La nota del 29 giugno

“L’ironia è importante, è un modo per rispondere all’imperfezione del mondo. E’ sorriderne, mentre si cerca di cambiarlo” (Federico Fellini)

Come facilmente previsto ieri, i giornali di oggi aprono quasi tutti sul dilemma dei Democratici americani dopo il disastroso duello tv di Biden contro Trump: sostituirlo, e con chi. Solo Giuliano Ferrara sul Foglio è convinto che Michelle Obama sarebbe la salvezza. Il Manifesto titola “Viale del tramonto”. Allo stato dei fatti, è evidente che se Trump non fa errori, anzi modera i suoi interventi, la strada per la Casa Bianca è spianata. Il geriatra Roberto Bernabei su La Stampa spiega che Biden sta peggio di tanti coetanei e affaccia il tema del Parkinson. Gli americani di solito votano guardando alle condizioni dell’economia, e stavolta a preoccupare è l’inflazione che diminuisce il potere d’acquisto: se poi il presidente in carica non riesce a spiegarsi, il danno è fatto. E non a caso in Italia chi non nasconde la soddisfazione è il Fatto di Travaglio, di fatto filo Putin anche se lui nega.

Niente di nuovo sulla trattativa europea: i quotidiani di sinistra (Repubblica in testa) ripetono che l’isolamento di Meloni a Bruxelles è un danno per il paese, quelli di destra se ne occupano meno, confermando un certo imbarazzo. Resta ovviamente aperta la discussione con Von der Leyen. Tajani media sia tra Salvini (da cui si dissocia sul “golpe in Europa”), sia con i Popolari. Il Corriere mette accanto a Fitto anche le possibili candidature a commissario (con portafoglio) di Crosetto e Cingolani. Fubini nel fondo del quotidiano milanese ritiene che la linea dura di Meloni lasci l’Italia “in mezzo al guado, dove si sta male”.

Riportiamo l’opinione di Marco Zatterin, a lungo corrispondente da Bruxelles e sino a pochi mesi fa vicedirettore de La Stampa, scritta per il Piccolo di Trieste e Il Mattino di Padova: “Lastensione sulla riconferma di Ursula von der Leyen provoca danni relativi. È immaginabile che la popolare tedesca cercherà di digerire i problemi del governo italiano con le sue tre anime confliggenti. Accetterà il sostegno aperto di Forza Italia, assimilerà il non voto dei Fratelli, si farà una ragione del rigetto leghista. I rapporti fra le due leader appaiono cordiali, sono più le certezze che le uniscono che le

differenze a separarle. Se eletta, la presidente cercherà di dare a Giorgia un portafoglio di rilievo e magari anche una poltrona da vice esecutivo, anche se tutto dipende dalla volontà (da dimostrare) degli altri Paesi e forze politiche di venire incontro alla premier italiana, oltre che dallautorità del nome che verrà indicato. Il confronto è aperto. La bocciatura di Antonio Costa avrà cascami indiretti. Lesperto ex premier portoghese non ha margini per discriminare a Bruxelles un collega Capo di Stato o di governo. Il suo mandato, nella gestione dei summit Ue, è mediare, imbastire consenso, tessere maggioranze. È il gran cerimoniere delle intese necessarie, non può che lavorare per avere il maggior numero di clienti felici di partecipare alla sua mensa. Il presidente dellUnione non si mette mai contro uno dei commensali. Il suo principale sponsor politico, i socialisti e democratici,  lo  faranno.  Quando  al  Parlamento  europeo spunterà il commissario italiano candidato, i deputati S&D lo griglieranno come fosse lultimo dei barbecue. Il non volerne sapere di Kaja Kallas genererà lo stesso effetto sul popolo liberale a Strasburgo e Bruxelles, terzo o quarto gruppo dellassemblea, comunque una folta compagnia di lame rotanti che attendono il commissario italiano. Ma non finisce qui. Il niet” alla estone, una statista che avendo letto i libri di storia del suo Paese non ha alcuna fiducia nei russi, insinua nei partner europei e negli osservatori il sospetto che Giorgia Meloni si prepari il terreno per allentare il sostegno allUcraina. Anche alla luce della cautela sui nuovi finanziamenti a Kiev, c’è chi immagina Roma ragionare su una vittoria di Trump negli Stati Uniti e dunque tenere la porta per un cambio di strategia nel 2025, incurante dei disegni in casa Nato di cui, si ricorda, lItalia è socio fondatore. Sono speculazioni, naturalmente. Vallo a dire a chi pensa che due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova. Se Von der Leyen supererà a Strasburgo la soglia dei 361 suffragi che le servono per restare altri cinque anni alla guida della Commissione, lItalia potrà valutare gli effetti del Giovedì del gran rifiuto” in settembre. Sarà allora che laspirante alla squadra  di  Ursula  dovrà  misurarsi  con  le  audizioni parlamentari. Il meccanismo di scrutinio è cervellotico e non chiarissimo, eppure alla fine un no” non è altro che un no”. Socialisti e liberali aspettano di rendere la pariglia alle destre italiane. Sinistra e Verdi non faranno sconti. Si aggiungano alcuni non iscritti”, come il M5S, ad esempio, e fa mezza assemblea pronta a tirare sul malcapitato”.

