Il trionfo di Trump: l’ipnosi dell’autocrazia che piace agli americani

A Trump va dato atto di aver cementato un blocco sociale trasversale. Che va dai capitalisti dell’alta tecnologia (con Elon Musk alfiere in prima linea) all’esercito dei forgotten men dai redditi sempre più insidiati dall’inflazione e dalle ricadute della globalizzazione

Ha vinto dunque Donald Trump, incondizionatamente. Senza neanche i brividi del testa a testa previsto dai sondaggi. E con la conquista certa del Senato e quella probabile della Camera dei Rappresentanti. La maggioranza degli americani ha democraticamente premiato la sua tossica campagna incentrata sullo sbarramento all’emigrazione, sulla lotta all’inflazione e sul principio generale che la bussola della grande potenza statunitense è il proprio interesse (America first) a discapito della rinuncia al ruolo storico di gendarme del mondo. Un verdetto che come ogni prodotto della democrazia merita ovviamente rispetto. 

Trump è riuscito a convincere tutti

A Trump va dato atto di aver cementato un blocco sociale trasversale. Che va dai capitalisti dell’alta tecnologia (con Elon Musk alfiere in prima linea) all’esercito dei forgotten men dai redditi sempre più insidiati dall’inflazione e dalle ricadute della globalizzazione. Dai patrioti perlopiù bianchi che soffrono paranoicamente l’emigrazione incontrollata dal Centro e Sud America agli ambienti religiosi che nella difesa delle proprie credenze lo hanno fatto assurgere, nonostante i suoi innumerevole peccati, ad inviato del Signore per aggiustare il legno storto della laicità. Dalle giovani generazioni inopinatamente affascinate dal mito dell’uomo forte alle legioni di donne (per il 52 per cento bianche) che ignorando la battaglia della Harris in difesa della libertà di aborto lo hanno scelto perché (parere di una sua elettrice) vedono in lui “l’incarnazione dell’uomo vero”.

Oltre gli scandali finanziari e sessuali

A nulla sono valsi i precedenti. La sgangherata esecuzione del suo primo mandato. Gli scandali finanziari e sessuali. Il quasi colpo di Stato con l’assalto al Campidoglio assecondato, se non organizzato, il 6 gennaio 2021. La condanna penale (primo caso per un ex presidente) inflittagli per le tresche con una pornostar, oltre ai processi ancora in corso che adesso verranno amnistiati o congelati per quattro anni. La montagna di menzogne. La tempesta di volgarità. La valanga di insulti non solo contro i nemici ma anche contro chi semplicemente non la pensava come lui. Le minacce di regolare i conti una volta rientrato comunque, con le buone (come è successo) o con le cattive, alla Casa Bianca.

Le regole della morale non hanno presa sugli elettori, vince il miraggio del benessere

È evidente che i principi della morale non hanno alcun effetto, un po’ in tutto il mondo, su vaste e crescenti fasce dell’elettorato. Conta molto di più il ritorno immediato. Il miraggio del benessere promesso. La suggestione del consumismo come religione profana. Tutti traguardi sbandierati dall’uomo della provvidenza che, per investitura divina (“è stato il Padreterno a salvarmi da un attentato che poteva essere mortale”), garantisce sotto la sua guida l’avvento di una nuova età dell’oro. Oltre alla fine delle guerre in corso con due colpi di bacchetta magica: sostegno totale a Benjamin Netanyahu in Medio Oriente con la liquidazione definitiva di uno Stato palestinese; cessazione degli aiuti militari all’Ucraina e riconoscimento a Vladimir Putin delle terre conquistate nel Donbass.

Trump l’imbonitore delle masse

Le legioni trumpiane non hanno calcolato il prezzo di un cosi vasto programma. Un po’ per fede, un po’ per cinismo, un po’ per cecità, un po’ per ignoranza che da handicap si è trasformata in un plusvalore da opporre alla supponenza delle élite. Si è passati dal precetto gramsciano di elevare le masse attraverso la cultura alla raccomandazione che è inutile starsi a sbattere sui libri, tanto a risolvere i problemi basta e avanza appunto il messia in terra. Non è poi sempre vero che la Storia è maestra di vita. Nella galleria delle illusioni è più ricorrente la teoria dei cicli vichiani. Sempre più spesso oggi si indulge ingenuamente, come in passato, a fidarsi dei pifferai abili nell’arte dell’imbonimento. Si riafferma così l’ipnosi dell’autocrazia e si svaluta la macchinosa e un po’ spompata democrazia.

La promessa di riempire le tasche degli americani

Nel catalogo delle promesse da luna park troviamo al primo posto i dazi a pioggia che se difenderanno l’economia moltiplicheranno in compenso le guerre commerciali e genereranno l’isolazionismo degli Stati Uniti. E, ancora, le alleanze di affari affievolite con un’Europa che a giudizio di Trump vive alle spalle dell’America. Il disimpegno progressivo nella Nato per castigare i paesi europei (Italia in primis) che non rispettano i parametri di investimento per la difesa comune. L’insensibilità sul fronte ambientale con il rifiuto di ridurre i combustibili fossili che salvano sì tanti posti di lavoro ma rovinano irreparabilmente il clima (vedi Valencia).

L’importante è riempire, se ci si riesce, le tasche degli americani. Governando con i decreti presidenziali che scavalcano le trappole dei contrappesi mal sopportati anche dai tycoon della Silicon Valley insofferenti ai vincoli della democrazia. Auguri.

Ai democratici non rimane che leccarsi le ferite. Kamala Harris, entrata in campo con estremo ritardo per le esitazioni dei vertici del partito a liberarsi di un Joe Biden chiaramente bollito, ha cercato di riequilibrare la corsa puntando oltre che sull’elettorato tradizionale soprattutto sull’appoggio delle donne (questione dell’aborto) che in parte l’hanno tradita. E cercando di ricompattare a sinistra le minoranze di colore e dei latini che nella fascia maschile, per inveterati pregiudizi sessisti, le hanno preferito una figura virile.

Il futuro di un’America divisa

È arduo a questo punto immaginare il futuro di un’America che resta profondamente divisa. Non è nemmeno da escludere che Trump invecchiando si moderi, si liberi del rancore  e cerchi di conciliare i suoi piani di rottura con il ruolo di responsabilità globale che spetta agli Stati Uniti. Il flusso degli eventi non procede mai in linea retta. La speranza è appunto che l’America, anche sotto l’imprevedibile conduzione del controverso tycoon, si mostri all’altezza del destino di supremazia che la Storia continua ad assegnarle.   

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