Presidenziali Usa: il ritiro di Biden apre le danze. Kamala Harris in piena corsa, Michelle Obama dietro le quinte

L’annuncio del presidente apre la successione mostrando un partito diviso. Obama: “Biden un patriota” ma non fa endorsement. I Clinton invece appoggiano subito la Vicepresidente uscente Harris

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Joe Biden

di Guido Talarico

Jo Biden si ritira dalla corsa alle prossime elezioni presidenziali a luglio del 2024. Lo avevamo anticipato da queste colonne lo scorso 14 aprile, fidandoci di due autorevole fonti del Partito Democratico americano. Ora, dopo giorni di indiscrezioni, è arrivata la conferma ufficiale: l’attuale inquilino della Casa Bianca ha annunciato, in una lettera pubblicata su X, il ritiro della sua candidatura spiegando però che rimarrà nel suo ruolo di presidente e di comandante in capo fino alla fine del suo mandato che scade a gennaio del 2025, promettendo anche che parlerà alla nazione questa settimana. Nell’articolo dello scorso aprile eravamo andati oltre rivelando anche che la candida più probabile alla sostituzione di Biden nella corsa presidenziale, nonostante le numerose smentite, fosse Michelle Obama, moglie dell’ex presidente Barak.

Questo secondo tema – chi correrà al posto di Biden- al momento rimane aperto. Di seguito spiegherò chi sta con chi, ripercorrendo le tappe della convulsa giornata appena conclusa. Ma intanto lasciatemi dire quel che alle autorevoli fonti che ho consultato appare come un dato certo. E cioè che in casa democratica è già scoppiata la guerra tra i due clan più potenti del partito, vale a dire i Clinton, che hanno già indicato in Kamala Harris, l’attuale Vicepresidente, come proprio candidato e dall’altro lato gli Obama, che al momento non hanno indicato alcun nome, dicendo che dovranno essere i delegati alla Convention a scegliere. Una situazione se non di impasse certamente fluida che testimonia quanto lacerante sia il dibattito in casa Dem sulle scelte della nomination. Per cercare dunque di capire come stiano le cose e come potrebbe andare a finire analizziamo il susseguirsi degli eventi di questa giornata che di certo segnerà la storia degli Stati Uniti d’America.

Dopo aver annunciato il suo ritiro, in un post successivo Biden ha poi comunicato il suo endorsement per la vicepresidente Harris. “La mia primissima decisione come candidato del partito nel 2020 – ha detto l’attuale capo della Casa Bianca –  è stata quella di scegliere Kamala Harris come mia vicepresidente. Ed è stata la migliore decisione che ho preso. Oggi voglio offrire il mio pieno sostegno e il mio endorsement affinché Kamala sia la candidata del nostro partito quest’anno. Democratici: è ora di unirsi e battere Trump. Facciamolo“.

Kamala Harris

Con la Harris ci sono anche decine di attuali ed ex delegati alla convention democratica, che insieme hanno firmato una lettera a sostegno della candidatura di Kamala alla Casa Bianca, un’immediata dimostrazione di forza per la Vicepresidente trovatasi improvvisamente a reclamare il nuovo ruolo. Nella missiva, rivela Politico, hanno scritto che credono che Harris sia il candidato più forte del partito democratico per la Casa Bianca, quello che può meglio offrire una visione chiara e unificante per il futuro degli Stati Uniti.

“Come ex procuratore, non c’è nessuno migliore di Kamala Harris per difendere la democrazia americana e contrastare il criminale condannato Donald Trump“, si legge. “La vicepresidente Harris è il potenziale candidato democratico più forte che può proteggere al meglio l’eredità e la lunga lista di successi del presidente Biden”, prosegue il testo. “Ha mostrato risolutezza e forza d’animo – continua la lettera – di fronte agli attacchi razzisti e sessisti da parte dei repubblicani Maga. Crediamo inoltre fermamente che la vicepresidente Harris e la sua scelta del vice aiuteranno i candidati democratici alla Camera, al Senato e negli Stati che dobbiamo vincere a novembre, consentendoci di promulgare leggi che avvantaggiano veramente il popolo americano“. Il gruppo comprende delegati provenienti da California, Texas, Florida, Washington, Michigan, Carolina del Nord, Carolina del Sud e diversi altri Stati.

E’ sempre poi “Politico”, riferendo di indiscrezioni repubblicane, a lanciare un altro sasso nello stagno. Donald Trump, spiegano, potrebbe evitare il duello tv con Kamala Harris indicandola come una candidata illegittima se otterrà la nomination alla convention Dem, in quanto contesta la validità del processo per il cambio di candidato in corsa.