Nasce a Novara un polo dei chip con l’azienda di Singapore, Silicon Box, darà lavoro a 1600 persone.

Il sito delle vendite immobiliari, Idealista, viene venduto per l’incredibile cifra di 2,9 miliardi.

Enrico Carraro vorrebbe un’agenzia regionale veneta per attrarre investimenti.

L’Inail fornisce i dati degli infortuni sul lavoro: 369 vittime in sei mesi e 55 mila in 45 anni.

Pichetto fa sapere che al 2050 il nucleare in Italia produrrà il 22 per cento del totale dell’energia. Ma non dice quando si comincia.

Meloni si lamenta con Mattarella per le indagini di Fanpage che ha rivelato le dichiarazioni antisemite dei giovani di Fratelli d’Italia. Ma prima del metodo, che può essere anche non proprio corretto, c’è la sostanza di posizioni che la maggioranza degli italiani ritiene inaccettabili, e anche inutili.

Libero accusa Fratoianni di avere come sede un immobile occupato abusivamente.

Oggi alle 18 la sfida tra Italia e Svizzera per non uscire dagli Europei. I precedenti non sono buoni, ed è l’occasione migliore per dimostrare il contrario.

Ed ecco alcuni dettagli/approfondimenti. Nessuno può imporre a Joe Biden di fare un passo indietro se non lo stesso presidente degli Stati Uniti. Voci e smentite su un potenziale cambio in corsa del candidato democratico alle elezioni presidenziali Usa 2024 si sono rincorse senza sosta da quando giovedì sera l’inquilino della Casa Bianca è stato protagonista di una debacle nel corso del dibattito ospitato dalla Cnn ad Atlanta, che lo ha visto contrapposto a Donald Trump. Il punto è che non ci sono margini affinché possa essere deciso di imperio un cambio della guardia. Tutti i 50 Stati hanno già tenuto le primarie e Biden ha ottenuto la stragrande maggioranza dei delegati, che si sono impegnati a votare per lui a meno che non abbandoni la corsa. Ci può essere però una sorta di escamotage dettato dalla regola n. 13 dello statuto del Comitato Nazionale Democratico, in cui si afferma che «i delegati eletti alla Convention nazionale si impegnano a sostenere un candidato presidenziale che rifletta in buona coscienza il sentimento di coloro che li hanno eletti». Ovvero, Biden è stato eletto alle primarie perché sembrava ancora in grado di svolgere il ruolo di presidente, ma nel frattempo è subentrato un crollo psicofisico che ne mina le reali capacità , sebbene lui non accetti tale realtà. Un’ipotesi non impossibile, ma al momento altamente improbabile. L’altra ipotesi è che il presidente si ritiri prima della Convention democratica di Chicago che si terrà tra il 19 e il 22 agosto. (Francesco Semprini, La Stampa)

