Medio Oriente: l’Arabia Saudita vero ago della bilancia, sempre più pronta a prendere il ruolo del “dominus” pacificatore

In futuro il Regno dei Saud potrebbe essere il vero terzo vincitore del conflitto tra Israele e Iran, giocando ad esempio un ruolo chiave nella ricostruzione di Gaza, con il bene placido degli americani, e ritagliandosi la parte del dominus pacificatore

In ogni disputa c’è sempre una terza parte che ne trae vantaggio. Nella guerra tra Russia e Ucraina ad averne vantaggi evidenti è stata la Cina, che si è trovata da un lato Mosca pronta a consegnarsi perché bisognosa di aiuti, dall’altro tutto il blocco occidentale costretto ad impegnarsi nel conflitto al fianco di Kiev, con tutto ciò che ne consegue sia in termini economici che militari (e in questo senso un pensiero non può che andare anche alla questione militare del Pacifico dove prima della guerra ucraina gli Usa premevano con forza). Ed in Medio Oriente chi è che si sta avvantaggiando del conflitto tra Israele, l’Iran e i fiancheggiatori terroristici di quest’ultima (Hezbollah e Hamas)? Tra questi litiganti il terzo che gode, se così si può dire, è certamente l’Arabia Saudita.

Se si guarda con attenzione al recente clima di esultanza seguito alla morte di Hassan Nasrallah, il capo indiscusso di Hezbollah, ucciso in Libano da Israele, si comprenderà come il malcelato tripudio metta in luce una profonda e storica frattura all’interno del mondo arabo-musulmano: quella appunto tra gli sunniti guidati in larga parte proprio dai sauditi e sciiti che invece sono prevalentemente iraniani. Questa divisione, presente da oltre quarant’anni, appare oggi più rilevante delle tensioni tra Israele e gli arabi, che, di fatto, sembrano passare quasi in secondo piano. Gli stati arabi, come ha sottolineato in una recente intervista al Corriere della Sera Frédéric Encel, professore di geopolitica a Sciences Po, temono molto di più l’asse sciita rappresentato da Iran e Hezbollah rispetto a Israele.  Ed una dimostrazione di ciò è stata la reazione militare di diversi Paesi arabi a difesa di Israele, colpita dai missili iraniani si lo scorso aprile che nei giorni scorsi.

A questo si aggiunga che oggi, l’Iran appare se non con le spalle al muro almeno in una situazione di isolamento e di difficoltà. Ha risposto il massimo delle sue capacità militari, ma difficilmente potrà fare di più. La stessa Cina non sembra interessata a seguire Teheran sulla via dell’escalation contro Gerusalemme. Dunque questo squilibrio di potere ha creato nuove opportunità di alleanza tra i Paesi arabi sunniti e Israele, accelerando una dinamica che prima dell’attentato del 7 settembre 2023 era già delineata e ben in atto.

Nella complessa scacchiera mediorientale, martoriata da guerre e attentati terroristici da tempo immemore, chi perde in capacità militare, perde inevitabilmente anche in influenza politica. Le sconfitte subite da Hezbollah hanno così portato molti sunniti a celebrare nelle strade, e persino alcuni esponenti libanesi iniziano ora, come riferiscono vari osservatori internazionali, a mettere in dubbio il sistema che ha permesso a Hezbollah di dominare una parte del Libano. Un cambiamento nei rapporti di forza è insomma possibile ora più che mai, non solo lungo la frontiera israelo-libanese ma anche guardando la penisola arabica.

Del resto è evidente che il massacro del 7 ottobre è stato ordito anche, se non proprio, per costringere Ryiad ad interrompere la spinta diplomatica che la portava sempre di più verso Israele. Come è altrettanto evidente che negli ultimi sviluppi del conflitto tra Iran e Israele, una coalizione, invisibile ai più che mai reale, di Paesi arabi, tra cui Arabia Saudita e Giordania, ha giocato un ruolo cruciale nel difendere Israele dagli attacchi iraniani. Questi Paesi, storicamente ostili a Israele, hanno infatti fornito intelligence, supporto radar e permesso l’uso del loro spazio aereo da parte di jet statunitensi. Questo, senza alcun dubbio, segna un punto di svolta nelle relazioni geopolitiche della regione, dove l’Iran è percepito come la minaccia principale, più di Israele stesso.

Lo stesso principe saudita Mohammed bin Salman (MbS) ha riconosciuto pubblicamente che il pericolo maggiore per il suo regno non è Israele, ma l’espansionismo iraniano, attivo nel sostegno ai ribelli Houthi in Yemen e nei frequenti attacchi a infrastrutture vitali saudite. Questo ha portato MbS ad allentare le tensioni storiche con Israele, considerandolo addirittura un modello di sviluppo economico e tecnologico. Il crescente avvicinamento tra i due Paesi, sancito dagli Accordi di Abramo del 2020, ha subito, come ricordavamo, una battuta d’arresto proprio a causa dell’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, che ha sollevato forti reazioni anche nell’opinione pubblica araba.

Nonostante la pausa diplomatica causata dalla crisi a Gaza e da quella libanese, l’Arabia Saudita insomma rimane fermamente posizionata a fianco degli Stati Uniti e continua a considerare l’Iran come il suo principale nemico. In futuro dunque il Regno dei Saud potrebbe essere il vero terzo vincitore del conflitto tra Israele e Iran, giocando ad esempio un ruolo chiave nella ricostruzione di Gaza, naturalmente con il beneplacito degli americani, e ritagliandosi la parte del dominus pacificatore.

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