Nel nuovo libro “Ritrovare l’umano. Perchè non c’è sostenibilità senza Health, Human e Happiness”, edito da Baldini e Castoldi – la Nave di Teseo, la proposta di una riforma dei criteri ESG per una sostenibilità umanistica
di Camilla Dacrema
H sta per Health, Heart, Happiness. Sta per Human, sulla scia di quell’umanesimo che viene dal Rinascimento. E’ una raffinata operazione intellettuale quella di Stefano Lucchini, Chief Institutional Affairs and External Communication Officer di Intesa Sanpaolo, e Massimo Lapucci, Manager e Senior Advisor, International Fellow su Artificial Intelligence dell’Università di Yale. Nel libro ‘‘Ritrovare l’umano. Perchè non c’è sostenibilità senza Health, Human e Happiness ”, edito da Baldini e Castoldi – La Nave di Teseo, i due autori propongono un nuovo parametro, quello dell’umano, per la valutazione della sostenibilità dell’economia.
H è quella di Humanitas, un concetto forgiato a Roma nel I secolo a.c., che significa rispettare l’uomo in ogni uomo. Non una cosa d’altri tempi, se consideriamo che per gli antichi ‘humanitas’ si contrappone a ‘civitas’: nella crisi dell’impero romano, si smise di concepire la dignità dell’essere umano a partire dal suo essere cittadino, e si iniziò a definire l’umanità come portatrice di un valore intrinseco che, secoli dopo, sfocerà nei diritti umani. Con l’editto di Caracalla, che estendeva la cittadinanza romana a tutte le comunità dell’impero, Roma riuscì a realizzare la sintesi tra l’esperienza municipale delle città-stato occidentali e quella ecumenica degli imperi orientali. L’humanitas è il frutto di questa sintesi, come la famosa espressione di Terenzio ‘homo sum, humani nihil a me alienum puto’. Con le rispettive differenze tra epoche tanto lontane, anche la tesi di Lucchini e Lapucci nasce in un tempo, il nostro, in cui si agitano il cambiamento climatico, il cambiamento degli equilibri geopolitici, lo shock della rivoluzione tecnologica e digitale, l’avvento dell’intelligenza artificiale applicata a tutti i campi dell’attività umana, la transizione energetica e altri profondi movimenti della storia di cui siamo testimoni. Tempi che fanno riflettere sulla consapevolezza dell’umano, come sottolinea Sebastiano Maffettone nella prefazione.
La parola chiave, ad oggi, è sostenibilità. La sostenibilità è la caratteristica che ha un’azione, tale per cui non è compromessa la sua realizzabilità futura. Nato nelle scienze naturali e introdotto alla prima conferenza ONU sull’ambiente nel 1972, il concetto di sostenibilità ha presto travalicato i suoi confini per diventare il paradigma dello sviluppo stesso, il metro in base al quale il progresso viene misurato.
La sostenibilità è divenuta così un criterio anche per gli studi sull’economia e la società. Nelle scienze naturali, un ecosistema è sostenibile quando è capace di autoregolarsi grazie alla sua stabilità interna che non è compromessa, ad esempio, dallo sviluppo delle attività umane. Nelle scienze economiche, la sostenibilità associa al parametro tradizionale del PIL criteri più ampi, come la qualità della vita e il benessere sociale che un sistema economico è in grado di garantire alle generazioni presenti e future.
Tale allargamento porta a una vera e propria rivoluzione nella teoria dell’impresa: la ‘stakeholder theory’, formulata negli anni ’70 da studiosi e filosofi tra cui Thomas Donaldson e Lee Preston alla Wharton Business School della University of Pennsylvania, è l’applicazione più concreta della sostenibilità in ambito economico. Essa consiste nel superamento della visione classica dell’impresa, improntata alla verticalità del rapporto tra azionisti (in inglese, ‘shareholders’) e dipendenti, ad una prospettiva orizzontale per cui l’azienda viene definita a partire dai portatori di interesse (‘stakeholders’). Questi sono tutti coloro che a vario titolo sono coinvolti nell’attività dell’impresa: l’ambiente, le comunità locali, il benessere sociale, la qualità della governance, l’impatto che l’impresa produce in vari ambiti oltre a quello economico.
Poiché questi fattori vanno misurati, dalla stakeholder theory sono nati gli ESG: acronimo di Environmental (ambiente), Social (sociale), Governance (gestione), essi sono i tre pilastri in base ai quali l’attività delle aziende viene oggi valutata e comparata. L’anno scorso all’Università Luiss abbiamo organizzato, insieme allo Zicklin Center della Wharton Business School, con Valentina Gentile e l’Osservatorio Ethos, fondato e diretto da Sebastiano Maffettone, la Joint Conference “Assessing the ESG Movement. Ethical reflections on ESG and its impact on business”. Abbiamo discusso con i più autorevoli esperti internazionali di ESG sull’evoluzione di questo pensiero, che oggi è al centro di un grande dibattito. A livello sociale e politico, gli ESG vengono difesi in ambito progressista, che li considera la valida riforma di un capitalismo che ha mostrato le sue contraddizioni e i suoi disastri. Dall’altro lato, i conservatori sono più scettici sulla validità di questa riforma e tendono a considerare gli ESG come un velo di ipocrisia, sotto al quale resterebbero intatte le precedenti dinamiche di sfruttamento e di pura ricerca del profitto. Su questo sfondo, la nuova frontiera degli ESG riguarda la possibilità di definire parametri quantitativi sulla base dei quali realizzare comparazioni. In breve, la sfida è quella di misurare la qualità.
Inizialmente gli ESG erano appannaggio delle grandi aziende. Da quando l’Unione Europea ha stabilito che, a partire dal primo gennaio 2025, tutte le aziende europee hanno l’obbligo di presentare il bilancio di sostenibilità oltre al bilancio economico, anche le PMI sono coinvolte in questo processo di trasformazione. Ecco allora l’attualità di un manifesto pragmatico come quello di Lucchini e Lapucci, la proposta di un rinnovamento degli ESG che va oltre i tre parametri tradizionali introducendo l’umano come catalizzatore del cambiamento. Oltre alle metriche e alle misurazioni, gli autori invitano ad alzare lo sguardo per immaginare un futuro in cui il progresso tecnologico e la sostenibilità si possano fondere con il benessere della persona (un altro concetto con una lunga storia nella tradizione umanistica). Come dice Stefano Lucchini, ‘non possiamo parlare di sostenibilità senza pensare all’essere umano nella sua interezza’. Un essere umano che va integrato nel villaggio globale grazie a quella H che poi, lungo la traiettoria delle rivoluzioni industriali e passando per le tematiche più attuali del lavoro, dell’intelligenza artificiale e della finanza etica, è l’umanesimo del secolo dei Lumi e della Dichiarazione di Indipendenza Americana: la H di Happiness.
(Associated Medias) – Tutti i diritti sono riservati