Biden: resto in corsa. Cresce il panico tra i democratici. L’esitante, interminabile traversata del palco verso il podio. Il volto cereo, attonito. Il filo di voce, rauco e interrotto da colpi di tosse. Le frasi confuse e incomplete. Le parole a volte inintelligibili. Per Joe Biden il dibattito con Donald Trump è in queste immagini. E all’indomani dei 90 minuti di faccia a faccia negli studi della Cnn semina il panico a tutti i livelli del partito democratico americano – e shock tra non pochi alleati internazionali. Il primo confronto tv doveva fugare i dubbi sul vigore della candidatura ad un secondo mandato dell’81enne presidente. È stato l’esatto opposto, con Biden prigioniero delle sue fragilità. La parola d’ordine nel partito è oggi «Defcon 1», presa in prestito dal massimo grado di allarme al Pentagono davanti alle crisi. La débâcle di Biden ha riaperto anche la partita interna ai democratici sulle chance di un cambio della guardia in extremis in vetta al ticket per la Casa Bianca. Su un suo passo indietro che consenta ai delegati alla Convention di Chicago, in agosto, di scegliere un’alternativa. (Marco Valsania, Il Sole 24 Ore)

Biden, la notte più dura «Ma so come vincere». Performance choc al confronto tv, e tra i dem si fa strada l’ipotesi del cambio. La difesa di Obama. (A. Ma., Corriere della Sera)

Sguardo perso, frasi sconnesse, amnesie, strafalcioni Joe va in crisi davanti a milioni di telespettatori e scatena il dibattito sulla sua capacità di vincere le elezioni. La débacle di Biden nel duello con Trump Tra i democratici si diffonde il panico. Dopo il disastroso confronto televisivo, il presidente si difende “Non parlo e non cammino come un tempo, ma so cosa fare”. (Anna Lombardi, Repubblica)

Biden ha assunto spesso delle espressioni stralunate, perdendo a più riprese il filo del discorso e parlando con una voce fiocamente rauca: una circostanza, quest’ultima, che la Casa Bianca ha attribuito a un raffreddore. Trump non ha perso tempo e, subito dopo una frase logicamente incomprensibile pronunciata dal rivale, lo ha fulminato, dicendo: «Non so davvero che cosa abbia detto alla fine di quella frase. Non credo che sappia nemmeno lui che cosa ha detto». A peggiorare la situazione, ci si è messo il fatto che, a confronto concluso, Trump è uscito direttamente dallo studio televisivo, mentre Biden ha atteso che la moglie, Jill, gli prendesse la mano, per aiutarlo a scendere dal palco. (Stefano Graziosi, La Verità)

A un certo punto del raccapricciante faccia a faccia dell’altra notte, si è avuta la netta sensazione che, se Trump avesse chiesto a bruciapelo a Biden “come ti chiami?”, il Capo del Mondo Libero non avrebbe saputo rispondere. Ma, per tutti i 90 minuti del derby fra il mascalzone esagitato e il mascalzone rintronato, le domande che galleggiavano sul capoccione phonato del primo e su quello incollato del secondo erano altre. Come ha potuto la Culla della Democrazia ridursi a una scelta tanto imbarazzante? Chi sta guidando davvero gli Usa e l’Occidente verso la terza guerra mondiale? Per quanto tempo ancora i dem americani e i commentatori internazionali al seguito pensavano di poter negare ciò che il mondo intero vede a occhio nudo da anni sullo stato pietoso in cui versa il “commander in chief”? Solo pochi giorni fa Repubblica spacciava una doverosa inchiesta del WSJ sulla salute mentale di Biden per un “attacco dei repubblicani”. E Domani spiegava che il presidente Usa sta una favola, ma i “trucchi” e le “fake news a basso costo” della “campagna di Trump vogliono farlo apparire confuso, lavorando su inquadrature e tagli per trasmettere un’idea falsata”. Certo, come no. (Marco Travaglio, Il Fatto Quotidiano)

