Nigeria. Bola Tinubu proclamato presidente tra proteste e tensioni

La Nigeria ha un nuovo presidente. Bola Tinubu, candidato del partito al governo Apc,  è stato ufficialmente proclamato dalla Commissione elettorale nazionale indipendente (INEC) vincitore delle elezioni che si sono tenute nel paese il 25 febbraio (con una coda il 26 in alcune cittá) tra tensioni e proteste, assalti armati alle postazioni elettorali e pesantissimi disguidi nel nuovo sistema elettronico di identificazione.

Settant’anni, la nuova guida del “Leone africano” ha ottenuto la maggioranza dei voti con il 37% delle preferenze contro il 29% del suo principale rivale Atiku Abubakar del Partito democratico popolare , e il 25% del laburista Peter Obi, che hanno entrambi respinto l’esito del voto, definendolo una farsa e annunciando ricorso in tribunale. A scendere in campo nei giorni scorsi contro le modalitá di svolgimento delle elezioni era stato anche Olusegun Obasanjo, predecessore del presidente uscente Muhammed Buhari, che aveva denunciato i pericoli ai quali la fragile democrazia nigeriana rischia di andare incontro e rivolto un appello a ripetere il voto laddove non si è svolto correttamente.

Tra i politici più ricchi ma anche piú controversi della Nigeria, Tinubu ha fatto campagna elettorale nel segno dello slogan “Emi lo Kan”, che significa in yoruba  E’ il mio turno”, promettendo all’intera Nigeria, quell’impulso che si vanta di aver impresso quando era governatore (1999 2007)  a Lagos, la cittá stato piú grande del paese, che peró paradossalemente non lo ha votato preferendogli l’outsider Obi, amatissimo dalle fasce piú giovani della nazione, protagoniste delle proteste in atto nel paese.

In questo scenario, il “padrino”, come il nuovo presidente viene chiamato avrà il difficilissimo compito di rimettere in moto il paese. La Nigeria versa in una situazione particolarmente difficile,  afflitta com’è  da povertá, profonde diseguaglianze e da un forte rallentamento della  crescita, crollata dopo il 2014 a causa del calo del prezzo del greggio sulle cui entrate si fonda l’economia del paese che nonostante sia il principale produttore di petrolio dell’Africa Subsahariana, è paradossalmente costretto a importare l’80% del suo fabbisogno di carburante. Il governo non si è mai interessato di diversificare le risorse e ha trascurato welfare e infrastrutture, per realizzare le quali occorrerebbero, secondo gli analisti,  investimenti per 3 mila miliardi di dollari da qui fino al 2050.

Ad aggravare lo scenario, prima la pandemia e poi la  guerra in Ucraina, che hanno provocato un forte aumento dei prezzi dei beni di prima necessitá con un’impennata dell’inflazione, che è schizzata al 21%, e della disoccupazione, salita al 33, 3%, dieci punti in piú in quattro anni. A tutto ció va ad aggiungersi una diffusa instabilitá e mancanza di sicurezza, che dal nord del paese, dove il presidente Buhari si è trovato costantemente a dover fare i conti con i jihadisti di Boko Haram e dell’Iswap, l’Isis locale, sta contagiando gli stati del centro e del  sud, dove il nuovo pericolo è rappresentato dai pastori nomadi fulani, (il termine Fulan significa “uomo libero”), impegnati nella sigla di inquietanti alleanze con gli islamisti, di cui sono i principali fornitori di quelle armi di fabbricazione russa, che viaggiano lungo le loro stesse rotte.