L’Hamas di Sinwar è più estremista e filoiraniana

  La fazione più estremista di Hamas ha preso il sopravvento dopo la nomina al vertice di Yahya Sinwar. Ritenuto l’architetto del 7 ottobre, il nuovo leader del movimento, subentrato a Ismail Haniyeh rimasto ucciso nel recente attacco di Israele a Teheran, tra tutti i capi del movimento è ritenuto il più vicino a Teheran, la cui influenza è dunque destinata a crescere a discapito della possibilità di arrivare in tempi brevi a un accordo per il cessate il fuoco e alla fine di una guerra che ha ormai provocato oltre 40 mila vittime. Per questo o negoziatori riuniti a Doha, come riferisce l’Economist, spingevano invece per Khaled Meshaal o un’altra figura moderata che avrebbe potuto controbilanciare l’autorità interna di Sinwar, che, da quando è stato eletto nel 2017 a capo dell’ufficio politico di Gaza, uno dei tre regionali, nel 2017, ha centralizzato il potere emarginando i rivali politici all’interno del movimento.

La sua nomina, che preoccupa non poco i mediatori, è comunque tecnicamente solo temporanea e si protrarrà  fino a quando non potranno tenersi le elezioni, che sono previste per il prossimo anno, ma che se non cesserà il conflitto verranno inevitabilmente rinviate.

Sinwar, nato nel 1962, nel campo profughi Khan Yunis, ha studiato all’Università islamica di Gaza e parla un arabo elegante e coranico, si muove nei tunnel di Gaza e a lui è attribuita la frase riferita agli ostaggi “strapperemo loro i cuori dal petto”.  Bollato come terrorista dagli Stati Uniti, è ritenuto il responsabile del rapimento e dell’uccisione di due soldati israeliani e quattro palestinesi collaborazionisti, e per questo è stato condannato dalla giustizia dello stato ebraico a quattro ergastoli, pena  di cui ha scontato 22 anni fino al suo rilascio nell’ottobre del 2011, insieme ad altri 1.026 prigionieri palestinesi, in uno scambio avvenuto per liberare Gilad Shalit, un soldato israeliano rapito nel 2006.

Hamas, movimento sunnita, che ha sempre avuto un rapporto tormentato con l’Iran, che è shiita, con Sinwar potrebbe riavvicinarsi a Teheran come non mai e superare lo strappo che si è consumato nel 2011 quando durante la  guerra civile in Siria si schierò con l’opposizione a Bashar Assad, sostenuto dal regime degli Ayatollah.

Meshaal, che all’epoca era il leader di Hamas, chiuse la sede centrale del movimento a Damasco nel 2012. Trascorse gli anni successivi cercando di coltivare legami con le potenze arabe sunnite: nel 2015, ad esempio, fece una rara visita in Arabia Saudita per incontrare re Salman. Alcuni leader di Hamas sostennero il suo sforzo, sperando che il Golfo avrebbe fornito loro investimenti e legittimità politica. Altri preferirono ricucire i loro rapporti con l’Iran. Meshal, sottolinea l’Economist, nel 2017, promosse la revisione dello statuto del movimento aprendo alla possibilità di accettare la soluzione a due stati, in questo battendosi con tutte le sue forze contro Sinwar, la cui ascesa oggi rischia di compromettere le relazioni tra Hamas, i paesi del Golfo, ma anche la Turchia e il Qatar. Con lui alla guida del movimento , secondo molti osservatori, la pace è sicuramente più lontana.

Associated Medias  (Tutti i diritti riservati)