La nota del 30 giugno

“L’unica spiegazione è che i nostri non siano veri giocatori ma giornalisti di Fanpage infiltrati” (Kotiomkin)

Alla fine, se i giornali di questa domenica d’estate hanno solo notizie che già sapevamo non è poi un gran male. Da ieri sera la nazionale di calcio è stata sbattuta via dagli Europei di Germania nientedimeno che dalla Svizzera, e il fatto che la notizia principale sulle prime pagine è questa dice anche che siamo un popolo che sembra non avere altri pensieri, mentre la Francia è alle prese con un ribaltone politico di non poco conto targato Le Pen, gli Stati Uniti con dei candidati alla presidenza che nemmeno si salutano quando si incontrano in uno studio televisivo, e poi uno ha problemi seri derivati dall’età e l’altro viene accusato continuamente di mentire. Senza contare che in Ucraina e a Gaza si combatte, ma a quello ci siamo abituati, come se non ci riguardasse.

Libero, forse preoccupato che possa essere coinvolta anche la premier nella disfatta (cosa che nessuno sinora ha evocato, nemmeno Repubblica) dedica alla vergogna azzurra tutta la prima pagina con il titolo “Andate a zappare” e il fondo del direttore Sechi che si consola con i successi dello sport italiano nell’atletica e nel tennis. Il fatto è che tutti i ruoli chiave nelle squadre italiane sono occupati dagli stranieri, e questa volta il disastro è stato generale, non si è salvato nessuno, solo il portiere Donnarumma, mentre lo stellone che ci aveva aiutato nel pareggio con la Croazia al 98esimo si è esaurito su due pali del tutto casuali. Spalletti, che ha cambiato inutilmente modulo di gioco dieci volte a partita, purtroppo non si dimetterà visto che tutti sanno che non ha campioni a disposizione, ma anche le sue colpe (linguaggio inutilmente lezioso a parte) sono chiare.

Intanto resta centrale il ruolo e il peso dell’Italia a Bruxelles, nell’Europa politica e non in quella calcistica, dove Giorgia Meloni sta combattendo la battaglia più importante da quando è al governo. Vittorio Feltri sui giornali di Angelucci spiega e giustifica la sua strategia ma la invita ad appoggiarsi a Tajani per fare breccia nei Popolari. Il Corriere ricorda che il ministro degli Esteri e Salvini hanno idee diversissime sull’Europa e dunque si depotenziano a vicenda. Cassese, ancora sul Corriere, approva la strategia della premier ma scrive che “si basa su una diagnosi sbagliata” dell’Europa. Il Sole intervista Tajani, il quale si spende per avere il Tribunale dei brevetti a Milano. Travaglio si chiede dove sono finiti Draghi e Letta, per i quali sinora gli altri giornali vedevano un glorioso ritorno in Europa. Secondo Repubblica, il Colle, Tajani e Giorgetti sono in pressing sulla premier per evitare che strappi. Marcello Sorgi su La Stampa accusa la premier di essere tornata underdog, Giovanni Orsina la vede a metà tra le destre e i Palazzi europei. Chissà se con la prevista vittoria di Le Pen in Francia il dicastero dell’Industria e la vicepresidenza andranno ancora a Parigi, come sembra ora, oppure verranno dati all’Italia se Meloni trova davvero sponda nei Popolari.

Intanto Giuliana Segre dilata le farneticazioni antisemite di alcuni giovani di Fratelli d’Italia quando dice di temere di essere costretta di nuovo ad andar via dall’Italia. Ora La Russa e Meloni le telefoneranno. Si capisce la reazione di una persona sopravvissuta ai lager nazisti quando irresponsabili ex o attuali fascistelli parlano a vanvera ma reagire serve anche ad ampliare il fenomeno, suscitare emulazioni.

Il New York Times invita Biden a ritirarsi, e lo stesso vorrebbero fare i suoi finanziatori. Federico Rampini firma un bell’articolo sul paese dei giovani in mano a due vecchi. Il Fatto scrive che Biden viene gestito dalla sorella e dallo staff, che decidono per lui.