Rimbambiden coperto per anni per colpire Trump. Per scoprire che Joe Biden è una persona confusa, non in condizioni di guidare la prima potenza nucleare del mondo, non c’era bisogno di aspettare il verdetto del confronto tv con Donald Trump. Quante volte in questi anni, ma soprattutto negli ultimi mesi, abbiamo raccontato le défaillance dell’inquilino della Casa Bianca? Quante volte abbiamo visto video imbarazzanti del presidente americano? Non penso alle cadute mentre scende la scaletta dell’Air Force One o agli scivoloni sul palco: quelli possono capitare pure a chi è più giovane e più in forma di lui, anche se il ripetersi degli incidenti dovrebbe far riflettere. No, mi riferisco a quando il Commander in chief ha dato prova di non essere lucido, perdendosi mentre stava parlando, con frasi e riferimenti senza senso, o addirittura dando le spalle agli interlocutori. Sì, in questi mesi abbiamo assistito a scene imbarazzanti, come ad esempio quando l’uomo più potente del globo è entrato nella gelateria Van Leuwen’s, a Manhattan, e si è messo a mangiare un gelato di fronte alle telecamere, facendo dichiarazioni sulla guerra tra Hamas e Israele, e su improbabili cessate il fuoco. Potete pensare che chi ha in mano i destini del mondo discuta di una tragedia con migliaia di vittime, tra cui donne e bambini, mentre lecca una pallina alla crema? (Maurizio Belpietro, La Verità)

Toto sostituto: i dubbi su Harris, il fascino (e le ombre) di Newsom e la scommessa Whitmer. L’eterna suggestione Michelle Obama, sempre smentita dalla diretta interessata. (Andrea Marinelli, Corriere della Sera)

Massimo Gaggi sul Corriere: Biden vacilla, la via crucis dei democratici. Il disastro della notte di Atlanta lascia i progressisti americani con vari scenari da incubo e una piccola speranza.

Gavin Newsom: “Non volto le spalle al presidente Biden. Trump è pericoloso”. Il governatore democratico della California è il principale supplente di Biden per gli eventi ufficiali. Dopo il dibattito dice comunque di essere più preoccupato delle capacità psichiche del candidato repubblicano. (Paolo Mastrolilli, Repubblica)

L’Europa ha scelto la continuità sia nelle alleanze sia nelle grandi nomine e agli esclusi, agli euro-scettici, agli euro- divergenti, non resta che il gioco degli attacchi iperbolici, vinto senz’altro da Matteo Salvini che dice: colpo di Stato. E tuttavia, in attesa che la partita della Commissione si chiuda, ci si chiede se sia mai stato possibile uno scenario alternativo alla vittoria mutilata delle destre continentali. Giorgia Meloni, fin dall’inizio, ha dovuto giocare con pessime carte, non solo per la (prevista) ostilità delle sinistre e di pezzi del Ppe quanto per il caos (imprevisto) esploso nell’area che immaginava di poter rappresentare nel confronto con popolari, socialisti e liberali. Non si sa nemmeno quanti gruppi costituiranno la futura armata conservatrice e sovranista. Due? Tre? Quattro? Mezz’ora dopo il voto dell’8 giugno ogni leader nazionale di quel mondo si è messo a giocare per conto suo. La mirabolante prospettiva di un’unione delle destre capace di incidere sulle nomine, determinare nuovi equilibri, addirittura ribaltoni, si è infranta anche su questo: sulle furberie dei singoli capipopolo e sulle loro ambizioni individuali.(Flavia Perina, La Stampa)

Il nuovo trio per la continuità (e la guerra). Antonio Costa, l’ex premier portoghese nominato per due anni e mezzo alla guida del Consiglio, è il volto tranquillo e tradizionale del socialismo europeo, in grado di guidare politiche di modernizzazione sociale e poi di attaccare l’austerità. Kaja Kallas, premier estone che sarà l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza, è invece l’Europa con l’elmetto che parla di scontro di civiltà e di riarmo. Ursula manovra. Von der Leyen deve ora giocare la carta delle trattative sottobanco per superare indenne il voto del Parlamento europeo – è l’unica a dovervisi sottoporre – sapendo che sulla carta conta su 399 voti, ma per effetto dei franchi tiratori rischia di non superare la soglia dei 361. Kaja Kallas approda alla politica europea dopo la crisi di legittimità in Estonia che l’avrebbe vista, prima o poi, lasciare la carica di primo ministro. Anche lei sfiorata da uno scandalo giudiziario che riguarda il marito, Arvo Hallik, accusato di rapporti commerciali con l’odiata Russia, tiene fisso sul proprio profilo Twitter un articolo del dicembre 2022 apparso su Foreign Affairs. Si tratta della trasposizione di un intervento tenuto in Finlandia nel novembre di quell’anno e intitolato “La Battaglia del Nostro Tempo” in onore delle parole che Gandalf del Signore degli Anelli dice sul balcone di Minas Tirith al giovane hobbit: “Siamo arrivati alla fine: la grande battaglia del nostro tempo” (Salvatore Cannavò, Il Fatto Quotidiano)

