Nonostante anni di richieste e indagini, la verità sull’omicidio di Giulio Regeni resta un nodo irrisolto nei rapporti tra Italia ed Egitto. Il processo in corso a Roma e le testimonianze di figure chiave evidenziano il lungo cammino verso la giustizia
Nel corso del processo sulla morte di Giulio Regeni, l’ex presidente della Camera, Roberto Fico, ha ricordato il momento in cui l’Italia decise di interrompere i rapporti con il Parlamento egiziano. Dopo due anni di dialoghi infruttuosi, la Camera dei Deputati, da lui presieduta, ha preso una posizione netta contro i depistaggi e le calunnie mosse contro il ricercatore italiano.
Durante la sua testimonianza, Fico ha raccontato il colloquio avvenuto con il presidente egiziano Al Sisi nel 2018. “Per noi non c’era questione più importante di quella di Giulio Regeni”, ha affermato, sottolineando di aver denunciato le manipolazioni delle autorità egiziane e le torture inflitte al giovane ricercatore. Di fronte alla mancanza di risposte concrete, la Camera ha votato all’unanimità per la sospensione dei rapporti istituzionali con l’Egitto.
Le promesse mancate e la rottura diplomatica
Fico ha descritto l’incontro con Al Sisi come teso e privo di risultati tangibili. Il presidente egiziano dichiarò che la morte di Regeni gli stava a cuore e promise di impegnarsi a individuare i responsabili. Tuttavia, alle parole non seguirono i fatti. Dopo mesi di attesa, la decisione della Camera di sospendere i rapporti con il Parlamento egiziano generò reazioni negative da parte del governo del Cairo. “Ci furono molte chiamate, anche da parte dell’ambasciatore egiziano e di alti funzionari, sorpresi da una decisione così drastica”, ha ricordato Fico, ribadendo che la scelta era condivisa da tutte le forze politiche italiane.
Il ruolo della diplomazia italiana e le prime segnalazioni
Nel processo sono state ascoltate anche le testimonianze di alti funzionari italiani, tra cui l’ex segretario generale della Farnesina, Michele Valensise. Questi ha riferito di come l’ambasciatore Maurizio Massari lo avvisò fin dal 26 gennaio 2016, il giorno dopo la scomparsa di Regeni. Anche l’intelligence italiana si attivò immediatamente: una segnalazione dell’Aise al governo indicò che in quel periodo altri due cittadini italiani erano scomparsi al Cairo, ma furono ritrovati dopo pochi giorni. Il caso di Regeni, però, prese una piega tragica e differente.
Valensise ha ricordato anche il ruolo dell’allora ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, che chiese massima collaborazione alle autorità egiziane. L’ambasciatore d’Egitto fu convocato in un incontro teso e poco cordiale, durante il quale tentò di liquidare l’accaduto come un generico atto criminale. Le indagini, invece, hanno dimostrato la responsabilità diretta di quattro agenti della National Security Agency egiziana, attualmente sotto processo a Roma.
Una verità ancora negata
Nonostante le prove raccolte, il governo egiziano continua a sostenere di non sapere dove si trovino gli imputati, rendendo difficile l’accertamento della giustizia. La famiglia di Giulio Regeni, però, non ha mai smesso di lottare e crede che il 2025 possa finalmente essere l’anno della verità.
Il caso Regeni resta un simbolo della difesa dei diritti umani e della necessità di una politica estera che non ceda ai compromessi. L’Italia continua a chiedere risposte, mentre la comunità internazionale osserva attentamente lo sviluppo di una vicenda che non può rimanere impunita.
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