Il Giornale come titolo più importante ha “il piano contro la burocrazia”, fatto di “semplificazioni è più digitalizzazione”. E il ministro Zangrillo annuncia due decreti che riguardano le imprese. Il primo decreto legislativo, a breve, si occuperà di razionalizzare il sistema dei controlli sulle imprese “nella logica di prevenire gli illeciti”. Un altro, più avanti, si occuperà della semplificazione dei regimi amministrativi per gli impianti di energia rinnovabile. C’è poi il testo unico delle costruzioni che vuol far approvare Erica Mazzetti, segretaria della Commissione Bicamerale Semplificazioni, e si parte dal Fascicolo unico del fabbricato. Se per aprire una falegnameria, come ricorda Zangrillo, servono 78 adempimenti presso 23 enti diversi, occorre evitare che semplificando semplificando se ne aggiungano altri.

Angelo Panebianco si occupa delle riforme istituzionali sul Corriere, Ghisleri su La Stampa fa sapere che solo un italiano su tre le approva.

Luca Ricolfi sul Messaggero attribuisce parte della colpa del sistema schiavista nell’agricoltura del basso Lazio ai prezzi poco competitivi imposti dalla politica agricola europea.

I sindaci di Milano, Torino, Napoli e Bologna sono candidati a sostituire Decaro alla guida dell’Anci.

Il Sole apre sul bonus casa, “ultima corsa per i lavori”.

Coldiretti/Filiera Italia firma un accordo con Cdp per sostenere le aziende agroalimentari e per aiutare la cooperazione internazionale allo sviluppo.

Uliano, segretario della Fim-Cisl, su La Verità attacca il Green Deal che distrugge l’industria. Sbarra, segretario della Cisl, chiede di sveltire l’iter della norma sulla partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese.

I giudici genovesi concedono a Cozzani, capo di gabinetto di Toti alla regione Liguria, la libertà durante il giorno, revoca do i domiciliari, in cambio delle dimissioni dal suo incarico. Bisignani sul Tempo scrive che Toti e i suoi avvocati vogliono portare alla Consulta il conflitto di attribuzione.

Il presidente della Regione Lazio, Rocca, aumenta del 30 per cento gli stipendi dei suoi dirigenti, compresi i direttori delle Asl.

La casa di produzione inglese Jiva Maya sta lavorando ad un docufilm su Montezemolo. Lo fa sapere il Corriere.

Il cardinale Becciu si difende sul Corriere: “non sono un affarista, davanti alle ingiustizie non si deve tacere”.

Le Ferrari ancora male nelle qualificazioni al Gran Premio d’Austria.

Ed ecco alcuni dettagli/approfondimenti. La scommessa della destra: molti eletti al primo turno. Le elezioni politiche anticipate volute da Macron: i sondaggi danno il RN in netto vantaggio sul Front Populaire. I centristi in grande difficoltà. (S. Mon., Corriere della Sera)

Francia pronta alla svolta, L’estrema destra di Le Pen verso la “vittoria storica”. A predirlo, dall’annuncio choc sullo scioglimento dell’Assemblea nazionale fatto da Emmanuel Macron la sera delle europee, sono tutti i sondaggi, unanimi nel sancire il netto vantaggio del Rassemblement National. L’ultimo, condotto dall’Ifop e pubblicato venerdì pomeriggio prima del silenzio elettorale, dà il partito di Marine Le Pen al 36,5% (tra i 225 e i 265 seggi), seguita dalla sinistra alleatasi nel Nuovo Fronte popolare al 29% (tra i 170 e i 200 seggi) e dalla maggioranza macroniana di Ensemble pour la République, al 20,5% (tra i 70 e 100 seggi). I Repubblicani, invece, restano dietro al 7% (tra i 30 e i 60 seggi). Un successo mai visto prima per il partito di estrema destra, che in caso di conferma rimarrebbe però sotto l’agognata soglia dei 289 deputati su 577 necessaria per ottenere la maggioranza assoluta all’Assemblea nazionale, presupposto fissato dall’estrema destra per accettare una coabitazione di Jordan Bardella primo ministro con Emmanuel Macron presidente. A quel punto giocheranno un ruolo fondamentale i Repubblicani, già divisi tra la sessantina di candidati che hanno seguito il loro presidente Eric Ciotti nell’alleanza con i lepenisti e il resto del partito insorto contro il progetto (Danilo Ceccarelli, La Stampa)

