Il dossier Maputo pare destinato ad arrivare sulla scrivania di Giorgia Meloni, la cui politica estera ha al centro quel Piano Mattei per l’Africa che vede proprio il Mozambico come uno dei principali punti d’interesse

di Guido Talarico
Il Mozambico sta vivendo una crisi politica e sociale sempre più profonda, con il conteggio dei voti delle elezioni generali del 9 ottobre scorso che prosegue ancora a ritmo lento, con una trasparenza sempre più discutibile e con la pronuncia dell’avocata Corte Costituzionale attesa forse per Natale. Intanto per le strade la situazione si fa sempre più difficile con scontri, blocchi e chiusure di circolazione. Il nostro corrispondente da Maputo (i giornalisti stranieri al momento hanno difficoltà ad entrare) ci parla di una situazione dagli esiti imprevedibili. In questo scenario confuso e che rischia di degenerare ulteriormente un ruolo di mediazione potrebbe averlo proprio l’Italia che 32 anni fa, grazie anche alla Comunità di Sant’Egidio, portò agli Accordi di Pace di Roma che fino a ieri hanno retto, garantendo a questa ex colonia portoghese un lungo periodo di vita democratica e di relativa prosperità.
Il possibile ruolo di mediazione che potrebbe toccare al nostro Paese ha dunque radici storiche, ma soprattutto ha ragioni economiche. In Mozambico ci sono in ballo interessi enormi che vedono in prima linea giganti a controllo pubblico come Eni e Saipem, seguite da tante altre realtà come Nuova Pignone, Bonatti, Renco o Group Leonardo (che è un’azienda di servizi, non il nostro colosso della difesa). Non a caso negli ultimi due anni in Mozambico sono andati in visita di stato tanto il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che la Premier Giorgia Meloni. Tutto questo lascia pensare che sia proprio Roma a dover riprendere il filo della matassa e provare a rimettere insieme un sistema democratico che era già fragile ma che dopo l’ultimo voto rischia di fare ripiombare il paese nel caos. A questo proposito alcune fonti sostengono che ci sarebbero già una serie di tentativi sia di natura diplomatica che di matrice imprenditoriale posti in essere per chiamare in campo Roma prima che sia troppo tardi. Nei prossimi giorni ne dovremmo sapere di più. Intanto vediamo di capire come stanno le cose oggi in Mozambico.
Cominciamo dalle denunce di manipolazioni elettorali che ormai sono all’ordine del giorno, con molti, soprattutto tra gli osservatori internazionali, pronti a giurare che il partito al governo, il Frelimo, questa volta abbia superato ogni limite. Certo non è la prima volta che i processi elettorali di questo paese sud africano sono segnati da brogli e irregolarità. Anzi la storia dice che le elezioni in Mozambico sono state in maggioranza contraddistinte da manipolazioni su larga scala. Cosa che per altro accade in moltissime delle democrazie che compongono il continente giovane, Già nel 1999, durante le seconde elezioni democratiche, il leader dell’opposizione Afonso Dhlakama denunciò una clamorosa falsificazione dei risultati, dopo aver probabilmente vinto contro il presidente uscente Joaquim Chissano. Un copione simile si ripeté nel 2014, e la situazione sembrava destinata a ripetersi anche nelle ultime amministrative del 2023. Ma oggi la situazione è ben diversa: le opposizioni hanno a disposizione strumenti tecnologici avanzati per monitorare i risultati in tempo reale. E li hanno utilizzati.
Conteggio parallelo e trasparenza digitale
A Maputo, Venâncio Mondlane, candidato di Podemos e principale sfidante di Daniel Chapo del Frelimo, ha allestito un centro di conteggio parallelo che raccoglie i verbali originali di ogni seggio. Da Maputo ci raccontano che i dati, inclusi i verbali firmati dai presidenti di seggio, vengono caricati sul web e resi consultabili da chiunque. Grazie a questo sistema, Mondlane ha dichiarato di essere in vantaggio con una maggioranza assoluta di circa il 53%, mentre Chapo risulterebbe fermo al 40%. Al contrario, la Commissione Nazionale delle Elezioni (CNE) ha proclamato Chapo vincitore, con un margine superiore al 60%, attirandosi addosso pesanti accuse di frode. Si parla anche di voto di scambio, con gruppi di africani di altra nazionalità che avrebbero votato per il Frelimo in cambio di denaro. In diversi seggi sarebbero stati rinvenuti verbali falsificati, che attribuivano più voti al candidato del partito di governo di quanto fosse possibile, arrivando a scoprire vere e proprie “centrali di brogli” pronte a sostituire i voti reali con quelli manipolati.