Donald Trump

Harris dal canto suo ha così commentato quanto accaduto: “Sono onorata dell’endorsement di Joe Biden, mi guadagnerò la nomination e batterò Trump. Farò tutto ciò che è in mio potere per unire il partito democratico e unire la nostra nazione per sconfiggere Donald Trump e la sua agenda estremista. Abbiamo 107 giorni da qui alle elezioni, uniamoci e vinciamo!”, ha concluso  la Vicepresidente. Harris. Nel post su X dove afferma che si guadagnerà la nomination ha allegato anche un link per le donazioni, lanciando così sui social il suo fundraising. La vice di Biden ha anche cominciato a chiamare senatori, governatori e dirigenti chiave del partito per ottenere sostegno. Tra loro il senatore Mark Kelly dell’Arizona, indicato tra i suoi possibili vice nella gara per la Casa Bianca.

C’è poi anche una questione anagrafica non irrilevante. Con il ritiro di Joe Biden dalla corsa per la Casa Bianca, il 78enne Donald Trump diventerà il ‘nominee’ più anziano nella storia americana se la 59enne Kamala Harris o qualcuno più giovane del tycoon guiderà il ticket presidenziale Dem. Il che per Donald è come dover assorbire un problema che fino a ieri era del suo avversario.

E veniamo alla lotta tra clan, con Obama che si è speso per le primarie, mentre i Clinton, come dicevamo, hanno dato subito l’endorsement a Harris. L’ex presidente Barack Obama si è detto a favore di un processo aperto per primarie democratiche alla convention dem del mese prossimo, senza fare il nome di Kamala Harris. Meno di un’ora prima invece i Clinton avevano dato il loro endorsement alla vicepresidente per la nomination alla Casa Bianca. “Ho una straordinaria fiducia che i leader del nostro partito saranno in grado di creare un processo dal quale emergerà un candidato eccezionale“, ha detto Obama in una nota, senza menzionare Harris. “Credo che la visione di Joe Biden di un’America generosa, prospera e unita che offra opportunità a tutti sarà pienamente visibile alla Convention Democratica di agosto“. “Ora è il momento di sostenere Kamala Harris e lottare con tutto ciò che abbiamo per eleggerla“, hanno invece dichiarato Bill e Hillary Clinton. Il Partito Democratico, dal canto suo, davanti a queste prese di posizione da parte dei leader, ha promesso in una nota che sarà condotto un processo ”trasparente” per scegliere un candidato diverso da Joe Biden dopo il suo annuncio di non ricandidarsi alla Casa Bianca.

MICHELLE OBAMA

Mentre dall’altro lato gli Obama, pur esprimendo “profonda gratitudine” per Biden, guardano alla prossima convention come momento catartico. “Io e Michelle – scrivono – vogliamo solo esprimere il nostro amore e la nostra gratitudine a Joe e Jill (la first lady) per averci guidato durante questi tempi difficili e per il loro impegno“. Barack Obama, definendo poi Biden uno dei più importanti presidenti della storia e “un mio amico e partner. Un patriota” non però ha conferito alcun endorsement rimandando ogni scelta alla prossima convention.

Insomma, tutto è aperto e tutto è di nuovo in gioco. Biden ha fatto quel doveva e ciò che ormai appariva come ineluttabile. Ora la macchina della burocrazia elettorale torna indietro nel tempo, alla convention Democratica del 1968: anche quella ebbe luogo a seguito di un’inaspettata decisione di ritiro da parte di un presidente in carica. Quell’anno Lyndon Johnson decise infatti di non correre per un secondo mandato per la Casa Bianca. Il precedente storico c’è ma il clima è diversissimo. La  convention di Chicago, che si terrà dal 19 al 22 agosto, diventa ora una competizione serrata in cui quasi 4.700 delegati avranno la responsabilità di scegliere un nuovo leader attraverso il quale sfidare il candidato repubblicano Donald Trump in autunno. E la strada da percorrere, come abbiamo visto, non appare in pianura. All’inizio dell’anno Biden aveva vinto tutte le primarie e i caucus statali, perdendo solo il territorio delle Samoa Americane. Almeno 3.896 delegati si erano impegnati a sostenerlo.

Cosa succederà ora? Le attuali regole del partito non consentono a Biden di trasferire i voti ad un altro candidato, ma certo le sue indicazioni contano, così però come contano quelle dei Clinton e degli Obama. Poi c’è il tema non banale dei soldi.  I comitati elettorali democratici alleati hanno portato il totale a disposizione di Biden a più di 240 milioni di dollari che in larga parte potrebbero andare a Harris in quanto già destinataria “ab origine” delle donazioni. Ma se la “nomination” andasse a qualcun altro i finanziamenti seguirebbero il candidato vincente. Insomma è una situazione fluida dove tutto può succedere ancora, compresa la discesa in campo di Michelle Obama, che al momento rimane raccolta in un rigoroso silenzio.

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