Francia alla resa dei conti ma resta l’incognita sulle intese al ballottaggio.Quelle che si svolgeranno oggi e domenica prossima in Francia saranno ricordate come delle elezioni legislative storiche. La posta in gioco è altissima perché il partito che otterrà la maggioranza assoluta all’Assemblea nazionale, la camera bassa del Parlamento transalpino, deciderà il futuro della Francia indipendentemente dalle volontà del presidente della Repubblica, Emmanuel Macron. Proprio lui è all’origine di questa strana tornata elettorale nel cuore dell’estate decisa all’Eliseo dopo il disastroso risultato ottenuto dal partito macroniano alle elezioni europee del 9 giugno scorso. Durante la campagna elettorale lampo, durata solo tre settimane, che ha preceduto questo primo turno di oggi, si sono evidenziate le fratture profonde che dividono la Francia in tre grandi blocchi. Uno di questi è quello di Macron che, da sette anni a questa parte, cerca di accreditarsi come centrista e moderato, salvo poi compiere delle sbandate da sinistra estrema, come avvenuto con la costituzionalizzazione dell’aborto (che Macron aveva già facilitato) o il progetto di legge sull’eutanasia che, senza la fine della legislatura, avrebbe potuto introdurre in Francia una forma di «dolce morte» senza freni. (Matteo Ghisalberti e Gianluca Baldini, La Verità)

Il voto della paura: la Francia sceglie tra due estremismi, il centro può sparire. Sono le elezioni della paura, le legislative francesi del 2024. La paura dei francesi dei piccoli centri, che vedono allontanarsi e sparire i servizi pubblici, e persino alcuni servizi privati; la paura dei francesi delle grandi città, che temono un passo indietro della società aperta in cui vivono e prosperano, travolta da programmi estremi sul piano economico, sociale e istituzionale; la paura dei politici che potrebbero veder sfuggire i propri obiettivi; la paura del presidente, Emmanuel Macron, che sarà costretto a cambiare radicalmente il suo ruolo. Mai forse la posta in gioco è stata così alta. La campagna elettorale è stata dominata dal ritorno della polarizzazione della politica. Il centro sembra svuotarsi: i macroniani sono in affanno, impegnati come mai nelle circoscrizioni, al telefono, alla ricerca di voti, ma in un clima di smobilitazione. I Républicains temono la scomparsa, dopo che il presidente Eric Ciotti ha tentato un’intesa con la destra radicale del Rassemblement national: un’aggregazione fallita, che però ha mostrato non solo le divisioni del partito, ma anche la sua difficoltà a trovare una proposta politica distintiva. I socialisti, che avevano ottenuto risultati interessanti alle europee, si sono aggregati al Nouveau Front Populaire, un cartello elettorale molto eterogeneo e segnato dalle intransigenze della France Insoumise, per contrastare Rn. A  sinistra  il  partito  di  Jean-Luc  Mélenchon,  il  Partito comunista, in parte i Verdi – più pragmatici che altrove – sommano le loro radicalités, soprattutto sul piano economico. A destra il Rassemblement national, malgrado la dé- diabolisation, il tentativo di apparire e diventare più moderato nei toni, resta una forza politica esterna al quadro repubblicano, socialdemocratico, e promette di travolgere il quadro istituzionale con una cohabitation molto conflittuale con e contro il presidente. (Riccardo Sorrentino, Il Sole 24 Ore)