Le critiche degli osservatori internazionali
Le irregolarità non sono sfuggite agli osservatori internazionali. Il rapporto preliminare di Kenny Anthony, ex primo ministro di Saint Lucia e capo della missione di osservazione elettorale del Commonwealth, ha sottolineato l’inaffidabilità degli organi preposti al conteggio dei voti. Anche l’Unione Europea ha segnalato gravi anomalie nel processo elettorale, mettendo in dubbio la legittimità dei risultati. Nel frattempo, la Procura generale della Repubblica ha intimato a Mondlane di aspettare i risultati ufficiali, invitandolo a non incitare la popolazione alla rivolta. Ma la risposta del Frelimo è stata silente, così come quella di Daniel Chapo, che non ha ancora commentato le accuse di frode. Un silenzio che in qualche modo parla da solo.
Uno scontro ineluttabile?
Il clima politico si sta facendo così sempre più teso. Mondlane ha annunciato che non farà passi indietro e rivendica il suo diritto a essere proclamato presidente della Repubblica. Il 21 ottobre ha indetto un primo sciopero generale per protestare contro quelli che considera brogli inaccettabili. La sua base di supporto, mobilitata principalmente sui social media, ha lanciato un appello per la cacciata del Frelimo, rivendicando una “dignità collettiva” che, secondo loro, è stata persa sotto il governo del partito di Chapo.
In risposta alla crescente tensione, figure come Manuel de Araújo, sindaco di Quelimane, e leader della Renamo, sono in Europa per cercare di raccogliere prove concrete sui brogli e sensibilizzare l’opinione internazionale. Altri hanno avviato petizioni per chiedere l’annullamento delle elezioni e la convocazione di nuove consultazioni, mentre intellettuali come il filosofo Severino Ngoenha invocano un appello alla calma e all’unità nazionale.
Un paese sull’orlo del precipizio
Il Mozambico si trova quindi sull’orlo di una crisi senza precedenti, con pochi soggetti in grado di mediare tra le due parti in conflitto. La situazione – come hanno fatto notare vari osservatori – potrebbe evolversi verso uno scenario simile a quello della Venezuela, con la popolazione divisa e le richieste individuali che prevalgono su quelle collettive, o, per restare in Africa, come in Etiopia dove le varie etnie continuano a restare violentemente contrapposte lacerando il paese. Tuttavia, un numero crescente di cittadini sembra aver abbandonato le cautele di un tempo e i legami con la vecchia guardia rivoluzionaria, seguendo, soprattutto tra i giovani, il movimento di Mondlane.
Il ruolo dell’Italia per una mediazione
Il governo del Mozambico e la comunità internazionale si trovano ora di fronte a una scelta cruciale: intervenire per evitare il peggio, o lasciar precipitare il paese in un conflitto che potrebbe segnare un punto di non ritorno per il futuro della nazione. Ed è qui che l’Italia, 32 anni dopo gli Accordi di Pace di Roma, sottoscritti grazie al fondatore di Sant’Egidio Andrea Riccardi e l’attuale cardinale Matteo Maria Zuppi, potrebbe tornare di nuovo in campo. Il Governo di Roma ha la credibilità politica, il consenso internazionale e la forza economica per mettere le parti avverse intorno ad un tavolo e negoziare una soluzione che porti via il Paese da una nuova guerra civile. Intorno ai giacimenti di gas del Mozambico si gioca di fatto il destino di un intero popolo e il futuro di tutta l’area. E questa partita ce l’hanno in mano Eni, Saipem, come anche Total ed Exxon. Ma Francia e Usa non sembrano oggi in grado di avere peso e modi d’intervenire in questa area geografica. Ecco perché il dossier Mozambico pare destinato ad arrivare sulla scrivania di Giorgia Meloni, la cui politica estera, è bene ricordarlo, ha per cuore quel Piano Mattei per l’Africa che vede proprio il Mozambico come uno dei principali centri d’interesse.
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