L’Unione rischia di trasformarsi in un’arena di competizione interna, dove pochi paesi accumulano potere a scapito degli altri. Al tempo stesso, il divario con gli Stati Uniti rischia di farsi più netto, mentre il confronto con la Russia di irrigidirsi. Readiness 2030 non porta con sé una strategia di pace, ma una strada incerta, disseminata di rischi geopolitici ed economici.
Troppo in fretta l’Europa ha dato il suo assenso al controverso Rearm Plan, ipocritamente ribattezzato Readiness 2030. Con altrettanta precipitazione ha raccolto il grido di battaglia lanciato dalla presidente della Commissione Europea, Ursula Von der Leyen, all’indomani della dichiarazione di Washington di escludere l’Unione dai negoziati sulla fine della guerra in Ucraina. Una decisione così cruciale avrebbe richiesto una riflessione più approfondita da parte degli Stati membri, che non hanno colto immediatamente le insidie di questo progetto. Lungi dal rafforzare l’Europa e renderla un interlocutore autorevole al tavolo dei grandi della politica globale—da cui Donald Trump l’ha esclusa—il piano rischia di indebolirla, gravandola di un debito colossale e creando fratture interne all’Unione, avvantaggiando alcuni paesi, a scapito di altri e accentuando disuguaglianze già esistenti.
Berlino e Von der Leyen avevano già un piano ben definito, pronto a essere attuato. Hanno semplicemente colto l’opportunità offerta da Trump per consolidare il consenso intorno alla loro strategia. Tuttavia, la tanto auspicata difesa comune europea resta un miraggio, e la strada intrapresa tradisce gli ideali fondanti dell’Unione. Il riarmo del Vecchio Continente, così concepito, favorisce esclusivamente chi ha le risorse per sostenerlo, in primis la Germania. Liberatasi finalmente della rigida politica di austerità—rivelatasi letale negli ultimi anni—Berlino ha compiuto una mossa audace e rapidissima. Il 18 marzo scorso, con un tempismo da record e un consenso parlamentare trasversale (Spd, Cdu-Csu e Verdi hanno votato a favore con 513 voti contro 207), ha modificato la Costituzione per consentire un’espansione del disavanzo finalizzata a massicci investimenti in armamenti, infrastrutture e digitalizzazione. La necessità di rafforzare la difesa europea ha fornito alla Germania, oppressa da una crisi economica severa, il pretesto perfetto per rilanciare la propria economia stagnante e per riaffermare la sua leadership in Europa e nel mondo, tessendo nuove alleanze anche al di fuori dell’Unione.
Questo cambiamento di rotta era atteso da tempo e necessitava solo di un’occasione per essere legittimato. Con il pretesto del Rearm Plan—o Readiness 2030—Berlino si è liberata definitivamente del complesso storico legato al suo passato bellico, lasciando il resto dell’Europa in una posizione di incertezza, combattuta tra invidia e timore. Si spera, forse ingenuamente, che la ripresa tedesca possa trainare l’intero continente. Ma è davvero possibile?
I numeri parlano chiaro: l’accelerazione della Germania nel settore bellico non è un fenomeno improvviso. Già nel 2023, in pieno conflitto ucraino, le esportazioni di armamenti tedeschi hanno raggiunto livelli record. Nel primo anno di guerra, Berlino ha fornito a Kiev sistemi antimissile e artiglieria pesante per un valore di 2,2 miliardi di euro, cifra quasi raddoppiata nel 2023 con l’invio dei carri armati Leopard 2. Complessivamente, l’export del settore autorizzato dal governo tedesco ha superato i 12 miliardi di euro. Con la recente modifica costituzionale, non ci saranno più limiti.
Il piano di investimenti annunciato dal cancelliere designato Friedrich Merz è imponente: 500 miliardi di euro destinati a potenziare le Forze Armate tedesche a livelli mai visti, nemmeno nei periodi più critici della Guerra Fredda. Ma a quale scenario ci sta conducendo questa nuova visione strategica tedesca? Quali saranno le conseguenze?
Quel che appare certo è che questa corsa al riarmo segna un punto di non ritorno per l’Europa. L’Unione rischia di trasformarsi in un’arena di competizione interna, dove pochi paesi accumulano potere a scapito degli altri. Al tempo stesso, il divario con gli Stati Uniti si fa sempre più netto, mentre il confronto con la Russia si irrigidisce. Readiness 2030 non porta con sé una strategia di pace, ma una strada incerta, disseminata di rischi geopolitici ed economici. L’Europa ha scelto di imboccare una via pericolosa: resta da vedere se saprà governarla o se ne sarà travolta.
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