«La sinistra sbanda, ferma a un’altra epoca. Ma di là c’è il male». Il filosofo Balibar: l’antisemitismo? Problema irrisolto. Possiamo temere il ritorno di violenze xenofobe contro immigrati e rifugiati. (Stefano Montefiori, Corriere della Sera)

Francia, viaggio a Henin-Beaumont, nella vetrina dell’estrema destra: crociate anti-migranti, telecamere ovunque e tante privatizzazioni. Nel comune di 26mila abitanti, nel profondo Nord, il Rassemblement National vince a valanga. L’opposizione: “Dietro la facciata presentabile, tagli ai servizi e razzismo”. (Daniele Castellani Perelli, Repubblica)

La prova (decisiva) di Le Pen. Marine, erede dei neofascisti francesi, sta per cogliere un successo che il padre Jean-Marie forse non si era neppure mai sognato. Ed è già pronta per la corsa verso l’Eliseo. (Corriere della Sera)

Biden tira dritto. L’allarme dei finanziatori, il partito in fermento. Per il leader weekend di raccolta fondi. Il nervosismo dei democratici in privato. (Andrea Marinelli, Corriere della Sera)

Joe Biden, un uomo in bilico. Il presidente preoccupa cancellerie e grandi media. alle cancellerie del Vecchio continente agli editori delle testate a stelle e strisce, passando per i grandi donatori della campagna Dem. Fa il giro di mezzo mondo il «partito delle dimissioni» che chiede a Joe Biden di fare un passo indietro per il bene degli Stati Uniti. Mentre il partito democratico fa quadrato attorno al presidente, forse più per un mero calcolo elettorale piuttosto che in segno di effettiva fiducia nei confronti del candidato Dem. «La lettura in Europa è che si è trattato di un disastro assoluto», chiosa il Wall Street Journal che riporta i timori di alcune cancellerie oltre Atlantico. Il primo ministro polacco Donald Tusk ha detto ai giornalisti che i democratici hanno un problema: «Temevo tutto questo». (Francesco Semprini, La Stampa)

Biden out, l’appello del Nyt e il pressing della Silicon Valley. Joe Biden, per servire il Paese, dovrebbe ritirarsi dalla corsa alla Casa Bianca. L’appello, accorato, è scattato dalle colonne del New York Times, dal suo editoriale. Un appello motivato da sferzanti e diffusi giudizi sulla performance di Biden nel primo, atteso dibattito contro Donald Trump, che ha portato drammaticamente alla ribalta tutte le preoccupazioni su un Biden troppo anziano e infermo. Il grande quotidiano progressista afferma che, se Biden rimarrà candidato, lo sosterrà. Ma ha messo nero su bianco le pesanti ragioni che lo spingono a chiedere che si faccia parte. Ragioni che oggi scuotono il Partito democratico: perché come «il presidente Biden ha ripetutamente spiegato, la posta in gioco alle elezioni di novembre e niente meno che il futuro della democrazia americana» minacciata da Trump, da quelle che denuncia come le sue menzogne e la sua agenda autoritaria, «piani dannosi per l’economia, per le libertà civili e per le relazioni con gli alleati». E però non è più Biden il candidato per questa missione. (Marco Valsania, Il Sole 24 Ore)

Kamala Harris. La vice «impopolare». Per i leader neri è l’unica alternativa. Il dem Clyburn e la tutela del voto afroamericano. Harris potrebbe rivelarsi una sfidante in grado di ridare un po’ di entusiasmo alla base. (Giuseppe Sarcina, Corriere della Sera)

Michelle Obama. Il sogno impossibile (ma «The Donald» la sta già attaccando). L’ex first lady non ha intenzione di entrare in politica. Si esporrebbe a un massacro mediatico senza avere la certezza di vincere. (Massimo Gaggi, Corriere della Sera)