Meloni è pronta a trattare ma chiede deleghe pesanti. Il Consiglio europeo è alle spalle e Giorgia Meloni può ora concentrarsi su una partita il cui secondo tempo si concluderà a Strasburgo solo il 18 luglio, giorno in cui Ursula von der Leyen dovrà passare per le forche caudine del Parlamento europeo. Un passaggio non scontato quello in cui l’Eurocamera dovrà confermare il suo bis alla presidenza della Commissione Ue, soprattutto perché con lo scrutino segreto il numero dei franchi tiratori è sempre piuttosto corposo (cinque anni fa se ne ipotizzarono ottanta). Saranno, insomma, diciannove giorni di negoziati incrociati, con von der Leyen che cercherà di pescare voti da tutte le parti, dai Conservatori di Ecr fino ai Verdi. E con Meloni che è decisa a stare alla finestra e attendere di capire quali siano davvero i margini di trattativa per il portafoglio che spetterà al commissario italiano. (Adalberto Signore, Il Giornale)

Meloni contro i giornalisti infiltrati. La linea di FdI sui vagiti nazifascisti di Gioventù nazionale, il movimento giovanile del partito, è cambiata già tre volte: prima il silenzio, poi la rimozione delle tre protagoniste più sacrificabili (Flaminia Pace,  Elisa  Segnini  e  Ilaria  Partipilo),  infine  l’attacco  a Fanpage e ai giornalisti che hanno realizzato l’inchiesta. Giorgia Meloni ha chiamato in causa addirittura il capo dello Stato e ha parlato di “metodi da regime”: “Perché in 75 anni di storia repubblicana nessuno ha mai pensato di infiltrarsi in un partito politico e di riprenderne segretamente le riunioni? – si è sfogata la premier nel punto stampa a Bruxelles, nella notte tra giovedì e venerdì – E perché Fanpage lo ha fatto solo con FdI? I fatti meritano di essere commentati, non provo imbarazzo e non ci sono ambiguità. Ma è consentito? Lo chiedo ai partiti politici e al presidente della Repubblica”. (Tommaso Rodano, Il Fatto Quotidiano)

Un caso il servizio sui giovani, Meloni si appella al Quirinale. E però, a proposito di fascismo. «Vedo che è possibile infiltrarsi nei partiti e nei sindacati, filmare in segreto le riunioni e usarle nello scontro politico. Lo domando al presidente della Repubblica: è consentito da oggi? Perché sono i metodi che in altri tempi utilizzavano altri regimi».A Bruxelles, di notte, al termine del Consiglio Europeo, Giorgia Meloni decide di rompere il silenzio sull’inchiesta di Fanpage che ha portato alla luce atteggiamenti antisemiti e nostalgici di alcuni militanti Gn. Già diversi colonnelli, da La Russa a Crosetto a Donzelli, hanno preso le distanze da quelle posture imbarazzanti, che peraltro hanno danneggiato il partito, come gli insulti a Ester Mieli, senatrice proprio di FdI. Ora lo fa lei, con una certa energia. (Massimiliano Scafi, Il Giornale)

