Piano Mattei: giusta intuizione italiana, ma il futuro è in una Unione Africana più efficace

Negli ultimi tre anni il 93% delle decisioni assunte dall’Unione Africana non ha poi avuto alcun riscontro fattuale. L’assemblea ha rifiutato di trasferire poteri significativi a qualsiasi organo dell’UA

di Guido Talarico

Per dare credibilità ed efficacia al Piano Mattei per l’Africa – una iniziativa positiva che, lo diciamo subito, vede finalmente il nostro Paese autore di una importante iniziativa di politica estera – occorre capire meglio quali dinamiche oggi governano la politica del continente giovane. Un punto dal quale cominciare è l’Unione Africana (UA), il luogo di massima rappresentanza istituzione oggi oggetto di molte critiche, soprattutto da parte dei suoi stessi membri. Cominciamo con un esempio emblematico. Il presidente della Commissione dell’UA, Moussa Faki Mahamat, l’uomo che gestisce le attività correnti dell’UA, ha accusato gli Stati membri di ostacolare il lavoro della Commissione e di non far corrispondere le parole ai fatti.

Ed effettivamente non gli si può dare torto. Negli ultimi tre anni il 93% delle decisioni assunte dall’Unione Africana non ha poi avuto alcun riscontro fattuale. E pare che questo triste percorso gestionale accompagni l’istituzione che ha sede ad Addis Abeba, In Etiopia, sin dalla sua fondazione.   Un’altra prova alquanto convincente arriva da una ricerca sullo sviluppo politico e sociale dell’UA durata 15 anni.

Vediamo. L’assemblea ha rifiutato di trasferire poteri significativi a qualsiasi organo dell’UA. Ad esempio, il Parlamento Panafricano non esercita alcun potere legislativo vincolante. E la Commissione dell’UA non può obbligare gli Stati membri a conformarsi alle regole dell’UA. La maggior parte degli Stati membri rifiuta di conformarsi alle decisioni della corte dei diritti umani. Queste sono differenze profonde rispetto all’Unione Europea, dove al contrario poteri sovranazionali e vincolanti sono esercitati da organi come la Commissione Europea e il Parlamento Europeo.

Deficienze strutturali come queste spiegano come l’obiettivo dell’UA di favorire l’integrazione continentale in Africa non trova riscontro nei poteri esecutivi dei suoi organi. Va detto che l’Unione Africana su fronte politico e comunicativo ha compiuto grandi progressi, dando un valore mediatico crescente all’istituzione. Ma la sua debolezza strutturale rimane e risiede proprio nella volontà degli Stati membri di non sacrificare gradualmente la propria sovranità per il bene superiore dell’integrazione continentale.

Ed è un male antico, visto che sin dalla sua creazione nel 2002, l’UA ha dimostrato di avere una scarsa incisività operativa, E questo nonostante l’atto Costitutivo dell’UA conceda all’Assemblea il potere di delegare funzioni a organi come il Parlamento Panafricano e la Commissione dell’UA, i quali a loro volta, è bene ricordarlo,  non possono imporre decisioni vincolanti agli Stati membri.

A questi problemi, divenuti ormai strutturali, si è aggiunta anche la mancanza di leader africani in grado di imporre quei cambiamenti che sono ormai noti a tutti. Ci avevano provato, tanto per fare qualche esempio, il leader libico Muhammar Gheddafi o anche il presidente della Guinea Conakri Alpha Condè. Ma il primo è stato assassinato, il secondo deposto. E anche questi sono indicatori della fragilità delle democrazie africane.   Anche il presidente della Commissione, Moussa Faki Mahamat, è stato aspramente criticato soprattutto su temi molto sentiti in Etiopia come il silenzio sugli abusi commessi durante il conflitto in Tigrè. Ma è chiaro che il problema non può essere un solo presidente,

Per superare queste sfide che hanno d’innanzi, gli Stati membri dell’UA devono impegnarsi a trasferire poteri significativi agli organi dell’UA, come il Parlamento Panafricano e la Commissione dell’UA. Ciò richiede un piano dettagliato e il coinvolgimento della società civile per garantire la legittimità e l’efficacia del processo. Solo attraverso queste azioni sarà possibile realizzare un’autentica integrazione continentale e affrontare le criticità strutturali dell’UA.

Questo scenario complesso  deve essere ben chiaro all’Italia e agli alleati che la vorranno seguire nell’attuazione del Piano Mattei per l’Africa. Una UA debole e destrutturata come è l’attuale implica la necessità di poter percorrere, soprattutto all’inizio, soltanto negoziati bilaterali. Il che forse in alcuni case può essere anche un  vantaggio. Tuttavia rafforzare il’Unione Africana deve rimanere una priorità anche per l’Italia e per l’Europa.

Il Piano Mattei per l’Africa è una giusta intuizione che l’Italia, e con lei l’Europa, farà bene a perseguire con impegno, sapendo però sin da ora che il futuro ed il successo di questa alleanza si base su cooperazioni economiche e commerciali ma anche su una crescita della principale istituzione politica continentale che è l’Unione Africana.

(Associated Medias) – Tutti i diritti sono riservati