La condanna penale del Presidente del Nicaragua Daniel Ortega: storia triste di un altro rivoluzionario diventato dittatore

Come molti dittatori, Ortega ha usato la religione per seguire le sue ambizioni. Lo ha fatto prima della rivoluzione lo ha fatto dopo per riconquistare e conservare il potere. La cronaca recente ce ne dà una ulteriore prova. L’ordine di arresto contro Ortega, emesso da un giudice argentino in base al principio della giurisdizione universale, si basa su accuse di “sistematica violazione dei diritti umani

di Guido Talarico

Daniel Ortega

La prima volta che intervistai Daniel Ortega fu a Managua. Era il 1988. Lui era il Presidente sandinista del Nicaragua, salito al potere dopo la destituzione cruenta del dittatore Anastasio Somoza. Fui fatto accomodare nella sua stanza e mi fu offerta una Cerveza Victoria. Lui mi guardava con un certo fastidio: ero troppo giovane, troppo occidentale, troppo elegante: io avevo la giacca lui un camicione colorato. E mi chiarì subito le cose: “voi non capite nulla di Centro America né delle rivoluzioni che lo animano”. Poi tagliò corto: “mi faccia le domande”. Avevo appena intervistato il Cardinale Miguel Obando y Bravo. Cominciai da lì. Ortega era stato istruito dai Gesuiti, Obando era Salesiano. E fu una buona idea: i due erano legati da un rapporto antico: buono nella fase che precedette la caduta del dittatore Somoza, pessimo dopo la presa di potere dei Sandinisti. Per descrivere il rapporto tra lui e la Chiesa, tra lui e la nazione Ortega prese a prestito un pensiero di Jean-Jacques Rousseau: sono stato allevato in una chiesa che decide tutto e non ammette dubbi. La rivoluzione nicaraguense va in questa direzione”.

Disse all’incirca così, e a rileggere la storia che questo dittatore ha scritto dagli anni ’80 ad oggi occorre riconoscergli coerenza. Come molti dittatori, Ortega ha usato la religione per seguire le sue ambizioni. Lo ha fatto prima della rivoluzione (utilizzando anche l’umana disponibilità di Obando y Bravo) lo ha fatto dopo per riconquistare e conservare il potere. La cronaca recente ce ne dà una ulteriore prova. L’ordine di arresto contro Ortega, emesso da un giudice argentino in base al principio della giurisdizione universale, si basa su accuse di “sistematica violazione dei diritti umani“. Il che di per sé non sarebbe un fatto nuovo. In questo caso però è aggravato proprio dalle persecuzioni religiose.

Dal 2018 il Nicaragua è infatti teatro di una crescente persecuzione nei confronti della Chiesa cattolica, con vessazioni e discriminazioni messe in atto tanto per i fedeli che per il clero. Una cosa ben nota in Vaticano e alla comunità internazionale più attenta alle vicende centroamericane. Ortega, che per un lungo periodo è stato alleato della Chiesa di Roma e per questo ricevuto in Vaticano, in questa sua stagione crepuscolare ha avviato una sistematica repressione che ha portato all’espulsione di 222 religiosi e al carcere di molti altri. L’accusa principale che viene mossa ad Ortega e al suo regime è quella di voler eliminare ogni forma di opposizione religiosa per imporre una dottrina atea. Un indirizzo preso appunto “senza dubbi”, pare concepito grazie anche all’influenza e alla complicità della moglie, Rosario Murillo.

Del resto la storia di Daniel Ortega, che come tanti dittatori centroamericani appare uscita da un romanzo di Gabriel Garcia Màrquez, è una parabola che unisce la lotta per la libertà con il desiderio di potere assoluto. Quello che un tempo era stato visto e ammirato, anche in Italia, come un simbolo della resistenza contro l’oppressione oggi è un despota accusato di violazioni dei diritti umani e repressione politica. La sua figura certo rimarrà una delle più complesse e controverse della storia contemporanea del Nicaragua. Ortega è infatti un uomo che ha vissuto almeno tre vite. Una trinità che lo ha portato da guerrigliero rivoluzionario a presidente e che ora lo vede accusato di crimini contro l’umanità. La sua storia, epica, drammatica e triste, è quella di un paese in crisi, che ancora oggi cerca di comprendere come un uomo che ha lottato per la libertà possa poi diventare il simbolo della sua oppressione.

