“Quello che so di te”, l’ultimo romanzo di Nadia Terranova è una potente (e attualissima) riflessione sulla maternità

“QUELLO CHE SO DI TE” di NADIA TERRANOVA

(Guanda editori, 19 euro, 260 pagine)

di Maria Lombardi

La maternità e la follia. Il nuovo libro di Nadia Terranova, da poche settimane in libreria, racconta la storia di due donne, lontane e vicinissime, si incontrano solo in sogno. Una diventa mamma e l’altra impazzisce anche perché non lo è diventata. La nipote, Nadia Terranova, ha appena partorito e la bisnonna materna nel 1928 è entrata nel manicomio di Messina dopo un aborto. Il primo pensiero della mamma, l’unica certezza davanti alla culla, è che d’ora in poi non potrà più permettersi di impazzire. C’è un’altra vita di cui dovrà prendersi cura, avrà bisogno di ancorarsi ancora di più alla sua esistenza. Nella sua famiglia la pazzia ha un nome e un volto, quella della bisnonna Venera rinchiusa al Mandalari di Messina. Diagnosi: psicosi isterico-nevrastenica.

Venera è quasi un fantasma, una storia di cui si parla malvolentieri in famiglia. Eppure è una presenza nella vita della nipote. <La incontro spesso in sogno, la mia bisnonna: una donna minuta e silenziosa sulla soglia di un manicomio, che sarebbe diventato un esilio…>. Con le sue apparizioni, Venera costringe l’autrice a interrogarsi sulla famiglia, su sé stessa, sulla maternità. La inquieta, la attrae nel suo mondo di silenzi, in un momento così delicato della vita della scrittrice.

Lei ha appena vissuto lo sconvolgimento della maternità. Il corpo si dilata, si sdoppia e poi si svuota, si strappa, gioisce nella sofferenza, urla di dolore e di felicità, la mente si spinge al confine dell’esistenza e l’abbraccia, si sente potente e fragile, tocca l’apice della forza e della paura. Niente di più vicino alla follia. Non a caso, è quel che teme la nipote guardando la sua bambina: impazzire, appunto.

E Venera è impazzita dopo aver perso, inciampando nei gradini di un circo, la bambina che aveva in grembo. La maternità realizzata, quella della nipote, al limite del tempo consentito. E la maternità perduta della bisnonna che l’ha fatta sentire indegna al punto da cercare salvezza nella solitudine della follia.

Nadia risponde al richiamo dei sogni e ripercorre la storia della donna col mussu cuciuti, con il muso cucito, Venera. E per farlo non può affidarsi alle verità dimezzate della Mitologia Familiare, i racconti tramandati che nascondono sempre troppo della malattia di Venera, minimizzano e rimuovono. Così la scrittrice torna a Messina, la sua città, cerca tra le cartelle cliniche nell’archivio del manicomio di Messina, dove la bisnonna a 37 anni viene rinchiusa, studia la malattia. La psichiatria dell’epoca considera l’isteria causa di tutti i mali dell’animo femminile, depressione, delirio, ossessione.

Venera, con il suo mutismo e le poche tracce che ha lasciato, diventa il motore di un racconto avvincente dove la narrazione slitta dal passato al presente, di un viaggio nella memoria. E ispira domande e riflessioni profonde (e attualissime) sull’essere madre e sui sentimenti travolgenti che l’accompagnano. La solitudine che schiaccia e dilata le giornate, la paura di non essere in grado e di non essere abbastanza, l’ansia (a volte la tristezza) inconfessabile perché gli altri da te si aspettano solo gioia. E tanto altro, si aspettano: che tu sia una madre amorevole eroica e performante, che fa tutto, troppo e di più, e deve farcela perché è madre e lei può tutto, esserci sempre anche quando non c’è. Il mito non ammette ombre o cedimenti. Venera ne è stata vittima. Le giovani donne ci rinunciano.  E se ci liberassimo, una volta per tutte, dell’eroismo della maternità?

<Lasciateci libere di non farcela, né come madri né come artiste. Lasciateci sperimentare il fallimento, lasciate che ci concentriamo sull’unica cosa che importa: non cadere, o cadere senza uccidere chi amiamo. Lasciateci ovunque fallire in pace>, scrive Terranova (finalista al premio Strega nel 2018 con “Addio fantasmi” e nel 2022 vincitrice del Premio Elio Vittorini con “Trema la notte”).

Fallire in pace, per salvarsi.

(Associated Medias) – Tutti i diritti sono riservati