Un terremoto che può pesare in Europa. Dopo aver atteso un giorno e forse temendo le conseguenze a livello europeo delle rivelazioni del sito, Meloni è dovuta intervenire in prima persona per prendere le distanze dalle posizioni “razziste e antisemite” e chiedere e ottenere le espulsioni per i militanti coinvolti (partite per la verità subito, anche prima del suo intervento pubblico). Ma la reazione della premier è a due facce: contro esponenti che non meritano di stare in un partito che ha scelto la dimensione conservatrice, da destra moderna scevra da qualsiasi coinvolgimento con il passato (un po’ com’era avvenuto per Signorelli, il portavoce del ministro dell’Agricoltura Lollobrigida). E di netta critica, con un richiamo  rivolto  anche  al  Presidente  della  Repubblica Mattarella, contro un giornalismo che dal suo punto di vista «sconfina nello scontro politico» e potrebbe risolversi in un’intimidazione contro ragazzi che intendano aderire al movimento giovanile di FdI. (Marcello Sorgi, La Stampa)

La tattica della premier che punta ancora al risultato. Palazzo Chigi ritiene che sia stata l’unica scelta possibile e ricorda che Conte «nel 2019 non toccò palla». (Monica Guerzoni, Corriere della Sera)

La spaccatura tra Tajani e Salvini. È scontro sull’isolamento dell’Italia. Dopo il post di Salvini («puzza di colpo di Stato»), l’altro vicepremier reagisce: io non parlo così. (Enrico Marro, Corriere della Sera)

Le incognite sulla maggioranza. Prime mosse di von der Leyen. La presidente designata si rivolge alle forze pro Ue e pro Kiev. I messaggi concilianti nei confronti dell’Italia di Costa e Rutte. (Francesca Basso, Corriere della Sera)

Massimo Franco sul Corriere: Un governo condizionato dalle destre in competizione. Dopo il Consiglio europeo Palazzo Chigi si ritrova una doppia incognita all’interno della propria coalizione e in Europa.

Massimo Giannini su Repubblica: Meloni, il Grande Freddo. Convinta di “dare le carte”, la premier ha dovuto prendere atto che la sua maggioranza in Italia resta minoranza in Europa. Ha commesso un errore fatale, credendo di poter giocare la partita delle nomine comunitarie da capo-famiglia dei Conservatori. E l’ha persa, ritrovandosi sola con la sua velleità.

Meloni sempre più sola difende la guida dei sovranisti e punta su Le Pen e Trump. La leader FdI non esclude trattative sui voti dei suoi 24 Eurodeputati ma è pronta ad andare fino in fondo e chiedere anche a Tajani di dire “no” a Ursula. Meloni pensa a nuovi equilibri post-elezioni in Francia e Usa, di qui la scommessa contro von der Leyen. Se saltasse, ipotizza l’alternativa Metsola. (Tommaso Ciriaco, Repubblica)

Mosca attacca: “A Bruxelles scelte russofobe”. «PEssime» : così il Cremlino giudica le prospettive dei rapporti tra Mosca e la Ue dopo le nomine ai vertici dell’Unione, denunciando in particolare quella che definisce le «dichiarazioni russofobe» di Kaja Kallas, scelta per succedere a Josep Borrell nella carica di Alto commissario per la politica estera comune. Secondo Dmitry Peskov, portavoce del presidente Vladimir Putin, nulla è destinato a cambiare rispetto all’attuale corso negativo delle relazioni con i Ventisette. Ursula von der Leyen, riconfermata alla guida della Commissione, «non è una sostenitrice della normalizzazione delle relazioni tra Ue e Russia» , ha osservato. «Così la conosciamo, così la ricordiamo, e su questo piano non cambia nulla» , ha aggiunto il portavoce. Quanto a Kallas, premier estone uscente, «non ha ancora dimostrato inclinazioni diplomatiche» ed è nota per «dichiarazioni assolutamente inconciliabili e talvolta anche sfrenatamente russofobe» . Com’è nel suo stile, Dmitry Medvedev ha usato toni più coloriti, definendo von der Leyen, Kallas e il nuovo segretario generale della Nato, Mark Rutte, «una meravigliosa trinità» grazie alla quale «il “Freak Show”europeo diventa sempre più emozionante». (Marco Bresolin, La Stampa)

Fitto, Crosetto e Cingolani tra i nomi «spendibili». Le 2 condizioni  a  Bruxelles.  Roma  vuole  una  delega  con «portafoglio» e competenze esclusive. (Marco Galluzzo, Corriere della Sera)

