Libri: In “Ecologista a chi?” Roberto Della Seta spiega cosa serve per salvare il pianeta

di Annachiara Mottola di Amato

Lecologismo oggi deve abbandonare loriginaria impostazione di generalizzata intransigenza e puntare, con consapevole concretezza, al risultato: la salvezza del pianeta. A questo tema dedica il suo nuovo libro Ecologista a chi? (Salerno editore) Roberto Della Seta, ecologista convinto dai primi anni 80, presidente di Legambiente dal 2003 fino al 2007 e attualmente direttore del Festival dellEconomia Circolare.

Quella di Della Seta è una passione civile nata quasi per caso a cui decide poi di dedicare tutta la vita. Da sempre pacifista trascorre i 20 mesi del servizio da obiettore di coscienza, alternativi al servizio militare, nellallora Lega per Lambiente, poi diventata Legambiente. Il suo impegno nellassociazione, considerato inizialmente temporaneo, diventa lasse centrale della sua esperienza politica. Prima responsabile per lambiente nel PD di Walter Veltroni, poi capogruppo nella Commissione Ambiente del Senato e, infine, fondatore del movimento Green Italia, conosce a fondo i meriti e le mancanze del movimento ecologista italiano e del suomodo di fare politica.

Nella sua ultima opera si concentra, infatti, proprio su questo, fino ad arrivare ai tempi più recenti: dopo aver ripercorso le tappe storiche dellambientalismo in Italia e averne messo in evidenza luci ed ombre punta il dito sulle ambiguità che persistono ancora oggi e che impediscono alle istanze ecologiste di porsi come motore di un reale cambiamento per il Paese.

Si parla, ad esempio, dellascesa e del tramonto dei Verdi in Italia. Sebbene, infatti, furono tra i primi partiti ambientalisti a nascere in Europa, secondi solo ai tedeschi, la loro spinta propulsiva fu  presto bloccata a causa di un insieme di fattori. In primis in Italia, a differenza che in Germania,  lassociazionismo era tradizionalmente più forte e il partito dei Verdi, quindi, non si dimostrò capace di accentrare tutte le istanze ambientaliste provenienti da mondi fra loro molto diversi. A questo si aggiunse lincapacità del partito di costruire alleanze trasversali. Anche oggi, sostiene Della Seta, il sistema politico italiano risente di questa assenza  di rappresentanza delle istanze ambientaliste e, se anche il pensiero ecologista da minoritario è diventato maggioritario , non si intravede ancora una capacità di rappresentare politicamente questa più diffusa sensibilità per i temi ambientali. LItalia , dove una concorrenza a livello politico sui temi ambientali non c’è mai stata,  è indietro rispetto a Paesi come la Germania  in cui la questione ambientale è centrale nei programmi politici dei partiti democristiani e socialdemocratici.

Per questo per Della Seta, lecologismo oggi , se vuole essere vincente, deve essere allaltezza delle nuove sfide e per superare queste sfide deve superare alcuni antichi pregiudizi. Uno di questi nodi è la  nota diffidenza per la scienza e il progresso.  Proprio la tecnologia e il progresso  sarebbero, infatti, responsabili dello sfruttamento  intensivo  della natura. Di qui quella posizione preconcetta di alcuni ambientalisti nei confronti della scienza. Eppure, sostiene della Seta, è proprio nella conoscenza scientifica che dobbiamo confidare per trovare le soluzioni più idonee al problema climatico. Abbiamo, infatti, bisogno di tanta tecnologia per superare i rischi che la crisi climatica comporta. Per accompagnare la transizione ecologica diventa allora indispensabile cominciare a dire qualche sì. Si agli impianti eolici in mare aperto, si agli impianti fotovoltaici , anche  sui tetti dei capannoni, sì agli impianti di trattamento dei rifiuti. Della Seta disegna dunque un ecologismo al passo con i tempi che rifugga anche dalla costruzione utopica di  un mondo organizzato in piccoli gruppi quasi autarchici in cui cui non c’è posto per capitalismo e globalizzazione. Unipotesi irrealistica che costituisce per lautore uno dei limiti che va superato.

Sul nucleare, tuttavia, Della Seta continua a prefigurare al momento difficoltà insuperabili. Sebbene, infatti, i costi di produzione dellenergia sarebbero notevolmente più bassi, quelli di investimento e di disinvestimento sarebbero enormi.

Il nucleare attuale, a suo giudizio, non avrebbe futuro e percorrere questa strada oggi significherebbe soltanto distrarre lattenzione dalle  fonti di energia rinnovabili nelle quali lItalia avrebbe enormi potenzialità. Lo sviluppo di tali risorse rinnovabili, frenato oggi da molteplici ostacoli burocratici, costituisce, in questa prospettiva, lunica strada percorribile per affrancarsi dalla dipendenza dal gas e dal sempre possibile ricatto energetico conseguente a crisi internazionali quale quella legata allattuale crisi russo ucraina.