Usa: ecco chi governa davvero dietro Biden. Vecchi amici. Collaboratori storici. Familiari. È la old school che circonda Joe Biden. È il cerchio magico che Biden consulta, quando deve prendere qualche decisione importante. Come candidarsi di nuovo alle presidenziali. Come (forse) ritirarsi dalle presidenziali. È tutta gente piuttosto in là con gli anni. È tutta gente che ha libero accesso al presidente e che ne condiziona le scelte. Godono di un raro privilegio: dire ciò che pensano in faccia a Biden, noto per non aver mai mostrato grande tolleranza per il dissenso. Alcuni di questi, Biden se li è portati a Camp David per prepararsi al dibattito con Donald Trump. Con i risultati che sappiamo. Il cerchio più ristretto, quello su cui Biden ripone la più assoluta fiducia, è composto di cinque persone. Due sono familiari. C’è anzitutto Jill Biden, sua moglie da 47 anni, la donna che Joe ama con passione, con cui ha diviso gioie e tragedie – dai successi elettorali a due aneurismi, alla morte per un cancro al cervello del figlio Beau – e con cui ha messo in piedi una vera e propria “ditta politica” (insegnante a un community college, è particolarmente ascoltata sulle questioni che riguardano l’istruzione). È stato il suo sguardo che Biden ha cercato subito, al termine del disastroso confronto con Trump. Lei lo ha raggiunto e rassicurato. “Sei stato bravissimo. Hai risposto a tutte le domande”. Jill si è quindi messa in viaggio, tre eventi nelle dodici ore post-dibattito, per rassicurare i finanziatori democratici che va tutto bene. (Roberto Festa, Il Fatto Quotidiano)

Maurizio Molinari su Repubblica: Notizie scomode e democrazia. La scelta del New York Times di chiedere a Joe Biden di rinunciare alla corsa alla rielezione alla presidenza degli Stati Uniti e l’inchiesta diFanpage su Gioventù Nazionale convergono nel sottolineare l’importanza del ruolo del giornalismo libero e indipendente per la salute di una democrazia: in entrambi i casi si tratta di notizie scomode che, una volta pubblicate, obbligano Paesi tanto simili quanto diversi, come Stati Uniti e Italia, a confrontarsi con realtà dolorose ma impellenti della vita pubblica.

Il pressing su Meloni: “Non strappi con la Ue”. Timore per i mercati e i conti pubblici. Dal Colle a Tajani a Giorgetti, spinta istituzionale e politica per evitare l’isolamento dell’Italia in vista del voto del 18 luglio su von der Leyen. (Tommaso Ciriaco, Repubblica)

Ogni mattina compulsiamo spasmodicamente ogni articolo sui negoziati europei a caccia di un indizio, una traccia, un segnale, una frase, un monosillabo, un cenno, un ammicco, un qualcosa purchessia che ci rassicuri sull’esito più naturale per i vertici dell’Ue: la carta Draghi e l’opzione Letta (nel senso di Enrico). A furia di leggerne sui giornaloni, ci abbiamo fatto la bocca. E gli elettori sono stati chiarissimi. Un sol coro dall’Italia al Baltico, dal Nord Europa alla Penisola iberica ai Balcani: “Mai più senza Draghi e Letta!”.Chi volete che avessero in mente gli italiani che hanno premiato la destra, i francesi che han votato Le Pen, i tedeschi arrapati dai popolari e dai neonazi, gli ungheresi filo-Orbán e gli altri popoli devoti ai sovranisti contro i tecnocrati di Bruxelles? Draghi e Letta. Anche Renzi, in tandem con la Bonino, era stato chiarissimo: “Voglio Draghi alla guida dell’Ue”, “Vorrei la maggioranza Mario”. E pure la Boschi: “Draghi al posto di Ursula”. E Calenda, perentorio: “Draghi presidente Ue? Io ci credo”. Il Corriere, sempre informatissimo, non aveva dubbi: “Draghi, un piano per l’Europa. (Marco Travaglio, Il Fatto Quotidiano)

Segre e le parole dei giovani FdI. «Sarò ancora cacciata da qui?». La senatrice: non ci si vergogna più di nulla. Donzelli: lei è un simbolo da rispettare. Ho seguito questa seduta, chiamiamola così, inneggiante anche a «Sieg heil», a questi moti nazisti che purtroppo io ricordo. (V. Pic., Corriere della Sera)

