Le dinamiche di potere alla base del Medical Gaslighting

L’invisibilizzazione medica in Italia è un fenomeno sommerso che si basa su disuguaglianze sociali e può avere gravi conseguenze sulla salute fisica e mentale delle donne.

di Giulia Catricalà

Una giovanissima Ingrid Bergman è stesa sul letto e fissa con angoscia la lampada a gas che pende dal soffitto.

L’intensità della luce è sensibilmente diminuita? O sta accadendo tutto nella sua testa?

Questo dubbio porterà la protagonista, vittima delle sottili manipolazioni del marito, nel baratro della follia.

È il plot del thriller psicologico Gas Light, diretto da George Cukor e ispirato all’omonima opera teatrale di Patrick Hamilton, uscita nel 1938. Opera che ebbe un così forte impatto culturale da creare ex novo il termine Gaslighting, utilizzato per descrivere quel fenomeno di manipolazione che induce una persona a dubitare della sua stessa percezione.

Il marito della protagonista, infatti, abbassa abilmente l’intensità delle lampade a gas della loro abitazione, insistendo sulla circostanza che sia la moglie ad immaginarlo e convincendola di aver perso il senso della realtà.

Il dizionario Merriam-Webster definisce il Gaslighting come abuso o violenza psicologica per cui la vittima è portata a sospettare della validità dei propri pensieri e ricordi, andando incontro a instabilità mentale, perdita di fiducia e depressione.

Una strategia di sopraffazione che viene spesso praticata contro le donne e sembra essere avallata da costrutti socialmente diffusi come il topos della ragazza isterica o annoiata.

In tempi più recenti si è parlato, soprattutto negli USA, di “Medical Gaslighting” per indicare tutti quegli atteggiamenti di medici, infermieri e psicologi volti a sminuire i sintomi

dei pazienti, in particolar modo quelli lamentati dalle donne affette da patologie invisibili croniche, come l’endometriosi, la fibromialgia e le patologie autoimmuni.

Un tratto caratteristico di questa forma di abuso è l’attribuzione dei sintomi a disturbi psicosomatici, stress, noia o suscettibilità.

Il concetto sociale di invisibilizzazione nel contesto del sistema sanitario riflette, in verità, un’ampia dinamica di potere e disuguaglianza istituzionale. Il Gaslighting medico, infatti, scaturisce dal privilegio della competenza biomedica degli specialisti, che si impone sul racconto del paziente e invalida l’interpretazione delle esperienze individuali e la stessa percezione sensoriale.

Lo specialista, in virtù dell’esclusività dei suoi studi e del suo status sociale, sminuisce la narrazione del paziente che si trova a descrivere sintomi non facilmente diagnosticabili da test oggettivi.

Secondo lo psichiatra e ricercatore americano Timothy Lesaca, il professionista a cui ci rivolgiamo quando abbiamo bisogno di assistenza sanitaria rappresenta il “biopotere dell’istituzione medica” ed esercita quindi la facoltà di pronunciare “cosa è reale e cosa non lo è”.

Come afferma Lesaca nei suoi studi pubblicati su ResearchGate “partendo dal costrutto gerarchico secondo cui la scienza è il verdetto finale, il medico può fare una dichiarazione interpretativa della realtà per la quale il paziente ha opzioni molto limitate da confutare.”

In questo tipo di relazione il paziente si trova, infatti, sotto scacco di una verità presentata come indiscutibile e ha pochissimo margine per praticare una forma di resistenza dinnanzi alle dichiarazioni abusanti, ciò accade sia perché il medico è socialmente percepito come “superiore” sia perché l’invalidazione del dolore e la sua attribuzione a disturbi mentali comporta vergogna e senso di colpa, emozioni che inducono la vittima della malpractice a non denunciare tempestivamente l’accaduto.

Numerosi studi pubblicati su PubMed confermano che molte donne preferiscono curarsi da sole e rinunciano a un migliore stato di salute piuttosto che subire nuovamente atteggiamenti di ridicolizzazione e invisibilizzazione da parte del personale sanitario.

Questo meccanismo è alla base dei pesanti ritardi diagnostici e degli elevati costi sociali di numerose patologie femminili e viaggia di pari passo con il Gender Pain Gap, fenomeno per cui le donne vengono credute meno rispetto agli uomini quando lamentano dolore fisico.

Il sito MedCrave riporta come conseguenze a lungo termine dell’invisibilizzazione medica numerosi disturbi, tra cui attacchi di panico, depressione e disturbo post-traumatico da stress.

La dottoressa Sarah Fraser nel suo articolo pubblicato su PubMed “The toxic power dynamics of Gaslighting in Medicine” scrive che subire invisibilizzazione medica “può essere peggiore che vivere un abuso fisico”. Mentre in America c’è molta consapevolezza sul Medical Gaslighting e le associazioni di pazienti si impegnano continuamente ad abbattere queste forme di sopraffazione, gli ospedali italiani registrano un importante ritardo culturale nei confronti del dolore cronico e l’invisibilizzazione resta un fenomeno sommerso di cui si parla ancora troppo poco. Sui social, invece, sono nate pagine di denuncia dove le attiviste raccontano le loro storie di Medical Gaslighting. L’invalidazione del dolore da parte del personale sanitario mette in pericolo la salute fisica e mentale delle donne e può distogliere l’attenzione da patologie invalidanti che meritano cure adeguate.

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