Istat, 23 mila imprese soffriranno i dazi Usa

Le industrie più esposte si concentrano nel comparto manifatturiero, che include mezzi di trasporto, autoveicoli, articoli in pelle e macchinari. Il rischio non si limita ai dazi diretti, ma si estende agli effetti a catena sul commercio globale, amplificando le difficoltà per le aziende che dipendono fortemente dai mercati esteri

istatLe nuove barriere tariffarie imposte dagli Stati Uniti rischiano di colpire duramente il sistema produttivo italiano, mettendo a repentaglio la stabilità di migliaia di aziende fortemente legate ai mercati esteri.. Secondo l’ultimo rapporto Istat sulla competitività dei settori produttivi, ben 23 mila imprese italiane sono considerate “vulnerabili” rispetto alla domanda internazionale. Pur rappresentando solo lo 0,5% del totale, queste realtà danno lavoro a 415 mila persone, generano 36 miliardi di valore aggiunto e contribuiscono con 87 miliardi all’export nazionale.

Le industrie più esposte si concentrano nel comparto manifatturiero, che include mezzi di trasporto, autoveicoli, articoli in pelle e macchinari. Il rischio non si limita ai dazi diretti, ma si estende agli effetti a catena sul commercio globale, amplificando le difficoltà per le aziende che dipendono fortemente dai mercati esteri.

Il peso degli Stati Uniti e della Germania nell’export italiano
Tra le 23 mila aziende vulnerabili, circa 3 mila hanno gli Stati Uniti come principale mercato di sbocco, esportando beni per un valore complessivo di 10 miliardi di euro. I settori più colpiti sono quelli farmaceutico, meccanico (con particolare riferimento ai turbopropulsori), della gioielleria, dell’alimentare (vino e oli) e dell’arredamento.

Altre 2.800 imprese italiane sono invece fortemente dipendenti dalla Germania, un mercato che sta attraversando il terzo anno consecutivo di recessione. La crisi tedesca ha già influito sul PIL italiano, causando una perdita stimata di 9 miliardi di euro negli ultimi due anni. Le esportazioni verso la Germania, pari a 13,6 miliardi, riguardano principalmente componentistica per l’industria automobilistica, materiali elettrici, prodotti in metallo e alluminio, settori che potrebbero subire danni indiretti a causa delle tariffe statunitensi sulle materie prime.

Istat: “Il rischio di una crisi sistemica nel commercio globale”
L’aumento delle tensioni protezionistiche a livello internazionale sta creando un clima di incertezza che minaccia tutte le 23 mila imprese identificate da Istat come a rischio. Il problema principale è la scarsa diversificazione dei mercati di destinazione e della gamma di prodotti esportati, che rende molte aziende particolarmente esposte ai cambiamenti nelle politiche commerciali globali.

Nel periodo 2019-2024, la dipendenza dell’Italia dagli Stati Uniti è cresciuta in 14 settori su 22. Attualmente, Germania, USA e Francia rappresentano oltre un terzo dell’export della manifattura italiana, con un particolare squilibrio verso il mercato americano. Questa eccessiva concentrazione rende il sistema economico vulnerabile a qualsiasi variazione nei rapporti commerciali tra i Paesi.

Un altro elemento di criticità è la fragilità dell’Unione Europea sul piano commerciale: secondo il rapporto Draghi sulla competitività, le barriere all’interno del mercato unico sono tre volte più alte rispetto a quelle esistenti tra USA e UE. Questo ha spinto molte imprese europee, incluse quelle italiane, a rafforzare i rapporti con i mercati extra UE, aumentando la loro dipendenza e vulnerabilità.

La doppia vulnerabilità: export e import sotto pressione
Oltre alla fragilità sul fronte delle esportazioni, l’Italia deve fare i conti con una vulnerabilità legata alle importazioni. Circa 4.600 aziende – pari allo 0,1% del totale, ma di dimensioni più grandi rispetto a quelle vulnerabili all’export – sono fortemente dipendenti da fornitori esteri, con un totale di 400 mila addetti e un valore aggiunto di 47 miliardi di euro. Queste imprese importano ogni anno 116 miliardi di beni essenziali, e il rischio principale è legato all’indisponibilità di materie prime fondamentali per la loro produzione.

La Germania è il principale fornitore dell’Italia per quanto riguarda le importazioni, con 900 aziende esposte e 25 miliardi di beni importati, tra cui farmaceutici, componenti per l’industria automobilistica e prodotti metallurgici. La Cina, invece, rappresenta una minaccia crescente per la stabilità delle filiere produttive, con 780 imprese italiane che importano beni per un valore di 5 miliardi di euro, in particolare nel settore della meccanica e dei filati.

Un futuro incerto tra nuove barriere commerciali e instabilità globale
Il duplice rischio per l’economia italiana – legato sia all’export che all’import – potrebbe trasformarsi in una crisi sistemica, compromettendo intere filiere produttive. Istat segnala che i settori più esposti sono quelli del trasporto su gomma per l’export e dell’energia per l’import.

Finora, il sistema economico italiano ha dimostrato una certa resistenza, ma l’accelerazione delle politiche protezionistiche di Donald Trump potrebbe alterare gli equilibri esistenti e mettere in crisi il modello industriale del Paese. In un contesto globale sempre più instabile, le imprese italiane dovranno trovare strategie per diversificare i mercati e ridurre la dipendenza dai grandi player internazionali.

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