I video-dossier contro Fdi. Il giallo su nuove puntate. C’è altro materiale di Fanpage contro Gioventù nazionale, il movimento giovanile di Fratelli d’Italia. Il tutto dovrebbe essere diffuso con altre «parti» dell’inchiesta-video. Le puntate previste per le prossime settimane sono due, forse tre. Un centellinare che serve a tenere alta l’attenzione mediatica. E magari a provare a far saltare i nervi alla formazione partitica guidata dalla presidente del Consiglio. Del resto l’obiettivo di questa forma di «giornalismo sotto copertura» era anche quello di provare a colpire i dirigenti di Fdi. Operazione che comunque non è riuscita. Giovanni Donzelli, parlamentare e responsabile nazionale dell’organizzazione, ha ricordato come quanto subito da Gioventù nazionale non abbia precedenti nella storia della Repubblica. Nel frattempo, anche parecchi giuristi hanno preso posizione, tra questi i costituzionalisti Francesco Saverio Marini e Felice Giuffrè. Entrambi hanno espresso perplessità, per usare un eufemismo, sull’attività inchiestistica di Fanpage su Gn, in relazione alla deontologia professionale. (Il Giornale)

Autonomia in vigore dal 13 luglio. Parte la corsa del referendum. Calderoli annuncia: “Legge già operativa tra due settimane”. FI: “Vigiliamo sui Lep”. Al via il tavolo delle opposizioni. (Giovanna Vitale, Repubblica)

Gli altri temi del giorno

Teheran: guerra di annientamento se Israele attacca il Libano. Una «aggressione militare» di Israele al Libano scatenerebbe una guerra di «annientamento» contro Tel Aviv. È la minaccia lanciata sul suo account di X, il vecchio Twitter, dalla missione presso l’Onu dell’Iran. Teheran, a quanto si legge nel post, sta valutando tutte le «opzioni sul tavolo», incluso il «pieno coinvolgimento» del cosiddetto Asse di resistenza: la rete di alleati in chiave anti-israeliana dispiegata dall’Iran su scala mediorientale, un network di forze che include anche gli stessi miliziani libanesi di Hezbollah. A queste parole ha replicato il ministro degli Esteri israeliano Katz sottolienando che «un regime che minaccia la distruzione merita di essere distrutto». Il confine fra Israele e Libano ha rappresentato la prima espansione della guerra scoppiata lo scorso 7 ottobre in Medio Oriente, con un crescendo di attacchi che ha fatto vacillare Tel Aviv e Beirut sull’orlo di un conflitto aperto. Ora Teheran lancia un avvertimento sui rischi di nuove accelerazioni, accusando il «regime sionista» di condurre una «guerra psicologica». (Il Sole 24 Ore)

Iran, affluenza al minimo. Ballottaggio tra il riformista e il «martire» conservatore. Venerdì il (raro) secondo turno. Alle urne meno del 40%. (Andrea Nicastro, Corriere della Sera)

Intervista a Keir Starmer: “Da noi progressisti uniti le uniche risposte contro i populismi” Parla il leader Labour, favorito alle elezioni di giovedì per diventare premier britannico: “Guerre, clima, energia: ecco il mio fronte con gli altri partiti di centrosinistra in Europa. Sostegno inscalfibile a Ucraina. Non infondo speranza negli elettori? Falso. Ecco perché”. (Antonello Guerrera, Repubblica)

Intervista dal carcere con l’oppositore russo Ilja Jashin: “Il regime di Putin farà la fine dell’Urss”. Parla il prigioniero politico nel giorno del suo secondo compleanno in cella, dove sconta una condanna a otto anni e mezzo per aver parlato del massacro di Bucha: “Come Solzhenitsyn, ho una stupida, contraria alla logica, fede nella vittoria. L’Occidente non confonda il popolo russo col regime”. (Rosalba Castelletti, Corriere della Sera)

