In Norvegia alla frontiera con la Russia: l’attesa per una guerra che nessuno voleva

Valichi chiusi, maggiori armamenti, tensione in aumento ma forte è la speranza che prevalga la ragione e si metta fine ad un conflitto che danneggia tutti

 

dall’inviato Guido Talarico

Appena salgo sul bus che mi porterà dall’aeroporto di Kirkenes alla omonima cittadina, l’autista mi informa che la Russia è proprio dietro quelle colline che abbiamo davanti, a circa 10 chilometri da dove ci troviamo. “Potrebbe anche essere che ci fermi la polizia per controlli – avvisa – di questi tempi accade spesso”. Tutti i cartelli stradali sono in norvegese e cirillico, alcuni indicano come arrivare nella russa Murmansk altri come andare al bar locale. Siamo nella parte più a settentrione dell’Europa, a pochi chilometri da Capo Nord. Siamo dove la terra finisce e comincia il Mare di Barents. Tutto intorno tundra. Niente alberi. L’estate è troppo breve per consentirgli di crescere. Solo muschi, licheni e renne. Poche case, qualche turista, pochissima gente. Al di là delle colline c’è il confine più sorvegliato d’Europa. C’è la Russia dell’invasore Putin. Così vicina da sentirne i malori, così lontana da non capirne gli umori.

Che ci sia tensione in questa landa desolata, poco abitata ma racchiusa in una natura antica, dal fascino primoridiale, lo si capisce subito.  In giro non c’è un letteralmente un’anina. Dall’aereoporto a questa minuscola cittadina incontriamo una macchina. Il sole di mezza notte illumina strade deserte e silenziose. Neanche il vento, qui abituato a picchiare, si fa sentire. La bellezza è immensa ma l’atmosfera è surrealte. Un contrasto che ha una spiegazione semplice.  A seguito delle tensioni crescenti dopo lo scoppio dell’invasione dell’Ucraina, il 23 maggio scorso, il Ministero della Giustizia norvegese ha chiuso ai viaggiatori il valico di frontiera di Storskog. Dal 29 maggio successivo, turisti e russi che andavano a fare shopping e business in Norvegia non potranno più attraversare il confine, come avevano fatto per decadi. Da allora tutto è cambiato.

Foto Paola Polati

Storskog, che è a poca distanza da dove mi trovo, era l’unico punto di accesso terrestre aperto dalla Russia all’area Schengen. La chiusura dei confini ha avuto un impatto drammatico sui viaggi transfrontalieri. Il sindaco del posto, Magnus Mæland, sta cercando di mantenere in vita questa comunità divisa tra due nazioni spiegando che la chiusura dei confini non influenzerà molto la vita dei russi che vivono a Kirkenes, una minoranza che rappresenta il 5% della popolazione locale. I loro parenti stretti potranno infatti continuare ad arrivare. Ma in realtà tutto appare fermo.

Viaggiavano le persone e con loro anche gli affari. I russi venivano a comprare tutto ciò che da loro non si trovava e a far riparare le loro barche da pesca in Norvegia. Non era relazioni calorose, perché a queste latitudini anche nelle relazioni umani prevale la sobrietà, ma era fruttuose. Ero un operoso, sebbene piccolo, ponte tra oriente e occidente. La frugalità che si incontra nel nome della reciproca convenienza.

Foto AS Cnapelynck

Prima dell’invasione dell’Ucraina, attraverso i lunghi confini tra Europa e Russia, molti erano i luoghi di scambio e di incontro tra le popolazioni dei due blocchi. Ma erano sempre rapporti tra popoli che erano stati parte dell’Unione Sovietica. Un ritrovarsi tra cugini. Qui in Norvegia, come in Finlandia, invece è sempre stato diverso. Le relazioni ritrovate erano un fatto delle ultime decadi. Una relazione recente cresciuta negli anni ed ora bruscamente interrotta. Anche se la storia va ricordata tutta, almeno quella recente. A cominciare dalle dispute. La Norvegia e la Russia nel Mare del Nord e nel Mare di Barents si sono sempre confrontate, anche aspramente, per i confini marittimi, la sovranità e lo sfruttamento delle risorse naturali. Una delle questioni principali è stata la delimitazione della zona economica esclusiva (ZEE) nel Mare di Barents, risolta con un trattato nel 2010, anche se su questo fronte le tensioni non si erano mai sopite del tutto.