FdI e Pd frenano dopo le Europee. Ma il «bipolarismo» si conferma. Il partito di Meloni al 28,1%, i dem al 22,8. Il M5S risale al 12,5. Stabili Forza Italia e Lega. (Nando Pagnoncelli, Corriere della Sera)

Gli altri temi del giorno

La vita a Gaza tra liquami e rifiuti. Cumuli di spazzatura, forte caldo, mancanza di fognature e situazione igienico sanitaria al limite del collasso, stanno portando la Striscia di Gaza ad una crisi che, unita alla guerra che non cessa, rende impossibile la vita dei rifugiati. È l’Organizzazione mondiale della sanità a lanciare l’allarme: in tutta l’enclave di Gaza, a causa delle pessime condizioni igienico sanitarie, si stanno diffondendo velocemente non solo casi di epatite A – all’inizio del mese è stata dichiarata una epidemia di questa malattia con 81.700 casi segnalati di ittero – di disidratazione e di diarrea, ma aumenta notevolmente il rischio colera. Le discariche a cielo aperto oramai non solo lambiscono i campi profughi, ma li sovrastano. La gente, soprattutto i bambini, si trova spesso tra i liquami, con le tende invase da ogni forma di insetti oltreché di topi. (Nello Del Gatto, Il Sole 24 Ore)

Il voto per salvare gli ayatollah. L’Iran e il mistero dell’affluenza. Presidenziali, l’opposizione: seggi vuoti. Per il regime, elettori in coda alle urne. I social all’estero: seggi deserti e scrutatori annoiati. (Andrea Nicastro, Corriere della Sera)

Raphaël Glucksmann, l’europeista con Mélenchon «a malincuore» per sfidare Le Pen: «L’estrema destra svolta senza ritorno». L’eurodeputato è uno dei pochi che sembra non rassegnarsi alla vittoria del Rassemblement national alle elezioni francesi. Il suo partito «Place publique» si è unito al Nuovo Fronte Popolare nella coalizione anti Le Pen. (Stefano Montefiori, Corriere della Sera)

Besseghini “Le tutele ci sono le bollette caleranno nel tempo”. Il presidente dell’Autorità dell’Energia. Positivo che ci siano già offerte vicine alla tariffa tutelata. Quello è il prezzo in un mercato efficiente. Scelto il momento giusto per spingere sulla concorrenza. Con le crisi italiani sono più attenti. (Luca Pagni, Repubblica)

L’intervista a John Elkann «Persone e tecnologia la Ferrari diventerà elettrica senza perdere l’anima». «Lapo ed io da bambini andavamo nel garage del nonno e di nascosto accendevamo le Rosse, sentivamo il rumore». (Daniele Dallera e Daniele Sparisci, Corriere della Sera)

Joint venture per il lancio di Liu Jo Pets. La svolta di Marchi, Exelite diventa un hub: «Pronti ad aggregazioni». (Daniela Polizzi, Corriere della Sera)

Benetton, regole di famiglia. Nella Edizione di Alessandro in cda solo chi ha un master. Nuova gonvernance per l’elezione del cda che scadrà a giugno 2024 e avrà più poteri. (Sara Bennewitz, Repubblica)

Semiconduttori, firmata l’intesa per Silicon Box. Fare dell’Italia un hub di produzione di componenti elettronici e microchip. Questo il principale risultato dell’investimento della Silicon Box in Italia, a Novara. A sintetizzare è il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso:

«Possiamo aspirare a essere uno dei principali poli produttivi di nuova tecnologia del futuro» dice Urso a margine della firma degli accordi con la società di Singapore, ieri a Roma. Il progetto – 3,2 miliardi di capex e 1.600 addetti diretti – prevede la costruzione di una «fonderia avanzata di confezionamento e collaudo di semiconduttori» descrive Silicon Box in una nota diffusa dopo l’incontro di ieri a Roma. La costruzione dello stabilimento di Novara – occuperà l’area di 600mila metri quadri a Sud dell’attuale sito di Amazon – dovrebbe iniziare a metà 2025, con l’inizio della produzione previsto nel 2028. (Filomena Greco, Il Sole 24 Ore)

