Il tumore di Kate, il dramma di una famiglia e di una nazione, un bene per l’umanità

Il paradosso di una malattia che per quanto devastante e spaventosa possa apparire ai familiari della futura Regina può rappresentare per l’opinione pubblica mondiale una spinta verso una maggiore prevenzione

Kate Middleton

di Guido Talarico

Il tumore che ha colpito Kate Middleton farà bene all’umanità. Ha sconvolto la vita di una famiglia, sconfortato un intero popolo e amareggiato, in tutto il mondo, gli ammiratori della principessa. Il che è indubitabilmente triste. Susan Sontag disse che “Il cancro è la malattia che non bussa prima di entrare”. A Windsor negli ultimi tempi questo brutto male certo non ha bussato: prima ha preso Carlo ora Kate. Quindi non si può che esprimere solidarietà e umana vicinanza a questa giovane mamma.

Ma allargando lo sguardo, e analizzando senza emotività i fatti, si potrà scorgere con più facilità anche il risvolto fausto di questa vicenda. La parola chiave, quella da cui partire, è amore. Kate è amata da tutti. Il marito, William, è pazzo di lei. Re Carlo, anche lui ammalato di cancro, poco dopo il drammatico annuncio ha scritto “sono orgoglioso di te”. E dai figli in avanti, fino all’ultimo dei fans, potremmo riempire pagine e pagine citando le persone famose e meno che per la futura Regina d’Inghilterra provano immedesimazione, solidarietà e sincero amore. Il secondo elemento da dover tenere presente è la notorietà planetaria di Kate: la conoscono dalla Groenlandia fino a Tahiti.

Se su questi due fattori, amore e notorietà, caliamo un forte strato di paura ecco che la reazione che ne deriva è carica di forti spinte positive. Vedo di spiegarmi meglio. Non sappiamo che tumore abbia Kate. A sentire gli esperti, potrebbe essere un sarcoma addominale. Un tumore composto che si ha quando una massa di cellule maligne cresce in maniera incontrollata e scoordinata rispetto ai tessuti circostanti. Se così fosse sarebbe un brutto male. Leggo che mediamente si sopravvive nel 55% dei casi. Naturalmente tutti ci auguriamo che non sia così. Ma che, al contrario, si tratti di una neoplasia più facilmente gestibile. Ma certo, questa indicata come probabile, è una statistica dura, di quelle che fa crescere l’ansia a dismisura.

Poi c’è un altro dato inquietante: lo studio condotto dall’American Cancer Society e dall’International Agency for Research on Cancer, spiega che nel 2020 i casi di tumori nel mondo sono stati 19.3 milioni e i decessi circa 10milioni. Il covid, per intenderci, fino ad oggi in tutto il mondo ha provocato circa sette milioni di morti. Questo per dire che il tumore ci circonda ed è ferale. Chiunque di noi ha almeno un amico o un parente che ha avuto o ha un cancro.

Insomma, l’amata Kate è stata colpita da un male che noi tutti conosciamo e per di più, nel caso suo, potrebbe essere anche uno di quelli gravi. E allora, in uno scenario così misero ed ansiogeno, cosa mai ci può essere di utile per l’umanità?  La spinta positiva uguale e contraria che ne deriverebbe. Vediamo.

La malattia di Kate potrebbe sensibilizzare la popolazione sull’importanza della prevenzione e della diagnosi precoce del cancro. Questo potrebbe incoraggiare le persone a sottoporsi a controlli regolari e ad adottare uno stile di vita più salutare, contribuendo così a migliorare la salute pubblica. La divulgazione della notizia potrebbe anche portare a una riflessione sulla qualità dei servizi sanitari nel Regno Unito, ma anche in tante altre parti del mondo, inclusi l’accesso alle cure e il supporto per i pazienti affetti da cancro. Tutto ciò potrebbe stimolare il dibattito pubblico sull’efficacia delle politiche sanitarie e sull’importanza degli investimenti nella ricerca e nelle cure mediche.

Poi c’è l’aspetto mediatico. La malattia della Principessa, finendo inevitabilmente sulla stampa di tutto il mondo, focalizzerà di più l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale sull’importanza della prevenzione, della diagnosi e del trattamento delle neplasie, magari incoraggiando azioni più energiche sulla lotta al cancro e promuovendo cambiamenti nel comportamento sia dei singoli individui che in quelli di natura politico/sociale. Questo avrà un impatto di sensibilizzazione sicuramente più ampio, solido e credibile rispetto alle azioni realizzate fin qui anche da altre celebrities.

Infine c’è l’aspetto privato. Che se vogliamo è minore rispetto all’interesse generale, ma non per questo meno importante. L’annuncio del tumore di Kate susciterà infatti un ancor più forte senso di solidarietà tra il pubblico britannico, la famiglia e, se volete, la stessa Corona. Già c’è un’onda di emozione e di devozione verso un’istituzione del Regno Unito che dalla morte di Elisabetta ha più volte vacillato. E’ del tutto evidente che questa onda crescerà.

Insomma, siamo tutti sconvolti dall’idea che la morte possa colpire anche una donna bellissima diventata simbolo ed icona della perfezione moderna, una mamma e una moglie modello, una commoner divenuta principessa e domani regina. Tutto questo aumenta le paure che agitano i nostri sogni e ci spinge a guardare meglio dentro in noi, ad essere da un lato più attenti alla nostra salute, dall’altro più disponibili e generosi nei confronti di chi è stato colpito da questo orrendo male.

In altre parole, Kate col suo enorme potere mediatico, da qui in avanti ci insegnerà a vivere la vita come se ogni giorno fosse l’ultimo, a non mollare mai la lotta contro il male, ad innalzare la soglia della prevenzione. Il suo tumore e le sue paure diventeranno nostri. Il suo amore per i figli, per il marito, per i familiari, raccontato ogni giorno dai media di tutto il mondo, diventerà un esempio, un modello comportamentale. Con lei capiremo che essere forti, che amare noi stessi e gli altri, è l’unica scelta che abbiamo. E tutto questo sarà un grande passo per lei, ma anche appunto per l’umanità.

Concludo lasciando la parola a Umberto Veronesi, che di questi temi ne capiva. “Personalmente non credo che la psiche abbia un ruolo nella comparsa e nello sviluppo dei tumori. Credo invece nell’influenza che l’atteggiamento psicologico del malato può avere sulla sua reazione alla cura. L’esperienza clinica ci insegna che un malato psicologicamente forte reagisce meglio ai trattamenti, perché è capace di aderire alla cura con coscienza, sistematicità e determinazione. L’atteggiamento individuale quindi, anche se non influisce sulla prognosi finale, certamente può influire sulla fasi del decorso della malattia. Un paziente aiutato da un atteggiamento ottimistico guarisce di più anche perché segue meglio le cure, s’impegna a osservare meglio le indicazioni del medico, s’impegna a voler guarire”.

Dunque, lunga vita alla prossima Regina.

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