«La ristorazione cresce. Con il nuovo contratto stabilità ai lavoratori». «Superati gli 82 miliardi di valore, ma manca personale». La polemica sui prezzi praticati in autostrada? Non si considera che sosteniamo costi molto superiori a quelli di un bar in città. (Corriere della Sera)

La corsa ai microchip in Italia. Un mercato da oltre 100 miliardi. Anie: elettronica, esportazioni in aumento del 6,7%. Nell’hi-tech più di 1.100 imprese. (Francesco Bertolino, Corriere della Sera)

Latini (Coop) “Su frutta e verdura filiere corte e consumatori etici la strada per avere prezzi giusti”. (Rosaria Amato, Repubblica)

Arriva la Cig meteo ma è per pochi. Esclusi stagionali, braccianti e rider. Il protocollo anti calore salta per l’opposizione di Confindustria. Le Regioni si muovono in ordine sparso con le ordinanze per regolamentare gli orari. (Valentina Conte, Repubblica)

Contro il caro Rc auto scatola nera portabile “Aiuto alla concorrenza”. Installare la black box riduce i costi, ma limita il cambio di compagnia Il ministro Urso: “Almeno i dati dovranno essere subito trasferibili”. (Diego Longhin, Repubblica)

L’intervista a Giovanni Angelo Becciu. «Volevano annientarmi. Il processo è stato ingiusto, non sono un affarista». Il cardinale condannato: «La chiamata al Papa che registrai? Ero disperato». L’investimento per il palazzo di Londra? Ho seguito le indicazioni dei nostri uffici. (Massimo Franco, Corriere della Sera)

Schlein al Pride: Marina Berlusconi? Felice, ma destra indietro sui diritti. Milano, duetto della leader pd con Elodie. Gli organizzatori: in piazza oltre 350 mila persone. (Chiara Baldi, Corriere della Sera)

Da Gioventù nazionale al delitto di Pescara, quando le colpe sono degli adulti. È la generazione di mezzo il guasto che non abbiamo visto arrivare, che non sappiamo riparare. Il resto ne discende. (Concita De Gregorio, Corriere della Sera)

L’ossessione di Turetta per Giulia. Per 2 anni 300 messaggi al giorno. Padova, 225 mila invii. In uno lui diceva: così mi uccidi. Contestata l’aggravante di stalking. (Agostino Gramigna, Corriere della Sera)

Il Corriere intervista Max Giusti: «L’imitazione di De Laurentiis nata dagli incontri in vacanza. Crozza agli inizi mi boicottò». Il comico: feci infuriare Mastella, Biscardi invece mi adorava.

Repubblica intervista Mantovani: “A 76 anni ho scalato il Bianco e sogno ancora di fare scoperte importanti”. Sono stato

diverse volte in Africa e ho incontrato i veri medici: loro rappresentano la speranza. (Luca Fraioli, Repubblica)

Gli Anniversari

1994, Airbus precipita a Tolosa: 7 morti
1995, ultima puntata di Non è la Rai
1996, Margaux Hemingway scompare da Santa Monica
1997, pubblicato il primo capitolo di Harry Potter
1999, Boris Becker gioca la sua ultima partita
2005, riconosciuto in Spagna il matrimonio omosessuale
2002, il Brasile conquista il quinto Mondiale di calcio
2007, dopo 59 anni va in pensione il Totip
2009, Airbus precipita nell’Oceano Indiano: 153 morti
2017, muore a Parigi Simone Veil
2017, muore a Napoli Freddy Scalfati
2017, la Germania approva i matrimoni gay

Nati oggi

1920, Zeno Colò
1933, Lea Massari
1936, Tony Dallara
1953, Annamaria Testa
1956, Paolo Madron
1957, Silvio Orlando
1966, Mike Tyson
1985, Michael Phelps
1986, Allegra Versace

Si festeggiano i Santi Marziale, Teobaldo, Ladislao, Ottone

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