Foto AS Cnapelynck

Il Mare di Barents, ricco di petrolio, gas e pesce, del resto è sempre stata un’area di collaborazione ma anche di conflitto, soprattutto per quanto riguarda i diritti di pesca e l’accesso alle risorse energetiche. Anche l’apertura delle rotte artiche, dovuta al cambiamento climatico, ha peggiorato le cose.  Il tentativo di controllo del mitico “passaggio a nord-est”  ha intensificato negli anni i contrasti tra i due paesi. Nonostante ciò, Norvegia e Russia fino alla guerra ucraina avevano cercato di mantenere una cooperazione pragmatica, soprattutto nella gestione delle risorse marittime. Poi è arrivato il conflitto con l’Ucraina e il tema della sicurezza ha congelato tutto. Dopo l’invasione da queste parti la sicurezza è infatti passata da preoccupazione ad emergenza. La presenza militare russa nella regione è vista con sospetto e grande preoccupazione da Oslo e dalla Nato di cui la Norvegia è membro. Le porte si sono così chiuse e le attività militari e di sorveglianza sono aumentate come ai tempi della Guerra Fredda.

Foto AS Cnapelynck

E così quello che vedi dipinto nella faccia della gente di questa terra è un sorriso sospeso. Un clima di preoccupata attesa di chi pensa che la situazione dovrebbe ritornare alla normalità ma teme che possa andare per il peggio. In questa terra di confine che sta tra noi e i nemici, tra l’Europa e gli invasori di un paese alleato, si coglie tensione ma, va detto, non si coglie rassegnazione. Intorno non si vedono movimenti militari inconsueti, né segni di pericolo imminente. Tutto sembra scivolare via nella lentezza artica, bloccato dal quel freddo polare che potrebbe arrivare da un momento all’altro a rallentare ogni movimento e ogni decisione.

Eppure si ha la netta sensazione che la Norvegia indichi, nelle scelte politiche e nei fatti, un modello che dovrebbe ispirarci e che si basa su tolleranza ed integrazione. Questo paese è diventato un modello di accoglienza per i profughi. La migrazione è controllata ma facilitata. E’ un paese ricco che accoglie i migranti per generosità ma anche per calcolo (manca la manodopera). E’ vero, dopo la guerra ha alzato i livelli di allerta e di spesa militare premendo sulla Nato per rafforzare le difese e aumentare gli aiuti a Kiev. Lo scorso gennaio Oslo ha stanziato 190 milioni di euro di aiuti, ai quali si aggiungeranno i 600 milioni appena assegnati alla causa di Kiev.

Foto AS Cnapelynck

E lo ha fatto per il semplice motivo che l’orso russo è un animale che conosce bene e che sta proprio li, al di là di quelle colline. Ma qui tutti sembrano comunque voler guardare avanti. Sembrano aspettare, come noi e forse più di noi, quel vento di pace che riapra le porte ai vicini diventati lontani. Erling Kagge, un esploratore e scrittore norvegese vivente, ha spiegato con efficacia le caratteristiche della sua gente. “Essere norvegese – ha detto – significa avere un senso di calma e determinazione di fronte alla natura selvaggia. È una combinazione di forza interiore e rispetto per il mondo naturale.” Ecco forse per mettere fine alla guerra in Ucraina ci vuole un po’ di più di spirito norvegese. Ma chi tra i contendenti di questa ennesima folle guerra saprà trovare la forza interiore per far fronte alla natura selvaggia? La risposta forse ce la suggerisce un proverbio norvegese che ho trovato in un negozio per turisti indicato anche in caratteri cirillici. “Molti piccoli ruscelli fanno un grande fiume”. Si, forse è tempo che tutti facciano un po’ di più per arrivare alla pace.

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