ottima salute (patrimonio e rendimenti in crescita), hanno ottemperato a tutte le prestazioni pensionistiche e in questi tre decenni nessuna di loro è mai fallita (l’unica che ha vissuto qualche criticità è stata quella dei giornalisti, l’INPGI).

Le casse di previdenza private sono dunque organismi, dal punto di vista prettamente finanziario, autonomi. Tuttavia vi è un profondo controllo su di esse poiché sono vigilate da due Ministeri competenti e sono soggette ad ulteriori livelli di verifica (collegio sindacale, COVIP etc.). Proprio la COVIP ha certificato come il patrimonio degli enti dei professionisti abbia superato ormai i 114 miliardi di euro. Si tratta di una crescita costante e robusta, basti pensare come il dato di gestione totale nel 2013 ammontava a circa 66 miliardi, contro gli oltre 110 miliardi registrati a fine 2023.

Vale la pena sottolineare come questo dato connesso al patrimonio delle casse previdenziali private, che peraltro afferiscono alla parte attiva del bilancio dello Stato, è frutto dell’impegno e della lungimiranza delle classi dirigenti che gestiscono queste realtà. La lente della Covip ha analizzato poi recentemente come gli investimenti nell’economia italiana (titoli di Stato, titoli emessi da soggetti residenti in Italia e immobili) ammontano a 44 miliardi, pari al 38,5% delle attività totali mentre la componente immobiliare è prevalente (17 miliardi, pari al 14,9% del totale dell’attivo).

Rilevante poi l’interesse delle casse in investimenti collegati all’economia reale. Da annotare, come caso positivo, la Fondazione Enpaia (Ente Nazionale di Previdenza per gli Addetti e per gli Impiegati in Agricoltura) la quale ha destinato molteplici investimenti nel proprio settore di riferimento: Bonifiche Ferraresi, l’unica società agricola quotata in borsa, Masi Agricola, una delle aziende principali della produzione di Amarone e infine Granarolo, azienda leader nel settore lattiero caseario.

E’ arrivato quindi il momento che la politica inizi davvero ad interfacciarsi a queste casse private come veri e propri investitori nazionali. In che modo? Certamente in primo luogo rivedendone il regime di tassazione dei rendimenti degli investimenti, oggi previsto al 26 per cento contro il 20 per cento delle forme integrative. In secondo luogo coinvolgendo sempre più le casse private in operazione strategiche per il paese. Certamente un primo passo è stato fatto di recente con la presentazione da parte del MEF, di CDP e Borsa Italiana del Fondo dei Fondi. Iniziativa rivolta agli investitori italiani ed esteri, tra cui proprio le Casse di previdenza oltre a Intesa Sanpaolo, Unicredit, Credit Agricole e Generali. Il Fondo Nazionale Strategico ‘indiretto’ dovrebbe partire all’inizio del 2025 e sarà un fondo dei fondi che potrà sottoscrivere fino al 49% di fondi di nuova costituzione coinvolgendo anche investitori privati. Spetterà al Governo in futuro analizzare, anche con il supporto del CNEL, il ruolo sempre più centrale delle casse di previdenza private a sostegno del Paese.

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