Noli marittimi dall’Asia raddoppiati in due mesi: Houthi come il Covid. Gli Houthi come la pandemia. Dopo sette mesi di attacchi contro le navi nel Mar Rosso i trasporti marittimi via container stanno precipitando in una crisi sempre più grave, simile per molti analisti a quella che era esplosa in seguito al Covid. Il campanello d’allarme più evidente arriva dai noli, che da inizio maggio sono raddoppiati sulle principali rotte dall’Asia, spingendosi ai massimi dall’estate 2022 sul mercato spot: un’impennata rapidissima, che rischia di riaccendere l’inflazione e che si sta dimostrando particolarmente pesante nell’area del Mediterraneo, la più penalizzata dalla rinuncia ad attraversare lo Stretto di Suez, che obbliga a lunghe diversioni per circumnavigare l’Africa. Spedire da Shanghai a Genova un container da 40 piedi (FEU) è tornato a costare più di 7mila dollari: 7.102 $ per la precisione secondo Drewry, contro i circa 3.600 $ di fine aprile e 1.300-1.500 nell’autunno 2023. (Sissi Bellomo, Il Sole 24 Ore)

Le ultime foto di Giulia nel telefono dell’assassino. Le chat: «Sei psicopatico, smettila di controllarmi». Cecchettin, i 52 scatti poco prima del delitto. Lei: tu mi fai paura. Lei doveva scegliere il vestito per la tesi di laurea che avrebbe discusso 5 giorni dopo. (Andrea Pasqualetto, Corriere della Sera)

Asma, la tiktoker di Kabul che sfida i talebani: “Con poesie e smartphone aiuto la lotta delle donne”. L’influencer è stata costretta a lasciare l’Afghanistan per il suo impegno in favore dei diritti umani, ora prosegue la sua battaglia in Italia. (Fabio Tonacci, Repubblica)

Orale «muto» alla Maturità. Valditara ordina verifiche sui commissari d’esame. Venezia, «accertare errori o abusi» dopo la protesta delle 3 liceali. (Valentina Santarpia, Corriere della Sera)

Il Corriere intervista il giornalista di Sky, Marco Nosotti, dopo la perdita della moglie malata di tumore: «L’ultima sera con Silvia morta durante l’inno nazionale. Sono tornato in tv per lei». Sullo stesso quotidiano, Edoardo Nesi: «Fu il mio amico Veronesi ad aiutarmi a trovare un editore. A una mia presentazione non si presentò nessuno».

Gli Anniversari

1520, ucciso l’ultimo imperatore azteco Montezuma II
1613, in fumo il teatro The Globe a Londra
1807, abolita la Federazione dei Sette Comuni
1880, la Francia si annette Tahiti
1900, nasce in Svezia la Fondazione Nobel
1929, prima radiocronaca italiana di calcio
1934, Hitler: notte dei lunghi coltelli
1936, muore a Roma Ettore Petrolini
1944, nazisti: eccidio di Civitella in Val di Chiana
1949, Sudafrica: vietati matrimoni interrazziali
1960, s’inasprisce la crisi tra Usa e Cuba
1967, riunificata la città santa di Gerusalemme
1976, le Seychelles indipendenti dalla Gran Bretagna
1986, l’Argentina di Maradona campione del mondo
1988, scomunicato il vescovo francese Lefebvre
1994, Carlo: fedele a Diana fino a tenuta matrimonio
2000, muore a Roma Vittorio Gassman
2003, muore a Saybrook Katharine Hepburn
2004, Barroso presidente della commissione
Ue 2007, debutta l’iPhone della Apple
2009, treno merci deraglia a Viareggio: 32 morti
2013, muore a Trieste Margherita Hack

Nati oggi

1620, Masaniello
1798, Giacomo Leopardi
1900, Antoine de Saint Exupéry
1915, Mario Carotenuto
1925, Giorgio Napolitano
1928, Alfredo Biondi
1929, Oriana Fallaci
1933, Rosellina Archinto e Piero Barucci
1946, Antonio Padellaro e Attilio Befera

Si festeggiano i Santi Pietro e Paolo

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