Eden Pastora e Guido Talarico a Managua nel 1988

Ortega nel 2025 compirà 80 anni. Figlio di un combattente contro le forze di occupazione statunitensi, Ortega ha vissuto la sua giovinezza nell’ombra di una rivolta costante contro la dittatura dei Somoza. A soli 18 anni entra nel movimento guerrigliero, diventando un simbolo della resistenza sandinista. Nel 1963 entra a far parte del Frente Sandinista de Liberación Nacional (FSLN), il gruppo che combatte contro la dittatura di Anastasio Somoza. La sua carriera politica inizia con l’arresto e il periodo di prigionia tra il 1967 e il 1974, durante il quale Ortega diventa simbolo della lotta per la libertà. Una volta rilasciato, inizia a fare ritorno clandestinamente in Nicaragua per proseguire la resistenza. Nel 1979, dopo anni di lotte e sacrifici, Ortega e i guerriglieri sandinisti riescono a rovesciare la dittatura di Somoza. In parlamento con il mitra entrò Eden Pastora (il mitico Comandante Zero), ma fu Ortega che diventò il volto della Rivoluzione. La sua ascesa al potere non è stata priva di contraddizioni. Se da un lato il popolo lo considera un eroe, dall’altro inizia a consolidarsi la sua ambizione di potere assoluto. Non a caso Eden Pastora in contrasto con Ortega lasciò i Sandinisti per passare ai “Contras” portandosi con se uno dei figlio di Violeta Chamorro (ma questa è un’altra storia).

Dopo la caduta di Somoza, Ortega entra dunque a far parte della Giunta Provvisoria di Ricostruzione Nazionale, che guida il Nicaragua fino al 1985. Durante questo periodo, Ortega affronta difficoltà economiche e politiche enormi, ma continua a promuovere la sua visione socialista del paese. Nel 1984, Ortega viene eletto presidente del Nicaragua, un ruolo che aveva già assunto nella Giunta di Ricostruzione. La sua presidenza, inizialmente caratterizzata da tentativi di pluralismo, diventa presto autoritaria. Nel 1990, Ortega è sconfitto nelle elezioni da Violeta Barrios de Chamorro, segnando l’inizio di un periodo di ritiro dalla politica attiva. Dopo anni di esilio politico, Daniel Ortega fa un clamoroso ritorno sulla scena politica nel 2007. Con un Nicaragua sempre più provato dalle difficoltà economiche e sociali, Ortega si ripresenta come un salvatore della patria, promettendo una “seconda rivoluzione” contro l’ineguaglianza. Ma il suo ritorno al potere segna l’inizio di un’ulteriore fase di repressione. Nel corso degli anni, Ortega è riuscito a consolidare un potere sempre più autoritario. Le sue riforme costituzionali, le modifiche alle leggi elettorali e l’uso del sistema giuridico per reprimere l’opposizione sono solo alcuni degli strumenti che ha utilizzato per mantenere il controllo. Da rivoluzionario, Ortega è diventato il volto di un regime oppressivo.

Ortega con la moglie Rosario Murillo

Il 2018 segna l’inizio di una delle fasi più buie della storia recente del Nicaragua. Le manifestazioni popolari contro il governo di Ortega sono state violentemente represse, con centinaia di morti e migliaia di arresti. Le forze di sicurezza hanno usato metodi brutali per soffocare la resistenza, e la comunità internazionale ha denunciato sistematiche violazioni dei diritti umani. Il governo Ortega ha perseguitato non solo la Chiesa, ma anche le forze politiche di opposizione. I leader dell’opposizione sono stati arrestati, perseguitati e costretti all’esilio. La libertà di espressione e di stampa è stata messa a dura prova, con numerosi giornalisti minacciati o incarcerati. Rosario Murillo, la moglie di Ortega, non è solo la vicepresidente del Nicaragua, ma è diventata una figura di spicco nel regime. La sua influenza sulla politica del paese è sempre più forte, e le sue posizioni sempre più vicine a quelle di Ortega, con una retorica fortemente nazionalista e autoritaria.

Il futuro del Nicaragua, come altri paesi del Centroamerica, appare dunque sempre più incerto e rientra tra le preoccupazioni di questo 2025 che le altre emergenze globali (Ucraina, Medioriente, Taiwan) relegano in secondo piano, secondo quella drammatica scala delle urgenze che inevitabilmente allontanano dalla nostra attenzione dai paesi più piccoli e più lontani. Tuttavia la storia anche in questo caso insegna. La storia di Daniel Ortega alla fine è quella di tanti rivoluzionari che poi presi dal fuoco del potere sacrificano i propri ideali sul braciere della propria bramosia, della propria vanità. E questa è una storia che purtroppo riguarda noi tutti. Con modalità differenti da quelle centroamericane (o anche russe, cinesi o siriane che siano) ma anche l’occidente assiste ad un decadere progressivo di quello spirito di servizio che dovrebbe animare la politica. “Esiste davvero il pericolo che la politica diventi una sovrastruttura che galleggia su altri centri di potere né palesi né responsabili. La politica, invece, dev’essere un punto alto di mediazione nell’interesse generale. Se la politica non è in grado d’esser questo, le istituzioni saltano e prevale chi ha più forza economica o più forza di pressione, che è poi lo stesso.” Parole di Sergio Mattarella.

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