di Ennio Bassi
Partono i mondiali in Qatar tra cammelli, balli, luci e l’enorme mascotte con la kefiah araba mandata in volo. Partono anche con sul palco un inatteso Morgan Freeman che ne diventa testimonial, senza capire bene il perché sia toccato proprio a lui metterci la faccia (le sue ragioni di possono intuire quelle dei danti causa di meno). E partono malissimo per i padroni di casa che nella partita inaugurale rimediano un sonoro 2 a 0 dall’Ecuador. Prender e portare a casa, che è vicina.
Tifosi finti, scarsa attenzione mediatica, polemiche per l’assegnazione. Sia come sia questo è il primo Mondiale autunnale, il primo in un Paese mediorientale, il primo in un deserto, l’ultimo a 32 squadre e probabilmente l’ultimo per due star di assoluta grandezza, giocatori che hanno segnato la storia del calco, vale a dire Cristiano Ronaldo e Lionel Messi. Tutte cose che nel bene e nel male, più il secondo che il primo per la verità, faranno di questa comunque una edizione memorabile.
Indimenticabile in senso negativo lo è anche per L’Italia, per la seconda volta di fila rimasta fuori dalla quella che è unanimemente considerata la principale manifestazione calcistica internazionale. Un record pessimo che resterà impresso nella memoria collettiva nazionale e che crea un vero e proprio buco nella memoria delle nuove generazioni calcistiche nazionali.
L’unica conclusione possibile per ora (vale soprattutto per il Quatar ma anche per gli azzurri) è che con i soli soldi non si vince niente. Il petrolio è stata la fortuna di questa altrimenti poverissima area del mondo, da tanti vantaggi e privilegi ma un pallone che rotola tra le gambe di ragazzi muscolosi non sempre segue il flusso dei danari. Ci vuole un mix di talento, passione, tradizione, volontà, risorse e fortuna. Tante cose difficili da mettere insieme. Vedremo come andrà a finire.
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